“È emozionante vedere dalla riva un vascello lottare contro le onde che lo vogliono inghiottire, come pure guardare una battaglia da un’altura, da cui si assiste in piena sicurezza”
Riflessioni critiche sulla poesia e sulla pittura, Jean-Baptiste Du Bos, 1719.
Nelle sue ampie riflessioni, il filosofo francese Du Bos teorizza la sua visione del piacere e del dolore nell’arte. In relazione al dolore, egli sostiene che il dolore fisiologico o la sua trasposizione rappresentativa (nell’arte appunto) non porta tanto al piacere, quanto alla dimenticanza di se stessi. Un discorso che andrebbe ampliato e discusso a lungo, ma questi sono ottimi spunti per commentare ciò che, in questo momento, sta prendendo sempre più piede nei media: la morte in diretta.
Le tragiche notizie degli ultimi mesi —l’incidente mortale durante la gara di moto di Antonelli a Mosca, il treno deragliato in Spagna, l’autobus precipitato dal viadotto autostradale in Italia —e gli avvenimenti che colpiscono da anni il mondo (omicidi, guerre, violenze di ogni tipo) hanno letteralmente invaso i media, ma sotto un punto di vista preoccupante.
Video, immagini, contributi, dettagli sono spalmati sulle prime pagine non tanto per creare scalpore (finto intento mirato al pubblico) quanto per ottenere più clic possibili (il guadagno online deriva proprio dal numero di clic e visualizzazioni).
Ecco allora la morte in diretta, in tutta la sua tragicità. Il video, con tanto di lente di ingrandimento, del motociclista Antonelli investito da un suo compagno sportivo; il video del treno che imbocca una curva troppo velocemente e deraglia contro un muro; le immagini delle lamiere dell’autobus e dei corpi estratti. Ci si abbandona poi a dettagli che servono a poco o a nulla, se non a stuzzicare la morbosità di chi resta a guardare al di sopra di una scogliera la tragedia in atto.
Che cosa spinge a voler assistere a questi eventi in (falsa) diretta? Perché voler assistere alla morte di esseri umani? Quando ci si accorgerà che, a furia di filtrare tramite video la realtà, non saremo più in grado di provare pietà, commozione, tristezza? Perché, triste verità, presto o tardi ci si abitua alle cose. Del resto siamo abituati a vedere la morte in video al cinema, anche se, andando a vedere un film, siamo predisposti ad accettarla, sapendo che si tratta comunque di finzione. Ma chi ci può assicurare che un video di un treno che deraglia (preso in diretta) non ci faccia scattare più la morbosità di assistere a una scena ad effetto piuttosto che colpirci emotivamente, nel profondo?
Bisogna continuare a fermarsi davanti al lutto, lasciar perdere i dettagli sanguinolenti, eccessivi, lampanti, catastrofici. Bisogna imparare a rispettare il silenzio di un mistero così grande come la morte (e imparare a fare silenzio durante un minuto di commemorazione); bisogna lasciarsi colpire da tragedie di questo genere, senza aspettare di vedere un video o una foto che ci possano stupire.
Daniele Colombi