Parlateci un po’ di quest’iniziativa: di che si tratta?
Si tratta del primo free press per immigrati, del primo giornale bilingue e della prima redazione di nazionalità miste a Milano.
Come e quando è nato il progetto?
L’idea è nata nel 2006. Per prima cosa abbiamo avviato una versione online sul sito http://www.aljarida.it/, successivamente abbiamo cercato finanziamenti e sponsor per poter uscire in cartaceo.
E il primo numero, quando è apparso?
Un’anteprima è stata lanciata all’Immigration Day del Milano Film Festival (settembre 2008). A ottobre è uscito il Numero 0.
Vi siete ispirati a qualche format giornalistico già esistente all’estero o siete una novità non solo per l’Italia?
Siamo una novità. Esistono giornali molto simili al nostro ma sono in una sola lingua, sono a pagamento ed escludono le associazioni e la società civile, che trova invece in Aljarida, uno spazio di visibilità e di auto-espressione.
Anche l’impaginazione è originale. E’ per rendere meglio la fruibilità delle informazioni nelle rispettive lingue?
L’orizzontalità del giornale è nata per scherzo, ma ha ottenuto successo. Il motivo è la volontà di avere sempre i testi a fronte, confrontabili e utilizzabili per lo studio dell’italiano o dell’arabo, due alfabeti che scorrono in direzioni opposte, si incontrano e convivono in un’unica pagina. Il lettore italiano è abituato a sfogliare da sinistra verso destra, mentre il lettore di un giornale arabo inizia la lettura da destra. Per confrontarsi e conoscersi quindi, devono entrambi fare un piccolo sforzo e cambiare la propria prospettiva.
Al momento da chi è composta la vostra redazione?
La redazione fissa è formata da sei ragazzi e ragazze di diversi paesi del Mediterraneo. I collaboratori sono decine. Alcuni sono operatori di associazioni di volontariato in Italia e all’estero, esperti di tematiche legate all’immigrazione, giovani ragazzi italiani e arabi che vogliono raccontarsi.
I pezzi vengono scritti e tradotti dallo stesso redattore bilingue o esiste qualcuno che si occupa appositamente della traduzione?
Spesso sono separati. gli articoli vengono scritti in italiano o in arabo e un piccolo gruppo si occupa delle traduzioni. Ci sono voluti mesi di lavoro per trovare una forma scritta di arabo “classica”, corretta grammaticalmente ma allo stesso tempo semplice e comprensibile da chi parla diversi dialetti arabi.
A che tipo di pubblico si rivolge? Esiste un target specifico?
Aljarida ha l’ambizione di avere più di un target. L’obiettivo principale è la conoscenza reciproca. Il target arabo è rappresentato da coloro che hanno difficoltà a capire le notizie italiane, la normativa (specialmente riguardo all’immigrazione) e non riesce ad esprimersi in italiano. Il pubblico italiano è rappresentato dall’immenso mondo associativo, da studenti di lingua e da tutti coloro che credono che il mondo arabo sia qualcosa di più che un campo di addestramento per terroristi.
Dove distribuite Aljarida?
Viene distribuito nelle zone di Milano in cui vivono comunità italiane e arabe: San Siro, viale Jenner, Maciachini, Loreto, via Padova, Calvairate, Corvetto. I punti di appoggio principali sono esercizi commerciali arabi, scuole di italiano per stranieri, associazioni, agenzie di trasferimento di denaro e telefonia, esercizi italiani rivolti a immigrati e sedi di istituzioni e fondazioni.
Quali sono state le principali difficoltà organizzative che avete dovuto affrontare?
Non avendo alcun capitale abbiamo sempre lavorato come volontari, in aggiunta alla nostra personale occupazione. Il tempo, la disponibilità, l’organizzazione e la divisione pratica del lavoro si è modellata e ha preso forma dopo innumerevoli errori e incomprensioni. Ora che abbiamo ingranato, ognuno ha capito quali sono le proprie competenze da valorizzare.
A livello sociale, che impatto avete avuto? Dalla tiratura attuale sembra ci sia stata un’ottima risposta del pubblico.
Siamo partititi con 2000 copie. Sparivano in poche ore e venivano richieste da scuole di italiano, associazioni, CTP di tutta Italia. Abbiamo aumentato la tiratura a 5000 copie e ancora non riusciamo a soddisfare le richieste. Il sito, ancora molto amatoriale, riceve oltre 2000 visite al mese da tutta Italia e da molti paesi arabi. Parecchie realtà sociali ci hanno inoltre preso come punto di riferimento per comunicare con la comunità araba di Milano.
Ci sono state delle critiche o avete rilevato dei pregiudizi nell’introdurre questa novità giornalistica alla cittadinanza milanese?
Purtroppo non ci sono state critiche. Il lavoro è piaciuto fin da subito a tutti. Soltanto alcuni giornali hanno parlato in modo negativo di “un’iniziativa che vuole aiutare gli irregolari”.
E all’interno della comunità araba come è stata accolta questa iniziativa?
Molto bene. Ai lettori piace molto, anche se dobbiamo ancora trovare il giusto equilibrio tra “notizie per italiani” e “notizie per immigrati”. Anche i rappresentanti delle diverse comunità, religiose e non, ci conoscono e apprezzano il nostro sforzo per mettere in contatto le due realtà.
Se qualcuno fosse interessato a collaborare con voi quali sono i vostri contatti?
L’indirizzo e-mail è info@aljarida.it e dal sito si possono inviare direttamente messaggi e accedere a molte informazioni. Per quanto riguarda un luogo fisico, siamo itineranti, ospitati da diverse associazioni e scuole di italiano. Presto ci stabilizzeremo in zona S.Siro (Zavattari).
Quali prospettive avete per il futuro?
Il futuro è decisamente difficile. Il giornale, nato grazie a (minimi) finanziamenti pubblici sta cercando entrate pubblicitarie che oggi, anche a causa della crisi, faticano ad arrivare.
Essere parte di una redazione unica in Italia come quella di un FreePress ItaloArabo, rende affascinanti e cuccadores? O cuccadolores?
Sicuramente cuccadores. Ma questo rende automaticamente noi cuccadolores. In moltissimi ci vogliono conoscere, incontrare, proporre idee, iniziative, contatti. Noi però restiamo sempre lo stesso numero di studenti-lavoratori e il lavoro del giornale si accumula in un attimo. Comunque sia, senza tutta la vivacità di coloro che in qualche modo hanno collaborato, oggi non avremmo la forza di andare avanti. Grazie!
Alice Sinisi