Del: 30 Maggio 2009 Di: Redazione Commenti: 0

“Le donne, quando vale la pena di combattere, non si tirano indietro. Il vecchio lievito della rivolta che è in fondo al cuore di tutte fermenta rapidamente” (Louise Michel).
Non c’è azione rivoluzionaria nelle operaie improvvisamente disoccupate di un paesino della Picardia che decidono di assoldare un sicario per uccidere il capo, eppure la sovversione del gesto è indiscutibile quanto naturale. Riunite al tavolo di un caffè decidono di mettere in comune la misera liquidazione, ma invece di aprire la solita pizzeria scelgono, su proposta della taciturna Louise ( Yolande Moreau), di pagare uno strampalato quanto improbabile killer, Michel (Bouli Lanners) per uccidere il padrone. Ha inizio un viaggio grottesco e surreale che porterà la corpulenta Louise e il pasticcione Michel alla ricerca del vero responsabile (ma non sarà facile individuarlo) sempre più in alto nella gerarchia, fino alla scoperta che causa di tutti i mali è un fondo monetario, e allora si ricomincerà tutto da capo, come in una catena di Sant Antonio che sembra non dover finire mai.
La storia semi-seria di come un pugno di impiegate siano diventate committenti di una strage di funzionari ha un’impronta anarchica che si ritrova anche nel titolo: il nome dei due eroi/antieroi è infatti quello dell’anarchica francese dell’Ottocento Louise Michel. Anarchiche sono anche le scelte dei due registi, per esempio nell’uso dell’identità sessuale dei protagonisti: entrambi il contrario di quello che dicono di essere. Il ribaltamento sessuale è, infatti, al tempo stesso dimostrazione della follia delle regole sociali (entrambi cambiano sesso per trovare un lavoro) e tassello di un caos più generale, cui appartengono anche elementi come il non saper né leggere né scrivere, un particolare che nel mondo contemporaneo significa emarginazione sociale.
Sullo sfondo la recessione economica, che porta alla ricerca di cibo nei modi più improbabili (Louise mette trappole sul davanzale per catturare i piccioni), e il gioco perverso che innesca nella diffusione delle responsabilità, rendendo irreperibile il vero responsabile delle malefatte. Esemplare in tal senso è l’atteggiamento di Michel che, per eliminare i suoi obiettivi, ingaggia un paio di malati terminali per svolgere gli omicidi.
Il tutto è sorretto da uno spirito surreale e irrealista che, attraverso la messa in scena, deforma la realtà e la piega a un fantozziano senso dell’umorismo. L’utilizzo di inquadrature fisse e frontali, caratterizzate dalla semplicità dei paesaggi e dalle geometrie, danno forza e spessore all’intreccio e ai personaggi, che a volte mancano di quella leggerezza che la commedia come genere necessiterebbe, anche se declinata al nero.
Il film dei registi Benoît Delépine e Gustave Kervern può piacere o non piacere, ma di certo non lascia indifferenti, un concentrato di follia destabilizzante, che a suo modo diverte e turba. Senza dubbio un film fuori di testa, stralunato e provocatorio a cui varrebbe la pena concedere una possibilità.
Michela Giupponi
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