Martedì 15 ottobre era uscito un articolo sulla London Sperm Bank per la rubrica “Cronache da Londra” ma, a causa di polemiche all’interno della redazione e commenti poco lusinghieri lasciati sul sito, è stato rimosso dopo un paio di ore.
Ve lo riproponiamo seguito da due lettere di risposta scritte dai redattori Francesco Floris e Alessandro Massone. Inoltre, nel podcast di questo giovedì torneremo a parlare di donazione di sperma e genitorialità con Giovanni Masini, autore dell’articolo, e alcuni ospiti di GayStatale, cercando di offrirvi una panoramica a 360° sull’argomento.
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La metropolitana di Londra, si sa, è famosa in tutto il mondo per essere la più antica del pianeta, una delle più estese e celebrate, immortalata in innumerevoli film e romanzi.
Rifugio per i londinesi dalle bombe tedesche durante la seconda guerra mondiale, l’underground, con il suo simbolo bianco rosso e blu, è ormai diventata un’icona globale della capitale britannica.
La tube ha tuttavia un’altra caratteristica singolare che la distingue, ad esempio, dalle sue omologhe italiane: una volta a bordo, non parla nessuno. Non si chiacchiera nemmeno con i propri amici, neanche se lo si stava facendo fino al momento prima sulla banchina. Silenzio tombale.
Così, non avendo molto da fare, visto che – strano ma vero – il cellulare non prende, capita di mettersi a scorrere quegli avvisi pubblicitari affissi sopra le porte, di quelli che non si leggono mai.
Una pubblicità progresso, se così si può chiamare, colpisce la mia attenzione: tra avvisi contro i pericoli del fumo e a favore della protezione della maternità, campeggiano numerosi gli inviti a donare sperma, presso il centro di raccolta denominato London Sperm Bank.
In cambio di una donazione di seme si ricevono £35 – poco più di quaranta euro – e si realizza il sogno di una donna che, per i più svariati motivi, non riesce ad avere figli.
Quando esco dalla metropolitana e torno a casa, tra le pubblicità della home page di Facebook, mi compare lo stesso spot. Visitando il sito www.londonspermbank.com si scopre che in Gran Bretagna c’è apparentemente gran bisogno di donazioni, con una domanda in costante aumento e riserve di seme non sufficienti.
Viene spiegato come siano sempre più le categorie di persone che potrebbero beneficiare delle donazioni: coppie sterili, coppie di donne lesbiche, donne single, tutte categorie a cui non possiamo negare il “diritto” ad avere un figlio, le cui vite potrebbero essere cambiate da un nostro (parlo ai maschietti) gesto di generosità – generosità che, anche se poco, è pagata in moneta sonante.
Avrò senz’altro una mentalità antiquata, ma tutta questa faccenda mi ha turbato un po’. Mi pare evidente che chi si presenta alla Banca per donare il seme non è poi interessato a conoscere il frutto del proprio gesto – altrimenti lo elargirebbe direttamente alla donna che ama. Con ogni probabilità, quindi, i bambini nati dalla Banca del seme di Londra, cresceranno per la maggior parte senza conoscere uno dei propri genitori biologici.
Lo so, lo so, meglio crescere in una famiglia con due genitori adottivi piuttosto che allevati da genitori naturali degenerati o violenti: ma la casistica non ci porta lontano, dal momento che proseguendo su questa strada si potrebbe dire che è meglio andare in bici con un freno rotto piuttosto che con entrambe le gomme a terra. E’ evidente che degenerati e violenti esistono tanto tra le coppie omosex, quanto tra quelle eterosessuali, quanto tra i genitori single.
Al di là della posizione dei bambini – su cui ritornerò poi – non posso non pensare, da uomo, alla sensazione di abbandono che proverei sapendo di avere un figlio sparso per il mondo di cui conosco poco o nulla. Alla sensazione che potrei provare allontanandomi dalla Banca del Seme, dopo aver ricevuto quaranta euro in cambio della possibilità di aver dato la vita a un essere umano. E non sto nemmeno qui a parlare della possibilità di andare a donare sperma tutte le settimane, procreando dozzine di figli, da qui alla fine dell’età fertile maschile, ben oltre i sessant’anni. Sono solo io a pensare che non si tratti di qualcosa di normale? Che la natura e l’istinto dell’essere umano, culturalmente plasmato, se si vuole, da secoli di civilizzazione, è quello di amare e curare la propria prole? Sono l’unico a cui l’idea che il richiamo dei soldi in cambio di quella che – la si voglia chiamare con termine più o meno poetico – è la fonte della vita, sia essenzialmente immorale?
Prendere la metro, leggere un annuncio, donare lo sperma (l’unico caso di dono che non è gratuito ma retribuito), e tornarsene tranquillamente a casa, non è forse la spia di un panorama antropologico e intellettuale in cui l’etica giace dimenticata nelle pagine dei libri di filosofia? Possibile che nessuno si interroghi sulla moralità di una pubblicità del genere, che nessuno abbia paura di sfidare la pubblica gogna – innalzata sotto la ben nota e inflazionatissima etichetta di “moralismo” – a cui è ormai sottoposto chiunque osi parlare di etica e di morale?
Forse sbaglio a pensare che il compenso in denaro attragga in primo luogo chi ha meno disponibilità economiche, umiliandone il diritto ad amare ed accudire la propria prole? La cessione della genitorialità come ultima frontiera della sussistenza?
Forse, voglio fare una provocazione, tutto l’impianto della London Sperm Bank si riduce ad un pretesto la cui unica funzione è quella di rendere più anonima la vendita – ed uso questa parola, dura, non a caso – di un figlio. Da qui alla vendita di un figlio già concepito, il passo è breve.
Mi si potrà obiettare che una banca del seme garantirà un maggior livello di controlli sanitari, evitando fecondazioni di spermatozoi ed ovuli non perfettamente sani, e permettendo una migliore selezione degli embrioni: eugenetica, in parole povere.
Mi si potrà obiettare che qualcosa del genere accade già con le donazioni di sangue, plasma e altro materiale organico: ma, in Italia almeno, le donazioni sono volontarie e non retribuite, e comunque donare il sangue non genera un’altra vita nuova, non consente la nascita di un nuovo soggetto vivente e pensante.
Vorrei chiudere con un appello, per quanto idealista e privo di ogni efficacia pratica: che i donatori di sperma rifiutino il compenso di £35, l’equivalente in denaro di una serata al pub. Che il cosiddetto “diritto” di avere figli almeno sia un diritto alla portata di tutti, e non cedibile ad altri in cambio di pochi spiccioli.
Forse solo rifiutando quei soldi potremmo davvero definirci uomini, e dare un senso a quello slogan, “be a man”, che pubblicizza l’attività della London Sperm Bank.
Giovanni Masini
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Ci tengo a precisare un punto: ho un enorme rispetto delle opinioni personali, se sufficientemente articolate, quand’anche considerate “retrograde” o “antiquate”, parole che solitamente vengono utilizzate per denigrare l’interlocutore senza colpire nel merito delle sue argomentazioni.
In secondo luogo nutro rispetto personale per il redattore che nella giornata di martedì quindici ottobre ha pubblicato su questa testata un articolo dedicato alla London Sperm Bank; rispetto che deriva dall’attenta lettura dei suoi articoli, ogni qual volta se ne presenti l’occasione.
Posto che questo è il terreno sul quale si gioca e che alcune delle argomentazioni portate a favore della sua tesi sono ben più che semplici spunti di riflessione, mi permetto di far notare una serie di snodi critici sui quali forse è opportuno soffermarsi.
Primo: le pubblicità “sociali” nel Regno Unito sono tradizionalmente più incisive o provocatorie di quelle realizzate in casa nostra e questa è la principale ragione del loro successo; spesso si sostiene che i comunicatori nostrani dovrebbero prendere a riferimento il modello anglosassone e a nulla valgono le critiche di amoralità, perché la pubblicità semplicemente non si serve di questo metro di giudizio, ma piuttosto di quello dell’efficienza, dell’efficacia comunicativa.
Questo che ci piaccia o non ci piaccia.
Secondo: non capisco quanto possa essere rilevante la questione delle 35 sterline per donazione di sperma e non penso che l’opinione del redattore cambierebbe se si trattasse di un più cospicuo pagamento (poniamo mille sterline), né tanto meno se la donazione avvenisse gratuitamente, visto che anche in quest’ultimo caso i termini del problema, come l’abbandono di una vita o l’assenza di uno dei due genitori naturali, rimarrebbero inalterati.
Considerazioni di ordine morale sulla compravendita sono quindi irrilevanti, malgrado gli effetti retorici che in altre sedi godrebbero di una propria validità.
Il Servizio Sanitario Nazionale concede una somma di denaro ai donatori per incentivare una pratica che altrimenti andrebbe deserta.
In Italia il sangue si dona gratis e questo approccio integerrimo purtroppo comporta notevoli deficit di raccolta, con relativi problemi sempre più profondi nell’elargire alla popolazione cure gratuite e adeguate.
Terzo: ho la sensazione che l’autore talvolta non noti la differenza che intercorre fra etica e morale; detta in soldoni, la prima appartiene all’agire sociale, politico se vogliamo, mentre la seconda è di stretta ordinanza individuale.
Nessuna istituzione può obbligare la singola persona a donare sperma, plasma, sangue, organi o quant’altro contro la sua volontà, ma è altrettanto chiaro che nessuna persona dotata legittimamente di una morale integra possa obbligare gli altri membri della società a comportarsi secondo i propri valori.
Per questa ragione esistono le istituzioni, che cercano di mediare fra queste due conflittuali componenti, lasciando libertà di coscienza su alcune tematiche, nell’interesse generale.
Quarto: nel sito della London Sperm Bank viene chiarito che la pratica della donazione non può proseguire finché morte non ci separi, ma fino ai 41 anni di età, previa continue visite mediche e colloqui sulle conseguenze della donazione stessa; l’ipotesi quindi di un donatore seriale che ne faccia una forma di sussistenza (poi mi si spiegherà a quali lussi della vita mondana si accede a Londra con trentacinque sterline a settimana) mi suona francamente assurda. Inoltre se un fatto risulta amorale, lo è a prescindere dal numero di volte in cui si ripete, mentre se una nazione decide di chiedere a gran voce donatori di sperma (come avviene evidentemente in Inghilterra) si avranno alcuni casi di persone “professionalmente” adibite a questo servigio.
Non credo che realmente accada tranne che nei libri di Huxley, ma in ogni caso non ci sarebbe nulla di male.
Quinto: usare le nozioni di istinto e umana natura in un articolo divulgativo e senza meglio specificare conduce verso sentieri rovinosi.
Una volte per tutte: l’uomo non ha istinti, al massimo pulsioni o residui istintuali; gli istinti sono risposte rigide ad uno stimolo, alle quali non ci si può sottrarre mai.
Per quanto riguarda l’umana natura, concetto su cui sono stati scritti tanti di quei libri da riempire la Biblioteca di Babele, meglio non pronunciarsi.
Di certo essa non può essere ricondotta all’amore e alla cura della propria prole, come avanzato nell’articolo, a meno di non voler giudicare contro natura preti, scapoli, asceti e in generale tutti coloro che decidono di non avere figli, di non riconoscerli, di non amarli o di non prendersene cura per le più svariate ragioni.
Diciamolo chiaramente: ciò che è contro natura semplicemente non accade perché non può accadere.
Sesto: se si decide di muovere critiche alla fecondazione artificiale e ciò che essa comporta, inclusa la donazione di sperma, allora bisogna essere critici anche nei confronti dell’interruzione di gravidanza, dell’accanimento terapeutico, dell’eutanasia, della sperimentazione sulle staminali – in generale di qualunque pratica medica, anche quelle più comuni. Perché?
Perché la medicina è per sua stessa essenza manipolazione della vita, “gioco” con la vita e con il corpo umano, essa accorcia o allunga qualcosa che invece avrebbe una sua scadenza “naturale”.
Questo è controllo biopolitico – perché di controllo si tratta – ma non se ne può fare a meno purtroppo o per fortuna e comunque non è un fenomeno riguardante l’ultimo secolo o gli ultimi decenni.
Semplicemente ora viene problematizzato anche perché assume proporzioni mastodontiche.
Ben vengano articoli e opinioni che mettano sotto attacco le verità assodate dei reazionari come dei progressisti – per usare questa dicotomia –, che creino nuovi spazi di discussione per la politica, l’etica, il diritto, la filosofia, la medicina e la scienza tutta, se necessario anche partendo dai propri valori.
Personalmente comprendo le istanze che hanno condotto l’autore a scrivere un pezzo di questo tenore; siamo essere parziali e spesso soccombiamo di fronte a ciò che non sembra avere limite – come appare ai nostri occhi la scienza, quand’anche votata ad un non precisato bene collettivo che talvolta si tramuta in disgrazia.
Lo sgomento ci appartiene e la negazione del progresso è quasi un’idea rivoluzionaria in un’epoca che brucia costantemente il suo passato; il sospetto nei confronti di ciò che viene acclamato da tutti come “futuro” è una grande arma di libertà intellettuale, ma bisogna usarla con cautela.
Quando si scrive e a maggior ragione quando si scrive un articolo che costituzionalmente non potrà affrontare tutti i risvolti di una questione complicata, si ha una doppia responsabilità: la responsabilità verso le proprie idee e la responsabilità verso le idee di chi ti legge.
Le nostre parole possono essere estrapolate, forzate semanticamente, travisate e condurre ad esiti negativi quel nostro iniziale pensiero mosso dalla buona fede.
Un modo di difendersi da questi rischi esiste: evitare di scrivere sulla base delle proprie sensazioni immediate davanti a un fatto, esonerarsi dalle proprie idiosincrasie, dai propri retaggi. Far parlare il pensiero autonomamente piuttosto che noi stessi, anche a costo di perdere autenticità e sentirsi traditi.
Anche questo significa “essere un uomo”.
Francesco Floris
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Idee. Sono tra le armi più affilate della nostra specie. Nascono innocue, personali, intime, e poi ci è insegnato come usarle come lente per deformare la realtà. Opinioni, e realtà.
La corrente costante di opinioni a cui siamo abituati ci ha fatto dimenticare quanto preziose e pericolose esse siano — scriviamo e parliamo e twittiamo il nostro sasso nel fiume e non ci pensiamo due volte. Il più delle volte è OK. Gran parte delle idee è innocua, alcune sono scemenze che non hanno conseguenze, altre sono incredibilmente pericolose. È facile riconoscere le idee genuinamente distruttive: scambiano monete di tristezza, di ingiustizia, di miseria.
Tre sono le idee alla base dell’opinione di Giovanni.
La prima è innocua, i donatori non dovrebbero essere pagati — poche sarebbero le conseguenze, ci sarebbe meno sperma e i donatori sarebbero impercettibilmente più poveri.
La seconda è buffa, e ruota attorno a questa importanza miracolosa che viene data allo sperma.
La terza è violenta, e mette in dubbio che la maternità sia un diritto di tutti. È un’idea distruttiva, che non porta niente di buono a nessuno e tanta tristezza nell’ipotetica vita delle persone non approvate da Giovanni.
Forse, quando gettiamo il nostro sasso nella corrente, dovremmo provare a chiederci: “Sto rendendo in qualche modo il mondo migliore, o peggiore?”
Chiedere sia negato un diritto così intimo a chiunque è un’affermazione pesante, in nessun modo sostenibile, non “all’antica”, ma retrograda. Punisce i pochi e gli indifesi, colpevoli dell’imperdonabile crimine di essere pochi – per definizione diversi.
È un’idea pericolosa, ed è pericoloso rischiare che si diffonda, come finiscono per fare tutte le idee violente.
Dall’altra parte della virgola, la realtà.
L’intervento della scienza nella creazione della vita e i diritti delle famiglie fuori dal mainstream sono due degli argomenti più discussi e delicati di questi anni. Come spesso accade in questi ambiti la difficoltà è tutta artefatta, umana, e la realtà è più cruda e semplice.
Prendiamola da lontano.
Qualsiasi pretesa che lo sperma sia una forma di vita è fattualmente scorretta. La più diffusa definizione di vita è attualmente “Un sistema chimico autosufficiente capace di manifestare evoluzione darwiniana.” Se decidiamo di chiamare gli spermatozoi vivi, ce la sentiamo di estendere la definizione ai globuli bianchi?Almeno sono diploidi.
Viceversa, qualsiasi idea si abbia sul donare il proprio sperma per 35£, non si tratta di vendere il proprio diritto di paternità — una sentenza del 31 gennaio 2013 ha concesso il diritto ad un padre “venduto” di vedere il proprio figlio, nonostante la resistenza delle madri. Questa è un’area in cui è impossibile generalizzare, da entrambi i lati dell’opinione, e forse è meglio così.
Personalmente non posso concepire come si possa considerare maternità e paternità qualcosa di diverso dal crescere una persona. Una volta cresciuto, ovviamente, il bambino vorrà conoscere la propria provenienza biologica —ma quando incontrerà il suo padre “venduto” sarà un adulto, e quell’adulto sarà stato costruito da chi l’ha cresciuto, prima di tutto.
E ancora, eugenetica? È eugenetica quella di una donna che sceglie come partner e padre del proprio figlio un uomo alto e colto?
Tenendo le parole grosse per la conclusione, possiamo attaccare all’idea di “essere un uomo” mille significati: coraggio, protezione, generosità, fertilità. Quanto è uomo un aitante vigile del fuoco lo è un carismatico studioso, o un operaio che lavora fino allo stremo per mantenere la propria famiglia.
L’umanità è vasta e eterogenea.
Il futuro è abbracciare le nostre gloriose diversità.
Alessandro Massone