Epoca di annunci funebri la nostra; fra i vari cadaveri che si attendono più o meno legittimamente lungo la riva del famoso fiume, quello più mastodontico è senz’ombra di dubbio il corpo putrescente di madame Televisione.
Nulla di più facile con l’avvento della rete – si dice – che ad estinguersi sia questa variopinta specie di mammuth catodico ch’era parso in passato dominare l’universo, per rivelarsi infine il più debole fra gli esseri evoluti, destinato ad un declino inevitabile, perché si sa – ciò che ha un inizio ha anche una fine.
La televisione è quindi morta?
Se la risposta è no, questa rubrica si ripromette di spararle a vista, di assoldare un esercito di mercenari incattiviti e vendicanti pronti a tutto pur di conciarla per le feste.
Se la riposta è si, allora canteremo le lodi del più grande fra i giganti; come una folta schiera di frati l’accompagneremo con la nostra omelia fin giù nella tomba, nella sua ultima dimora, per toccare con mano e vedere con gli occhi di che cosa è fatto l’aldilà.
Ogni due settimane, con cadenza degna di un televisore svizzero, saremo preti o predatori, assisteremo a battute di caccia sanguinarie o a commosse estreme unzioni, lo faremo assieme, se lo vorrete, parenti o spettatori.
È giovedì 18 aprile, è sera e dall’arcano schermo che ho dinnanzi fuoriescono le note allegre della brigata Servizio Pubblico, programma e format di notevole successo autoprodotto da Giuseppe Michele Santoro e i suoi centomila garibaldini.
Gli ospiti sono vari e diversificati fra loro dal punto di vista della statura etica ed intellettuale, del sesso e della conformazione somatica.
Spicca fra gli altri su di un maxischermo pixelato a quindici metri da terra in stile monte Olimpo laico, che non è propriamente il massimo della sobrietà, il professor Massimo Cacciari, intellettuale bistrattato dai filosofi, detestato dai politici ma amato alla follia da Veronica Lario – il che pareggia i conti. Da qualche puntata a questa parte funge da ospite fisso, da opinionista, da Cassandra del centrosinistra italiano e perciò perennemente incazzato con il mondo – oltre che nefasto nelle proprie previsioni.
Dalla sua faccia o meglio, dalla sua barba che ne è sineddoche (le famose barbe de “il Mulino” scriveva anni fa Serra) escono rabbiosi moniti di buon senso e ferrea logica russelliana, soluzioni a porta di mano e di facile attuazione come “una politica industriale europea condivisa” oppure candidature alla Presidenza della Repubblica “sopra le parti, di alto profilo e che accontentino tutti”… Come si dice nella capitale di questo ridente feudo: mecoioni!
A fare da contrappunto allo stile da scimmia urlatrice in calore che ha sempre ragione quando vuole l’avocado, sobrio come le acque di porto Marghera, vi sono altri invitati: il secondo veneziano del gruppo è Gino Strada, tra i due diciamo quello esteticamente compatibile, e la giornalista Lucia Annunziata – che non è di Venezia ma l’ama molto.
Con loro, che fortunatamente sono posti al livello del pian terreno assieme a noi comuni mortali, la musica cambia radicalmente; dopo un’oretta di inchini reciproci, strette di mano metaforiche, palle corde attraverso lo studio e pipponi autocelebranti sul genere ma-quanto-è-una-figata-essere-buoni-e-giusti, la direttrice di Huffington Post Italia si lancia nella sua profezia, anche lei come Cassandra con la sola differenza di non azzecarne mai una nemmeno per errore: Sabino Cassese al Quirinale per volontà del PD.
Pure il dottor Strada, ultimo baluardo per una puntata di grido, dopo aver preso scrosci di applausi e lanci di vuvuzela dagli spalti, viene bastonato (anche se tutti fingono di non accorgersene) da tale Elisabetta Gualmini, professoressa bolognese di Scienza Politica, renziana anche nelle caviglie, che a proposito della tematica “cooperative private che sopperiscono nobilmente ad alcune carenze del pubblico senza per questo derubare lo Stato”, costringe il fondatore di Emergency a biasciare qualcosa di non perfettamente comprensibile che sembra suonare come un <<Ah… si… uhm… Bologna è un’altra storia>>.
La trasmissione volge al termine senza ulteriori picchi di gigantismo giornalistico, nella consapevolezza di aver anche per questa settimana salvato l’Italia.
Arrivederci a giovedì prossimo, dice qualcuno.
Francesco Floris