Il 12 e il 13 giugno siamo chiamati ad esprimerci sui quesiti di quattro referendum abrogativi e, solamente i residenti a Milano, su cinque ulteriori referendum consultivi. I primi due riguardano la disciplina della gestione dell’acqua, il terzo la ripresa del programma nucleare italiano e il quarto il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri stessi.
Sì, si vota.
Si voterà su tutti e quattro i quesiti ammessi dalla Corte Costituzionale il gennaio scorso, nucleare e acqua compresi. Se il destino del referendum sull’acqua è sempre stato prevedibile, quello sul nucleare ha percorso, almeno nell’immaginario collettivo, momenti difficili: l’annuncio di una moratoria, seguito dall’approvazione di un decreto che sospende alcune delle previsioni della legge originaria e, infine, la recentissima decisione della Corte di Cassazione che ha mantenuto il quesito referendario, adattandolo alla sopraggiunta normativa.
Due sì per l’acqua bene comune.
I primi due quesiti chiedono l’abrogazione di alcune parti della famosa, almeno nel mondo dell’Università, legge 133 del 2008 come modificata dal di poco successivo decreto Ronchi.
Il primo quesito punta all’abrogazione dell’impianto generale di privatizzazione della gestione dell’acqua (art. 23-bis legge n. 133 del 2008) e delle scadenze previste per il progressivo e obbligatorio affidamento della gestione dell’acqua ai privati da parte delle istituzioni pubbliche competenti (art. 15 legge n. 166 del 20009).
Votare SI al primo quesito comporta l’abrogazione di queste due previsioni, quindi l’eliminazione sia del rinnovato principio generale di mercificazione del bene acqua, sia dell’obbligo di affidamento ai soggetti privati.
Con il secondo quesito saremo chiamati ad esprimerci sull’abrogazione di una specifica locuzione (art. 152 del decreto legislativo n. 154 del 2006) che inserisce tra i criteri di riferimento per determinare la tariffa dell’acqua l”adeguata remunerazione del capitale investito”, attualmente fissata per decreto ministeriale nella misura del 7%.
Nonostante si parli infatti di liberalizzazioni, il fenomeno perseguito dall’impianto legislativo vigente è quello di una privatizzazione forzata della gestione dell’acqua con tanto di assistenza dello Stato a garanzia del rendimento degli investitori, a spregio di qualsivoglia teoria di mercato liberale. Il principio liberale del laissez faire ha, in questo specifico caso, ceduto il passo ad un modello fondato sui profitti a vantaggio dei privati e costi a carico di tutti.
Votare SI al secondo quesito comporta l’abrogazione di questa specifica previsione, con la possibile conseguenza di una riduzione della tariffa per litro, salvo che gli attuali gestori non decidano, proditoriamente, di investire nel miglioramento del servizio di somministrazione dell’acqua.
Un sì contro il nucleare.
Nel 1986 un referendum fermò il primo programma nucleare italiano, già avviato e del quale tuttora paghiamo i costi di smantellamento e gestione delle scorie. Sempre la legge 133 del 2008, con successive modifiche e integrazioni, ha stabilito il superamento di quel referendum autorizzando la costruzione di centrali nucleari sul suolo italiano. Il terzo quesito richiede l’abrogazione totale della normativa vigente affinché si ritorni alla situazione precedente. Votare SI comporta quindi la sospensione di ogni velleità nucleare di Governi e imprese, nazionali e internazionali, sul nostro territorio.
Un sì per l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.
L’ultimo quesito chiede l’abrogazione della norma che stabilisce il legittimo impedimento a comparire in udienza del Presidente del Consiglio dei Ministri, per quanto resta in piedi a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale del gennaio scorso che ha posto in capo alla magistratura, e non al Governo, la valutazione sulla legittimità dell’impedimento addotto. Nella pratica spicciola, la posizione del Presidente del Consiglio è uguale a quella di noi tutti altri cittadini che, ai sensi dell’art. 420-ter del codice di procedura penale, possiamo chiedere il rinvio di un’udienza a causa di un “legittimo impedimento”.
Sotto il profilo squisitamente giuridico una differenza c’è, e votare SI comporta anche una dichiarazione di principio a favore dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge. La previsione speciale avuta dal legittimo impedimento riguardo al Presidente del Consiglio permette a quest’ultimo, qualora sia chiamato a comparire in tribunale, in caso di non accettazione da parte dei magistrati di una giustificazione eventualmente addotta, di ricorrere alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione, dilatando tempi e spostante la discussione dal merito dei processi ad altro.
27 milioni per un voto.
Nota dolente, affinché i voti espressi producano i loro effetti sull’ordinamento giuridico è necessario che sia raggiunto il quorum del 50% dei votanti più uno (quindi circa 27 milioni di votanti). Su questo fanno leva coloro che osteggiano una vittoria dei sì, puntando sul sole, sulla voglia di mare, sul disinteresse della cittadinanza e anche sulla fatica dei due turni elettorali appena trascorsi. Un risultato non falsato da questa norma, stabilita dai padri costituenti con finalità del tutto diverse rispetto a quella della “vittoria a tavolino dei no”, è auspicabile, anche per la sopravvivenza di un istituto, quello del referendum, a cui la nostra fragile democrazia farebbe bene a non rinunciare.
Marco Bettoni