Del: 9 Dicembre 2006 Di: Redazione Commenti: 1
Specchio, specchio delle mie brame…” Anche senza essere perfidi e vanitosi come la matrigna di Biancaneve, certo a tutti è capitato di guardarsi in uno specchio; e a molti sarà capitato anche di entrare in una sala degli specchi arredata con specchi contrapposti. Questi, rimandandosi all’infinito le reciproche immagini, provocano in chi si osserva una inattesa e piacevole piccola vertigine. Le sale degli specchi sono state per lungo tempo un elemento architettonico fisso in regge e palazzi nobiliari: vi sono sale degli specchi nella reggia di Versailles, a Palazzo Cisterna e a Palazzo Bricherasio a Torino, a Palazzo Giustiniani a Roma, a Palazzo Ducale a Mantova, a Palazzo Orsetti a Lucca, a Palazzo Zenobio a Venezia, a Palazzo Ducezio a Noto, nel castello Esterhàzy ad Eisenstadt, nel castello di Linderhof, e probabilmente in molte altre residenze di potenti. Alla base della scelta di avere una sala degli specchi ci possono essere stati sicuramente dei motivi oggettivi, come ad esempio il desiderio di giovarsi della apparente moltiplicazione dello spazio e delle luci risultante da questo tipo di arredo, per conseguire effetti di magnificenza e grandiosità. Questo proposito, condiviso da molti regnanti e potenti aristocratici, ci fa riflettere che le sale degli specchi si trovano nei luoghi del potere: la scelta di rivestire le pareti di una sala con numerose superfici riflettenti rimanda allora al desiderio del potente di gestire la realtà e l’apparenza secondo il suo volere.

L’inganno percettivo causato dagli specchi era in effetti solo la punta dell’iceberg di quel filtro o distorsione dell’informazione che, nei tempi passati, i potenti potevano sicuramente esercitare. Si può dire allora che queste sale “pubbliche” delle corti e dei palazzi dell’alta aristocrazia erano delle vetrine, o meglio ancora dei teatri, nei quali il padrone di casa svolgeva il doppio ruolo di autore e di regista. Intorno all’autore/regista comparivano molte altre figure, contemporaneamente attori e spettatori, il cui compito era essenzialmente obbedire e plaudere alle iniziative di chi deteneva il potere. E’ vero che le corti erano spesso teatro di macchinazioni e di intrighi tra gruppi di cortigiani, ma forse le lotte fra i sostenitori di diverse “visioni cortigiane” non erano né ignote né invise al monarca, che probabilmente rafforzava il suo potere mettendo in atto l’antico principio del “divide et impera”. Infatti, come gli specchi che moltiplicano frammenti di immagini rendono arduo distinguere tra reale e virtuale, la moltiplicazione di frammenti di informazione disposta dal potente rendeva assai difficile e insidiosa la costituzione e la stabilità di alleanze con funzione sovversiva. Dunque l’apparente quantità di informazioni messa in scena dagli specchi non alludeva certo alla pluralità dei punti di vista dei sudditi, bensì all’accorta opera di informazione/disinformazione gestita dall’autorità centrale. Tuttavia le sale degli specchi non costituivano soltanto la facciata scintillante del potere politico centrale, ma erano anche luoghi di svago e di sogno, in cui venivano tenuti concerti, feste, letture poetiche e teatrali; le stesse decorazioni fantastiche delle pareti e del soffitto (grottesche, maschere, scene mitologiche, ecc.) indirizzavano il pensiero degli spettatori all’evasione nell’immaginario, piuttosto che alla concretezza dell’azione.

Oggi invece il ruolo dello specchio rimanda più che altro all’interiorità: proprio nell’era dell’ipercomunicazione, favorita dall’ingrandirsi degli spazi comunitari (stadi, piazze, ecc.) e dalla capillare diffusione dei nuovi media, il teatro, la letteratura, la psicanalisi pongono l’accento sulla riflessione sul privato. L’immagine di un soggetto che si riflette in uno specchio diventa quindi sinonimo del soggetto che riflette su se stesso: l’antico gioco di specchi tra essere e apparire si arricchisce allora di nuovi accenti, conservando immutati la sua ambiguità e il suo fascino.

Flavia Marisi

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