Del: 20 Aprile 2013 Di: Redazione Commenti: 0

Probabilmente non sono la persona più adatta a parlare di cultura visto che non ho mai letto Dostoevskij e uso il primo volume della Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell per tenere sollevata la ventola del computer così che non si surriscaldi mentre gioco a Fifa. O forse sono la persona più adatta proprio per questo motivo?
Qualunque sia la risposta ho deciso (leggi: “la direttrice di Vulcano mi ha chiesto”) di farlo lo stesso, in occasione della data che ogni anno ci ricorda di non smettere di sperare in una risposta da parte di quella casa editrice a cui sei anni fa abbiamo inviato il manoscritto della nostra saga fantasy di duemila pagine: la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore del prossimo 23 aprile.

La giornata mondiale del libro è una di quelle ricorrenze che servono essenzialmente a pagare l’università ai figli del tipo che disegna i Google doodles e a soddisfare l’ego di una fascia sovracculturata della società che confonde l’amore per la cultura con l’amore per il proprio status di élite – o, come preferisco chiamarla, Umberto Riccardo Rinaldo Maria Ambrosoli.
Di solito si esauriscono in una serie di iniziative mirate a “diffondere la cultura tra le masse” puntualmente disertate dalle stesse masse cui sono rivolte e con gli organizzatori che si ritrovano in qualche salotto della buona borghesia milanese a sorseggiare Martini, ascoltare Jannacci e usare espressioni come “impoverimento culturale del Paese”.

Il motivo per cui queste operazioni di rilancio della cultura “dall’alto” non riusciranno mai è che gli imprenditori, gli architetti, i medici con i Rolex e i tesserati PD che vivono in Conciliazione non riescono a capire che quando “la massa” si tiene lontana dai loro panel, dalle loro conferenze e dai loro happening culturali, “la massa” non sta fuggendo dalla cultura. Non riescono a capire che forse “alla massa” non piace l’idea di dover essere educata al buon gusto da dei cazzoni presuntuosi fermi agli anni Sessanta. Forse “alla massa” questa cosa non sembra giusta. Forse “la massa” è un po’ scocciata dal fatto che l’idea di “cultura” in Italia non si sia evoluta in alcun modo negli ultimi trent’anni, tanto che oggi “la massa” non può confessare di preferire il rap americano ai cantautori italiani o Pullman a Pasolini senza urtare la sensibilità di qualche idiota diplomato al liceo classico e con la casa piena di libri fotografici sulla “bella Milano sparita”.

Se oggi in Italia nessuno legge più la colpa non è del “berlusconismo che ha distrutto culturalmente il Paese”, come continua a ripetersi la Sinistra mentre cerca di prendere sonno. La colpa è degli intellettuali. La fascia della società che più dovrebbe essere in grado di interpretare i suoi tempi, in Italia, è formata da persone che i loro tempi non sono nemmeno in grado di viverli e che hanno passato gli ultimi vent’anni impegnati a celebrare narcisisticamente loro stessi e il loro status e a guardare con malcelato disprezzo chiunque non facesse parte della loro ristretta cerchia, finendo per farsi odiare dalla stessa gente che avrebbe dovuto guardare a loro come un modello da seguire. Voglio dire, nei primi anni del Novecento la gente leggeva D’Annunzio perchè, nonostante fosse il Vate, era uno di loro e non era nemmeno laureato, oggi abbiamo gente come Umberto Eco, gente che non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato”.
Il 23 aprile assisteremo ancora una volta allo stesso copione. Persone che si identificano completamente con il loro status e con le loro lauree incorniciate alle pareti, e che non sono più in contatto con la realtà da almeno vent’anni, strisceranno fuori dai loro trecento metri quadri in centro e inizieranno a predicare, verranno ignorate o derise e daranno la colpa alla “massa” che non ama la “cultura”.

Non è vero che “la massa” non ama la cultura. L’ultima volta che ho chiamato l’idraulico mi ha raccontato che stava leggendo i Fratelli Karamazov mentre mi riparava lo scaldabagno. Forse la verità è che “alla massa” non sta sul cazzo la cultura, stanno sul cazzo loro.

Mattia Salvia

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