Del: 23 Luglio 2013 Di: Redazione Commenti: 1

Nel 2005, un uomo di 71 anni, dopo essere stato fermato perché in viaggio su una macchina con un solo faro acceso, sbotta. Tutta la frustrazione e la disperazione accumulata straborda dai limiti della pazienza: l’uomo si lascia andare a uno sproloquio.
Tra le tante invettive, la frase: “In questo schifo di Italia di m….”.  Scatta la denuncia da parte di uno dei vigili. Dopo il lungo percorso del processo, la Cassazione lo condanna per reato di vilipendio alla nazione. Nella sentenza del 4 luglio si legge infatti: “Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva»; per integrare il reato, previsto dall’articolo 291 del codice penale, «è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente». Il reato in esame, spiega la Suprema Corte, «non consiste in atti di ostilità o di violenza o in manifestazioni di odio: basta l’offesa alla nazione, cioè un’espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall’autore».

bella italiaSe una simile sentenza può far sorridere – con tutti i problemi legati alla giustizia in Italia, in realtà il discorso da fare è un altro.
L’uomo, infatti, si sfogò e pronunciò tale frase incriminata nei confronti del proprio Paese. Ultimamente, per numerosi motivi, non è difficile essere testimoni di reazioni di questo genere davanti alle notizie quotidiane. Che fare, dunque? Denunciare il proprio vicino di casa? Tapparsi le orecchie quando un amico si sfoga? Censurarsi pronunciando frasi politically correct (“In questa diversamente bella Italia di escrementi”)?
Pochi giorni fa il vice presidente del Senato (!) Roberto Calderoli ha deciso di prendersi le prime pagine dei giornali con una frase che ha dell’incredibile nei confronti della Ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge. Si tratta di un ultimo esempio di una lunga lista di offese che seminano l’odio e il male. Il male che ha fatto Calderoli con quelle parole non è calcolabile e ha dell’incredibile.

Il vice presidente del Senato (!!) ha chiesto scusa (con frasi ancor peggiori) e non si è dimesso. Al momento del comizio (“Non posso non pensare ad un orango”) nessun vigile o carabiniere pare aver preso nota della frase per poi denunciare a chi di dovere l’accaduto. Calderoli non si è dimesso, qualcuno ha gridato timidamente allo scandalo; tra qualche mese nessuno si ricorderà di questo fatto (molto probabilmente perché ci sarà un’altra uscita portentosa del vice presidente del senato [!!!]).
Molti, a questa notizia, avranno reagito pronunciando la fatidica frase di quell’uomo di 71 anni. Eppure c’è da chiedersi se sia giusto dare un epiteto simile al Paese. La colpa ricade sì su un’intera nazione, soprattutto agli occhi della stampa estera, ma il dito andrebbe puntato solo sulla persona. Quella stessa persona che fa dell’Italia un paese di m… L’Italia è infatti un Paese bellissimo, straordinario e con grandissime capacità (e una Storia che tutto il mondo può sognarsi). La condanna della Cassazione è certamente un’esagerazionechi scrive dovrebbe pagare tanti arretrati e soprattutto sposta l’attenzione da problemi più seri e più importanti: quei problemi che stanno ridicolizzando il Paese. Sono le persone che lo vivono, lo abitano e, molto spesso, lo governano.

Daniele Colombi

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