Del: 29 Settembre 2013 Di: Redazione Commenti: 0

A quasi un mese da quando Renzo Piano è stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica, Vulcano ha deciso di realizzare un servizio sull’ultima fatica dell’architetto genovese, il MuSe – il Museo delle Scienze – di Trento, inaugurato il 27 luglio scorso. Siamo saliti su un treno e siamo andati nella città del Concilio alla scoperta di alcuni dei motivi che possono giustificare la nomina a vita al Parlamento.

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Celebrato come il simbolo di tutto quanto di più moderno, ecosostenibile e internazionale c’è in Italia, il MuSe rappresenta anche uno dei fiori all’occhiello della ricerca scientifica, architettonica e didattica europea. Tra linee essenziali e colori dai toni chiari, il museo è interamente presentato in tre lingue, italiano, inglese e tedesco.

Costruito con tecniche ecosostenibili, il complesso si erge sulle rive dell’Adige, sul terreno un tempo appartenuto alla Michelin e ora sede del nuovo quartiere residenziale “Le Albere”, anch’esso progettato dallo studio Piano. Immediatamente riconoscibile grazie alla copertura in vetro e acciaio, l’inconfondibile profilo del MuSe ricorda quello delle montagne circostanti, la cui storia e il cui ambiente si propone appunto di raccontare.

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I vari piani del museo – dedicati alle diverse discipline scientifiche, dalla fisica alla biologia, dalla geologia alla genetica – sono tutti idealmente compresi nel cosiddetto “Great Void” centrale, un altissimo spazio verticale che unisce il tetto al livello del terreno. Popolato di animali impagliati sospesi a sottilissimi cavi, che contribuiscono a definire profondamente una delle parti più spettacolari dell’intero complesso, in esso è applicato il principio della “gravità zero” tanto caro a Piano: all’interno del museo, persino i reperti minerari più pesanti sono stati sospesi in aria con funi e tiranti d’acciaio.

Accanto a pezzi più tradizionali come il grande scheletro di balena che adorna il piano terra convivono soluzioni espositive più moderne e aperte anche a una dimensione ludica: gli uccelli diventano aerei di linea, e le grandi migrazioni sono presentate su display che riproducono il tabellone delle partenze tipico degli aeroporti. Tra le attrazioni che attirano maggiormente i visitatori vi sono le nuove stampanti 3D, il cui funzionamento è concretamente spiegato mediante la produzione di piccoli prototipi realizzati in fibra di amido di mais. Tuttavia il pubblico si sofferma anche davanti alle sezioni più “serie” dedicate alla prevenzione idrogeologica e all’attività della protezione civile, i cui compiti vengono spiegati grazie a modellini realizzati dai ragazzi della vicina facoltà d’ingegneria. Un disco trasparente e poche palline di polistirolo sono sufficienti a spiegare i fenomeni fisici che danno origine alle valanghe, illustrandone le dinamiche e i rischi.

Un’ampia sezione del museo è occupata dalla serra tropicale, che ospita la ricostruzione di un ecosistema montano dell’Africa centro-orientale, dove il museo ha sviluppato da anni un importante progetto di ricerca.

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Tuttavia quest’ambiente affascinante, che pure è una delle parti più visitate dell’intero museo, è stato anche oggetto di alcune tra le critiche più feroci al progetto del MuSe, soprattutto da parte delle amministrazioni locali. Perché investire i soldi dei contribuenti per realizzare una serra tropicale, per giunta nel bel mezzo delle Dolomiti?

E’ stato lo stesso Piano a rispondere, impegnandosi a difendere e a sdoganare la realizzazione della serra. Oltre agli evidenti vantaggi per la ricerca, la cos

truzione della serra ha provocato ricadute positive sulla popolazione locale tanto dal punto di vista della didattica (con la partecipazione di scolaresche e studenti dell’Università), quanto da quello del coinvolgimento della popolazione locale. I residui vegetali potati dai giardinieri, ad esempio, non vengono rimossi, ma lasciati in terra a disposizione dei visitatori; con i prodotti alimentari delle piante accolte nella serra vengono organizzate regolari – e apprezzatissime – degustazioni di frutti e cibi tropicali.

Quello dell’interattività è appunto uno dei concetti portanti intorno a cui è stato realizzato il progetto scientifico e didattico del MuSe, non solo all’interno della sezione dedicata alla botanica. I pezzi esposti sono per quanto possibile a disposizione del visitatore, che li può toccare, rigirare ed esplorare a proprio piacere, e i laboratori in cui lavorano i ricercatori del museo sono trasparenti e visitabili anche dal pubblico. Un’ampia sezione è dedicata all’apprendimento dei bambini, che possono scoprire come sdraiarsi su un letto di chiodi senza ferirsi provando l’esperienza in prima persona.

MuSe (3)Bisogna però ricordare che il museo non costituisce solo un polo culturale, ma anche e soprattutto un luogo d’incontro e di socializzazione per i cittadini, come fortemente voluto dallo stesso Piano: gli ambienti di ristoro come il bar e i giardini restano infatti aperti anche nel giorno – il lunedì – in cui le sale del museo rimangono chiuse.

Nonostante alcune piccole sorprese in negativo (i tanto decantati pannelli fotovoltaici coprono per ora solo il 2% del fabbisogno energetico del museo), il MuSe è senz’altro un ottimo motivo per una gita fuori porta a poco più di due ore di treno da Milano, e una delle testimonianze interessanti che in Italia qualcosa di buono, ogni tanto, viene fatto.

Giovanni Masini

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