Del: 17 Maggio 2013 Di: Maria C. Mancuso Commenti: 0

Questa settimana Internazionale, il settimanale diretto da Giovanni De Mauro che pubblica il meglio della stampa estera in italiano, compie 1000 numeri. Un risultato eccezionale per una rivista di altissimo profilo. In qualche modo, da fan se vogliamo, Vulcano si unisce ai festeggiamenti, con un’intervista ad Alberto Notarbartolo, vicedirettore del magazine, tratta dal nostro numero 60.

Alberto, di cosa ti occupi ad Internazionale?
In questo momento sono vicedirettore, quindi partecipo con il direttore e gli altri vicedirettori all’impostazione della linea editoriale del giornale. Mi occupo inoltre della gestione e revisione delle pagine di recensione di musica e delle pagine “Pop”, gli articoli più di lettura, che gestisco completamente io leggendo molto e ricevendo segnalazioni dai colleghi.
Come sei entrato nel giornale?
Entro come persona che sa qualcosa di cultura, ero uno che leggeva molto bene in inglese, sa leggere il francese, mi stavo laureando in cinema e scrivevo bene.
Raccontaci com’è nato Internazionale.
Internazionale nasce dal fondatore e direttore di sempre: Giovanni De Mauro. Allora giovane giornalista de L’Unità che vide trovandosi a Parigi nel 1991, Courrier International.
Cercò qualcuno che gli desse i soldi e dopo due anni lo trovò. E mise su una redazione con i suoi amici Jacopo Zanchini, Elena Boille e Chiara Nielsen. Jacopo ed Elena già li conoscevo tramite degli amici di Pavia, dove ero andato a studiare Storia e critica del cinema per poi fare il giornalista. Avevo lavorato per Capital, un mensile di vita e investimenti, molto “Milano Ramazzotti anni ‘80”. E niente, a Roma gli serviva qualcun altro e cercarono uno che conoscevano, che gli stava simpatico e su cui pensavano di poter contare. Io ho detto “Bello, vado sei mesi a Roma, imparo ad usare un computer, mi sottraggo al fatto che sono uno studente fuoricorso facendo qualcosa di più istruttivo di aspettare tre mesi per dare italiano II”. Era una cosa che se mi andava bene durava sei mesi, se mi andava male durava due. Mi sono messo a fare il responsabile della cultura, ma ci occupavamo tutti di tutto.
Avevamo dei referenti, persone che, non completamente gratis ma quasi, ci facevano da consulenti. Sostanzialmente ci siamo costruiti la nostra professionalità così. Nasciamo leggendo vagonate di cose.
Quanto può aver influito il fatto che Giovanni fosse figlio di Tullio De Mauro?
Può averlo aiutato nell’ottenere appuntamenti, non è che lui andasse a dire in giro di essere figlio di Tullio De Mauro. Anche perché le possibilità, mentre chiedevi i soldi a uno, che non sapesse chi fosse Tullio de Mauro in quegli anni, erano altine. Non era ancora stato ministro.
E poi la svolta è arrivata, nel 2001. Raccontaci cos’è cambiato.
Il massimo momento di difficoltà del giornale era il primo anno, perché si era capito che non avrebbe venduto 15.000 copie. Era fatto con una struttura che era quella di giornali tipo “Uomini e business”, contenitori di pubblicità, che se pigliavi il volo Alitalia te lo davano gratis. Poi cambiò l’amministratore delegato, il progetto grafico, cambiò il carattere, la carta, molto più povera: tutto costava meno della metà ed il contenuto era lo stesso.  Ci furono aggiustamenti, ma l’idea era sempre quella. A quel punto il giornale campò, crescendo pian pianino; mi sento di dire che nel 2000 vendevamo 10.000, 11.000 copie tra abbonamenti ed edicola. Adesso Internazionale vende tutto insieme 120.000 copie più o meno. E’ il settimanale di informazione che vende di più dopo L’Espresso e Panorama.
La curva che ci ha portato da 10.000 a 120.000 comincia nel 2001.

Prima ci fu Genova: mettemmo sulla copertina una fotografia di Giuliani morto. Il numero dopo era quello estivo, che si chiama Viaggi: grandi reportage, un numero che prepariamo in cinque mesi. Ci siamo trovati venerdì in redazione per andare in vacanza e il numero Viaggi era in tipografia. Solo che quello che successe durante il G8, che successe alla Diaz, della polizia che entra e massacra persone che erano lì a dormire nel sacco a pelo, di quelli che furono arrestati e detenuti alla bolzaneto, era un tipo di cosa che in Europa non si era vista mai.

Tantissimi ragazzi che erano lì erano stranieri, ed erano spariti in carcere da cinque giorni. Questo causò un’esplosione della copertura dell’informazione sui giornali stranieri, tantissima, durissima. Tant’è, era venerdì e abbiamo detto: “cosa facciamo?” Perché noi saremmo usciti in edicola il venerdì dopo con il numero Viaggi e tutti i giornali del mondo avrebbero avuto in primissima pagina Genova. Abbiamo detto “va bene, chi ha l’aereo parte” e fatto un giornale in cinque, da zero; abbiamo lavorato ininterrottamente fino a mercoledì, quando abbiamo chiuso il numero, che fece l’esaurito tecnico: Internazionale finì tutte le copie distribuite, e lo fece rapidamente. Il rodaggio di quel numero ci permise un mese dopo di fare la stessa cosa per l’11 settembre. Martedì pomeriggio eravamo davanti alla tv, erano le 16. Alle 20.30 abbiamo preso il nostro numero del giornale, metà finito, l’abbiamo buttato nella spazzatura e abbiamo fatto da zero un numero nuovo, in ventiquattr’ore. Fu un numero che andò anche straordinariamente bene. A quel punto ci fu una botta di abbonamenti e da allora la curva di vendite, sia in edicola, sia di abbonamenti è regolarmente in crescita.

Di che tipo è il vostro pubblico?
È difficile dirlo, perché siamo un giornale con un’identità abbastanza sfuggente. E’ comunque un giornale che ha sempre attirato di più i lettori giovani, indipendentemente dal loro mestiere.
Hai mai pensato di andartene?
No.
Sui giornali si dice la verità?
Esiste la verità? Si dicono delle cose su delle basi solide? Dipende dai giornali. La verità assoluta? Non c’è. La risposta a “si dice la verità?” è: sì, sostanzialmente in tutti i giornali; e da capo: quando un giornale dice “la festa di Berlusconi era un momento di amicizia” è la verità? No.
Quando un altro giornale dice che la festa di Berlusconi era un casino, dice la verità? Forse sì, è il parere mio, non un fatto. Il fatto, in una logica anglosassone di informazione sulla verifica delle fonti certe, è:“ Berlusconi faceva delle feste a casa sua dove c’erano a, b e c.” fine.
Ci sono giornali che si limitano a questo?
In Italia no. Non è il caso di cercare la verità sui giornali, è il caso di cercare l’informazione.
In tanti leggono un giornale perché voglio leggervi la propria idea, vogliono sentirsi dire di aver ragione. Ma non è questo lo scopo di un giornale, o no?
Questo è uno degli enormi punti di forza di Internazionale, perché non sai rispondere alla domanda “Internazionale è un giornale di destra o di sinistra?”, “Il Guardian per chi vota?” “Il Guardian vota?” No. Il Guardian, se il primo ministro è un laburista che fa delle cose orrende, lo squarta vivo, come Repubblica non ha mai fatto con il governo Prodi – ho scelto un governo che potrebbe essere affine alla linea di Repubblica. Perché ha come riferimento il suo lettore. Repubblica conta che il suo lettore si fidi più di lui che di Prodi, ma ha plasmato i suoi lettori così: “se voti Prodi leggi me”. Il Guardian no, il lettore del Guardian legge il Guardian, fine. E questo permette a Internazionale di essere una voce altra, non perché abbia delle opinioni straordinariamente controtendenza rispetto al mondo, ma le sue fonti non sono giornali che rientrano mai nella griglia di orientamento che siamo abituati ad applicare ai giornali italiani.
Come mai la scelta di pubblicare un oroscopo?
L’oroscopo di Bresny, che venne visto nel 2002/2003, era molto divertente, diverso dal normale e uno che diceva: “Oddio che divertimento!” andava a leggerselo tutte le settimane. Rob Bresny è uno dei nostri grandissimi colpi e sul sito, ogni giovedì, quando esce l’oroscopo, raddoppiamo i contatti. C’è tanta gente che non conosce Internazionale e non lo compra, ma che va sul sito ogni santo giovedì per vedere l’oroscopo di Rob.
Internet ha soppiantato o soppianterà i quotidiani?
Spero di no, penso di sì. La linea è quella, anche perché i giornali quello che possono essere l’hanno sperimentato per 150 anni mentre di ciò che può succedere su Internet ne abbiamo una vaga idea adesso, ma cambierà, perché cambia la tecnologia di base. Il mio giornale di riferimento è il Guardian: se io fossi un cittadino britannico, non avrei nemmeno bisogno di una televisione, perché sul loro sito si trovano dei contenuti video di altissima qualità. Perché guardare la tv e, a maggior ragione, perchè comprare il giornale cartaceo se posso trovare tutto online?
La pubblicità online… Eh, anche lì… E’ complicato. È evidente che una grande doppia pagina che è su un giornale rimane impressa di più di un orrendo pop up che mi disturba la lettura dell’articolo. Magari dopo un po’ smetto di odiarlo, come tutti hanno smesso di odiare la pubblicità che interrompe i film – oggetto di aspra polemica negli anni Ottanta. Tutto cambia.
Se avessi la mia età, ora avresti le stesse speranze di diventare giornalista?
Secondo me è sbagliato non avere speranze perché il giornale è un medium moribondo. Prima di tutto perché non abbiamo idea dei tempi della sua morte. Quindi se i giornali spariscono dalla faccia della Terra quando hai 103 anni magari hai fatto in tempo ad essere l’ultima grande giornalista.
Se uno lavora alla sua formazione, se è capace e si interessa al mondo, le cose capitano. Se io avessi fatto il discorso “è meglio se finisco l’università” nessuno mi avrebbe detto: “sei scemo”. Però sono andato a Roma. E ho avuto fortuna.
Cosa ci vuole per diventare giornalisti quindi? Fortuna?
Non ci vuole meno fortuna di una volta, solo che adesso meno persone diventano giornalisti nel senso standard del termine. Sono meno i “giornali 1900” che offrono posti ma sono di più i “giornali 2000” dove si può trovare lavoro.
Tu piglia 30 amici e chiedigli “Che quotidiano compri?”
Il tuo amico di 21 anni ha bisogno di comprare il giornale? No. Gli serve per sapere cosa succede? No. Accende un computer e ce l’ha. Allora “Ah! Che tristezza il giornale di carta va verso l’estinzione”, però, se voglio sapere se l’Inter sta vincendo o perdendo, accendo il computer e un giornale me lo dice.
Andiamo al cinema? Dove vedo l’orario? Su internet. Andiamo a Vienna. Dove compro il biglietto più economico? Online. Mi sono alzato dal mio tavolino e ho fatto una serie di cose per cui il mio amico giornale di carta non mi è servito a niente.
E alla fine Informazione è anche quello, non l’analisi “è meglio Civati o è meglio Bersani?” Poi mi serve anche chi mi dice chi è meglio, ma dove lo trovo, su Repubblica o online? Cos’è meglio e cos’è peggio? Cosa è meno schiavo di logiche di mercato oltre che di appartenenza politica, un giornale di carta o un sito fatto dai tuoi amici svegli che di anni ne hanno 24?

Maria C. Mancuso
Foto di Internazionale, cover #1 e #1000 e NASA Marshall Space Center.
Maria C. Mancuso
Scrive di agricoltura, ambiente e cibo. Mal sopporta chi usa gli anglicismi per darsi un tono.

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