Tutta piena la Piazza del Duomo ieri sera per i Kasabian. Il cuore meneghino ha ospitato la band di Leicester per un concerto organizzato da Vivoconcerti con lo sponsor di Bacardi. Già l’11 maggio, la madonnina aveva ascoltato dall’alto il concerto di Radio Italia. Altrove a Milano musicisti e commercianti sono coinvolti in una guerra all’ultimo decibel – infinite le polemiche sul volume dei concerti a San Siro e sulla movida dei navigli. Ma qui tempo e amministrazione concedono clemenza: la serata comincia alle otto con l’esibizione del gruppo-spalla, i Garden of Alibis, giovane band torinese. Serata sotto l’insegna dell’Indie rock, genere che al giorno d’oggi ”tira”, con meriti variabili, e di cui le due band sono alfieri.
L’esibizione delle promesse torinesi (il cui primo album è in fase di lavorazione) termina tra cortesi applausi e gratuita attesa: tutti si aspettano che il palco venga occupato in fretta dalle star della serata. I Kasabian, sulle scene ormai da un quindicennio, sono freschi di elezione come ”Miglior band britannica 2012” dal prestigioso NME (ciò conferma lo stato confusionale del rock d’oltremanica): sono noti inoltre per le loro muscolari esibizioni live, che virano volentieri sul rock psichedelico. Purtroppo, però, sorgono problemi. I Kasabian, attesi sul palco alle nove, ritardano dieci minuti, mezz’ora; si presentano sul palco solo alle 21:52, ora della madonnina.
L’inizio è buono, con la hit ”Days are forgotten”. Sembra filare tutto liscio: la gente canta, balla, accenna il pogo (!), si entusiasma – forse troppo. Come a ogni concerto, la massa umana spinge in avanti; ma stavolta sfonda le barriere antipanico poste a pochi metri dal palco. Il cantante è costretto ad annunciare una pausa di cinque minuti per far rientrare l’emergenza. Mugugnii dal pubblico. Il presentatore della serata esce per chiedere a tutto il pubblico di ”fare un passo indietro”, e si prende fischi; i turisti inglesi osservano il Duomo trovandolo più interessante del concerto dei connazionali.
Resta da chiarire il motivo del cedimento delle barriere. Secondo i volontari dell’assistenza medica, la gente è stata più del previsto – di conseguenza è stata maggiore anche la calca. Un successo, per il gruppo. Per fortuna, le barriere di oggi sono progettate in modo diverso da metà degli anni ’70, quando ad un concerto degli Who, una dozzina di persone morirono schiacciate dalla folla in circostanze simili. Alla fine, il concerto riparte dopo una decina di minuti con la band che snocciola i suoi pezzi più noti, a partire da ”Velociraptor”. Purtroppo l’acustica della piazza non li aiuta: per quanto pittoresco, il luogo non è il più adatto ad ospitare concerti. La Galleria, cinquanta metri di fronte al palco, fa da cassa di risonanza e a chi ascolta sembra di avere un altro concerto alle proprie spalle.
Malgrado gli inconvenienti, la gente è molta. E soddisfatta: certo, le felici scelte della piazza e del prezzo ”più che popolare” hanno aiutato – oltre al cielo di un sereno raro, in questo periodo. Chissà, sarebbe stata altrettanta, se l’evento non fosse stato gratuito?
Stefano Colombo