Del: 9 Dicembre 2013 Di: Redazione Commenti: 0

Martina Caironi, 23 anni, studentessa di Mediazione Linguistica e Interculturale all’Università degli Studi di Milano, ha incominciato a correre in seguito ad un incidente stradale in cui ha perso una gamba. Nel giro di poco tempo è diventata un’ atleta di grande rilievo, battendo per tre volte, l’ultima delle quali alle Paralimpiadi di Londra, il record del mondo nei 100 metri.

Prima di tutto volevo chiederti com’è successo l’incidente

E’ successo a Novembre del 2007, ero in motorino di sera, mio fratello guidava. Un pirata della strada ha invaso la nostra corsia, schiacciandomi la gamba. Hanno provato a salvarla ma non c’è stato molto da fare e dopo qualche giorno hanno dovuto amputarla. Mi sono risvegliata a fatto già avvenuto e non ho potuto fare altro che accettare. Uscita dall’ospedale, dopo tante operazioni di chiusura, ho cominciato la riabilitazione in vista della protesizzazione. La prima, a Budrio, non è andata bene, così sono andata in Austria, dove mi hanno fatto quella che indosso tutt’ora. da lì la vita è tornata a girare. Ad ogni passo che facevo, risalivo dal fondo a cui ero arrivata: in ospedale non riuscivo nemmeno a lavarmi da sola. Tornata a casa mi sono ritrovata a fare di nuovo tutte le attività di prima, però in un modo diverso: senza gamba è un’altra cosa. Mi sono ingegnata per fare tutto, sono anche andata a ballare una volta! Quando mi è arrivata la protesi è stato tornare a vivere davvero.

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Come ti è venuta l’idea della corsa? Correvi già prima?

No, quando ho avuto l’incidente giocavo a pallavolo, stavo anche salendo di grado, mi piaceva un sacco. Ci sono poi voluti due anni per sistemarmi da tutte le operazioni. Una volta a posto ho sentito la necessità di fare qualcosa di più. Perchè sì, prima impari a camminare e tutto, però non mi è più bastato, sono sempre stata sportiva. Lì dove ho fatto la prima protesizzazione ho visto delle foto di campioni che gareggiavano con le protesi. Tramite queste immagini ho preso coscienza dello sport paraolimpico. Mi sono informata, e poi mi è stata data questa protesi sponsorizzata dall’INAIL: cosa rara, di solito non regalano nulla. Per me è stata un’eccezione, mi hanno visto motivata, giovane e con un fisico atletico, quindi hanno deciso di investire su di me. Ma l’atletica a livello agonistico non l’avevo mai praticata, le gare le facevo con la scuola, non era una passione. Piano piano, cominciando ad allenarmi ho scoperto il piacere di correre.

A questo proposito, cosa senti quando corri?

Quando corro sento di essere padrona di me stessa, del mio corpo. Questa padronanza l’ho acquisita in un paio di anni. All’inizio è più un saltellare. Non è facile imparare, ti devi fidare molto. Alle prime cadute mi sono resa conto che era il risultato di fidarmi. Ormai sapevo che se avessi fatto quel movimento sarei caduta. Ma finchè non ti succede resti frenato. A quel punto ho potuto sperimentare sempre di più l’angolazione, la spinta. Poi quando corro che vado veloce mi sento bene, mi sento quasi come prima. Dico quasi perchè comunque il movimento è diverso. Non ho l’articolazione quindi devo affidarmi ad un ginocchio artificiale che si piega in base alla spinta che do, alla posizione del baricentro, e anche a questa lamina che fornisce la risposta elastica. E’ tutta biomeccanica, ma più usi la protesi più diventa naturale. Per me lo è adesso.

E le prime gare che hai fatto?

Ancora prima di avere la protesi da corsa mi han fatto fare lancio del peso per inserirmi nell’ambiente. Invece alla prima gara di corsa, ad Imola, ho stabilito il record italiano, ma sentivo di non aver fatto niente: tutt’ora a livello italiano non sento il brivido della gara perchè non ho avversarie della mia categoria. L’impatto col mondo dei disabili invece è stato fortissimo: le disabilità sono ancora più a nudo. Indossando dei jeans lunghi si può anche non notare, ma quando sei in pista hai i pantaloncini corti e una protesi che non ha una forma naturale, è una lamina. Devi abituarti a vedere sia gli altri che te stesso con questi ausili. Ho conosciuto persone con varie disabilità e questo mi ha aperto una nuova prospettiva. Da normodotata ho fatto un incidente e sono diventata disabile. Non è stato facile accettare non solo il fatto in sè, ma proprio la parola. Per esempio quando mia mamma mi aveva detto di farci dare il cartellino per la macchina, all’inizio ho risposto di lasciarlo agli anziani. Ho capito poi che certe agevolazioni come quella nella vita possono servire, bisogna prenderle senza aver paura della parola o di rientrare nella categoria. Alla fine uno può chiamarmi come vuole, ma di fatto la disabilità c’è. E confrontarmi con tutti questi atleti mi ha aiutato molto.

Per quanto riguarda le gare internazionali invece?

La prima l’ho fatta nel 2010 ad Olomouc, in Repubblica Ceca. Mi hanno mandato il borsone con la divisa della nazionale, e ho odiato questo fatto: non ero lì per portare i valori italiani o tenere alta la bandiera, erano 3-4 mesi che mi allenavo, ero lì per correre. Mi hanno fatto fare ancora lancio del peso, ho gareggiato con delle nane perchè in certi casi accorpano le categorie e danno punteggi diversi in base alla disabilità. Gareggiare con loro è stato strano, ma anche bello. Prima magari vedendo passare un nano sentivo che un pò mi dispiaceva. Una volta lì però li vedi come atleti, come persone. Sempre ad Olomouc nei 100 metri sono caduta, non sapevo che stavo giocando per la qualificazione ai mondiali. Quelli erano mondiali giovanili, e se avessi fatto un buon tempo sarei andata a quelli assoluti, ma non ne avevo idea. Per me era semplicemente una gara, e dopo la caduta mi sono rialzta e ho finito il percorso. Ho fatto anche salto in lungo che avevo provato qualche giorno prima, è andato bene e ho preso un bronzo.

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E poi nel 2012 record del mondo nei 100 metri. La sensazione?

Sì, quest’ultimo è stato l’anno della rimonta, con una serie di gare, fino alle Olimpiadi di Londra, che sono state un exploit. A Dicembre 2011 negli Emirati Arabi ho fatto 16”67, che non era record, ma un buon tempo. A Manchester questo Maggio ho fatto il record del mondo per un centesimo, 16”25. Arrivata al traguardo ero convinta che il record di prima fosse di 16 24, e quindi di averlo mancato per pochissimo. Infatti quando sono andata a segnalare il mio tempo era per registrare il record europeo. Mi hanno detto loro, con mia esultanza, che in verità era mondiale! In Giugno a Stadskanaal l’ho migliorato ancora, 15”89.
La sensazione è quella di prendere sempre più coscienza delle mie potenzialità imparando a correre come si deve. Perchè se si vedono filmati di un anno e mezzo fa, è una corsa sofferta. Invece le ultime sono corse grintose, in cui uso la gamba per spingere, anzi le uso entrambe. Adesso è un movimento più armonico, e c’è ancora da migliorare.

Parlando delle Olimpiadi di Londra, le gare sono state un successo.

Adrenalina pura! Non ho vinto il bronzo nel salto in lungo, come è scritto ovunque: ci si confonde con i tre che ho vinto ad Olomouc, La Sharjia e a Stadskanaal. A Londra per il salto in lungo c’erano le categorie accorpate, eravamo in 18 a fare la gara. Era la prima in assoluto che facevo alle Olimpiadi e l’emozione ha avuto il sopravvento. Ma è stato meglio, perchè se fosse stata quella dei 100 metri magari sarebbe andata peggio. Comunque il salto in lungo è andato male, ho fatto salti inferiori alle mie capacità. Poi mi sono rifatta con i 100 metri: ho battuto per la terza volta nell’anno il record del mondo con 15”87.

E l’atmosfera dell’Olimpiade?

Il villaggio olimpico è fantastico! E’ come una piccola città, atleti da tutto il mondo, bandiere sui vari terrazzi per indicare gli appartamenti delle nazioni. Ho conosciuto un sacco di persone. In fondo sei lì per fare una cosa che ti piace e che hai in comune con tutti loro: sei predisposto a parlare, nonostante la concentrazione è comunque anche un’esperienza personale. Poi ci si può confrontare in pista durante l’allenamento. Per esempio ho visto un ragazzo che aveva la mia stessa amputazione e faceva la partenza dai blocchi, che io ancora non riesco a fare e mi sono fatta spiegare. O magari incontri quello che ti parla della situazione politica del suo paese, o chi ti racconta la sua storia, di come è diventato disabile. C’era poi un’officina gratuita della Otto Bock, praticamente come una per le macchine, solo che per carrozzine e protesi. L’idea è che qualsiasi cosa succeda loro ci sono, ed è un notevole supporto.

E’ stata più vissuta la cerimonia di apertura o di chiusura? Credo ci fossero in gioco emozioni molto diverse.

Sì certo. La sensazione della cerimonia di apertura è stata quella di iniziare davvero. Com’è che si dice, “quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare”. La cerimonia di chiusura è stata bella, piena di rimandi a Rio, dove ci sarà la prossima Olimpiade. Comunque quando hai finito c’è una sensazione di nostalgia. Sai però che ce ne sarà un’altra. E quindi Rio!

Quale è stato l’elemento che ti ha più colpito?

Direi il pubblico. Perché senza non sarebbe la stessa cosa. Questo boato, questo pienone mi hanno fatto sentire importante. Non sono le telecamere, è proprio il contatto umano, la gente. Sentire che loro c’erano, partecipi, che a qualsiasi ora gli spalti erano pieni. Tu entravi in questo stadio gremito, che se non hai visto non puoi capire. Anche i giorni dopo le mie gare andavo a vedere le altre. E’ stata come una droga, non riuscivo più a staccarmene. Anche dopo l’ultima gara, quando vedevo che lo stadio si stava svuotando, non volevo andarmene via. Era bello stare lì e sentire gli applausi.

 

Ludovica de Girolamo

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