Del: 13 Giugno 2011 Di: Redazione Commenti: 0

Le idee che le rovine destano in me sono grandi.
Tutto si annienta, tutto perisce, tutto passa.
Il mondo soltanto resta. Il tempo soltanto dura”.

Denis Diderot

I Sepolcri di Foscolo si chiudono sull’immagine di un vecchio mendicante cieco (Omero) che si aggira per le rovine di Troia e le interroga, per conoscerne la storia. Non è nuova l’idea che i ruderi possano trattenere la testimonianza delle azioni trascorse e delle epoche passate. In particolare i luoghi dell’abbandono, quegli edifici che hanno perso la gara contro il tempo e non hanno saputo riconvertirsi nella modernità, conservano un fascino profondo. Tra le crepe dei muri si coglie un dialogo con il passato, la prova della caducità, il fascino malinconico della decadenza, o più semplicemente la testimonianza dell’incuria e del degrado. E’ la voce eloquente degli ex-luoghi contro il brusio dei non-luoghi della contemporaneità, “un viaggio dall’altra parte dello specchio delle nostre società industriali”, come spiega Sylvain Margaine, autore del libro fotografico “Luoghi dell’abbandono. Esplorazione insolita di un patrimonio dimenticato”, legato al sito forbidden-places.net, database internazionale di esplorazioni urbane.

L’urban exploring (cioè visitare e fotografare aree dismesse) è un fenomeno ormai diffusissimo proprio grazie a internet: che permette agli appassionati di scambiarsi informazioni e rintracciare facilmente i luoghi più interessanti per i propri scatti.
Il primo esploratore urbano è considerato il francese Philibert Aspairt, che nel 1793 si perse mentre perlustrava l’intricato dedalo delle catacombe di Parigi. Il suo corpo fu ritrovato solo undici anni più tardi. Altro illustre antenato è lo scrittore Walt Whitman, che lavorò per il Brooklyn Standard ad alcuni articoli sul tunnel abbandonato di Atlantic Avenue a New York, celebrato una ventina d’anni prima come il primo tunnel sotterraneo mai realizzato.
Oggi ogni parte del globo ha le sue zone di culto per gli esploratori. Gli urban explorer (in gergo anche creepers), in Australia subiscono il fascino dei labirinti delle condotte di scolo nei sottosuoli cittadini; negli Stati Uniti preferiscono i grandi alberghi dismessi dagli anni della crisi economica mentre in Russia le vie sotterranee a più livelli, predisposte durante l’epoca della Guerra fredda, richiamano ogni anno centinaia di “visitatori”. E ancora, istallazioni militari, fabbriche, mattatoi, teatri, ospedali e manicomi.
In Italia i riferimenti principali sono il castello siracusano di Portopalo di Capo Passero, il manicomio di Volterra e le miniere abbandonate della Sardegna.
Il mito della città fantasma attraversata da balle di fieno sospinte dal vento è molto diffuso anche grazie agli stereotipi hollywoodiani. Una tipica ghost town degli Usa è Bodie in California: una di quelle cittadine sorte rapidamente durante la corsa all’oro e abbandonata con altrettanta velocità. Ma casi analoghi si ritrovano un po’ in tutto il mondo: da Prypiat, nei pressi di Chernobyl a Ochate in Spagna.
Lo scrittore Davide Morrell, autore del romanzo “Paragon hotel”, ispirato al mondo dei creepers, offre una chiave di lettura filosofica del fenomeno, che va oltre l’interesse per l’archeologia industriale o il fascino per l’antico: “Forse il significato dell’esplorazione urbana – scrive – sta tutto qui. L’ossessione per il passato è un altro modo di sperare che qualcosa di noi si trattenga, che negli anni a venire qualcuno possa esplorare i luoghi in cui abbiamo vissuto e avvertire che lì indugia la nostra presenza.”
Che questa interpretazione sia affidabile o meno, l’intento è comunque quello di raccontare i luoghi. Dalle dimore nobiliari agli ambienti operai: immortalare fabbriche, abitazioni e architetture trionfali abbandonati al tempo e alla natura, tra il fascino della decadenza e il valore della testimonianza.

Consonno, città fantasma della Brianza.
La vicenda di Consonno, frazione di Olginate in provincia di Lecco, non è una storia di ordinaria speculazione, ma una storia extra-ordinaria, che a posteriori ha quasi il valore dell’apologo.
Nel primo novecento Consonno era un antico borgo della Brianza, con una discreta economia locale sostenuta principalmente dalle castagne e dal sedano, il vero prodotto tipico del paesino.
Un centinaio di abitanti, un gruppo di case, la chiesa, l’osteria, il Comune, un’unica bottega e il cimitero. Negli anni ’60 l’intero borgo fu acquistato per 22 milioni e 500 mila lire dal Conte Mario Bagno, un vero “cattivo” da film Disney: imprenditore visionario e un po’ folle, il cui intento era trasformare il paese in una città dei divertimenti, una Las Vegas italiana. Sorgono, per fare onore al buon gusto dell’originale del Nevada, gli edifici più disparati: minareti, pagode, armigeri medioevali. Chi ha visitato Consonno negli anni ’70 ricorda persino un saloon: di quelli tipici dei film western. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 il prodotto della fantasia del conte-imprenditore ha preso vita e il sonnacchioso borgo si è trasformato in una Las Vegas di provincia, con le mille luci sempre accese. “Una Disneyland per innamorati”, la definisce Daniela, 54 anni, che abita tutt’ora nelle vicinanze del borgo. Il successo di Consonno dura solo pochi anni, e l’interesse per la novità inizia a declinare. Il colpo di grazia viene dato però dalla Provvidenza che, con gusto squisitamente manzoniano, decide di punire l’ambizione del Conte. Nel 1976 una frana crolla sulla strada d’accesso al paese, rendendola impraticabile. Da allora si sono susseguiti alcuni timidi tentativi di riqualificazione che non hanno di fatto sottratto il borgo al suo nuovo destino di città fantasma, meta di rave party e urban explorer.

La città che visse tre volte: Consonno oggi.
Il borgo è raggiungibile da Olginate solo a piedi, lungo una strada in salita costeggiata dal bosco. Il primo edificio che si incontra, forse un tempo adibito ad ingresso, è imponente e coperto di murales, e anticipa di alcune centinaia di metri il paese. Lungo la strada si incontrano grandi striscioni metallici dagli slogan iperbolici come: “Chi vive a Consonno campa di più” o “A Consonno è sempre festa”. Il contrasto tra il contenuto dei cartelli e il loro stato di conservazione è di per sé l’emblema della contraddizione che costituisce il fascino del luogo.
L’edificio principale è l’improbabile minareto, che si innalza al di sopra di una galleria di negozi in stile arabeggiante. Il borgo non è completamente deserto: oltre a noi una coppia di curiosi, due fotografe e l’immancabile creeper dalle velleità canore, che dichiara entusiasta di aver trovato la location per il suo primo video musicale.
Esiste anche una fauna locale: una famiglia di cani che scorrazzano indisturbati per le vie, padroni indiscussi del luogo.
Gli unici edifici rimasti in buono stato sono la chiesa di San Maurizio e la casa del cappellano, anche se nelle vicinanze si scorge qualche traccia di vita recente: un manifesto pubblicizzante un evento commemorativo della Associazione Nazionale Alpini. Ma non è l’unico segnale di un possibile risveglio del paese. Di recente è stato stilato dal Comune di Olginate il nuovo Progetto di conservazione ambientale, ennesimo tentativo di riqualificazione che prevede l’abbattimento di tutti gli edifici fatiscenti. Lungo il primo tratto di strada è già aperto il cantiere per l’asfaltatura. Con i lavori sono iniziate anche le polemiche di chi teme una nuova speculazione edilizia. C’è da sperare che la terza vita di Consonno conservi tracce dell’identità poliedrica e della storia che ha caratterizzato questo luogo e che ha reso le sue rovine così interessanti da interrogare.

Galleria fotografica su Consonno

Laura Antonella Carli

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