Del: 2 Dicembre 2013 Di: Sebastian Bendinelli Commenti: 0

Trascrizione dell’intervista originariamente pubblicata nella cinquantunesima puntata di Vulcano Radio Magma

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vago

GG: Lo stato di degrado delle sedi universitarie è ormai diventato proverbiale tra gli studenti: strutture fatiscenti, aule sovraffollate (come denunciato di recente dall’Espresso) mancanza di spazi essenziali (per esempio aree ristoro), sporcizia, vandalismo. Anche le biblioteche non brillano: orari di servizio spesso limitati, ambienti gelidi o incandescenti, servizio prestiti non sempre disponibile.
Con quali programmi e con quali fondi l’Università intende far fronte a questi problemi?

Io proverei a distinguere un po’ alcuni degli aspetti che avete sottolineato e che sono tutti ovviamente rilevanti in termini di servizi per gli studenti, nel senso che una parte di questi aspetti deriva da limiti strutturali delle sedi che noi utilizziamo (in particolare questa di Festa del Perdono, perché non è facile ricavare spazi in una struttura di questo tipo); una parte deriva anche da una certa eterogeneità, dal fatto che abbiamo molte sedi per la città con delle differenze di manutenzione e di solidità delle strutture; una parte deriva da difetti di organizzazione, per esempio il tema delle biblioteche; una parte ancora – il vandalismo – deriva da altro, insomma, da atteggiamenti “poco condivisibili”, su cui torneremo. Provo ad andare nell’ordine di quelle che sono le idee che stiamo seguendo e i programmi che vorremmo attivare. Il primo, gli spazi, prima di tutto in Festa del Perdono, che è comunque quella che soffre probabilmente di più rispetto alle altre. Io ho presentato in CdA, che l’ha approvato, un piano per il recupero di spazi studio e spazi aree ristoro all’interno di questa sede, sulla base dello spostamento, che dovremmo riuscire a fare relativamente a breve, di alcuni servizi (in particolare l’archivio e lo spazio della divisione biblioteche), e che prevede il recupero di aree che sono attualmente poco utilizzate o male utilizzate (ad esempio la sala lauree di scienze). Insomma, semplificando un po’, il progetto prevede che sostanzialmente tutto il primo piano degli edifici che si affacciano sul cortile del Filarete venga utilizzato come spazio studio, quindi sostanzialmente allargando l’attuale Biblioteca Centrale su tutto il perimetro di Festa del Perdono. Questo si dovrebbe accompagnare alla creazione di aree ristoro, in particolare in un paio di attuali aule, e alla revisione degli spazi dell’ex facoltà dove dovremmo ricavare delle aule per le tesi. C’è la copertura finanziaria, che è stata approvata proprio in questi giorni, quindi dovremmo iniziare i lavori a breve, partendo proprio dalla sala lauree di scienze, che è quella che possiamo più facilmente riadattare a spazio studio da subito. Allo stesso tempo avanzano tutti i programmi di messa a norma degli spazi, in particolare il piano antincendi, di cui appunto abbiamo approvato la copertura finanziaria. Accanto a questo io ho chiesto un piano di manutenzione straordinaria, e in parte gli effetti si sono già visti, perché sono stati ripuliti alcuni spazi tra i cortili.

Ma ho chiesto un piano di manutenzione straordinaria per le aule, perché alcune sono in uno stato non accettabile: mi è capitato anche personalmente di partecipare a un convegno un mese fa, trovando un’aula in condizioni non accettabili.

Questo è il tema della manutenzione, che è abbastanza complicato. Lo semplifico un po’ dicendo che stiamo in questo momento rifacendo la gara per il servizio di manutenzione dell’intero Ateneo, che è scaduta dopo quattro anni, e stiamo lavorando perché l’appalto non sia basato solo sul minor ribasso, come spesso viene fatto, ma anche su criteri di qualità, proprio perché il servizio sia efficiente. Dopodiché, che i bagni siano sporchi e che ci siamo i mozziconi di sigaretta nel cortile… È un altro tema che affronteremo.
Quanto alle biblioteche, abbiamo previsto – lo sapete – l’apertura di una sede della biblioteca centrale e di una biblioteca – quella di Veterinaria in città studi – in orario serale e il sabato e la domenica. Stiamo anche qui completando le procedure per l’assegnazione dei servizi di guardianìa. Abbiamo coinvolto gli studenti, a cui daremo dei contratti—come peraltro già avviene per le biblioteche. È un modello sperimentale che ci servirà a monitorare poi gli accessi e le iniziative. Dovendo tenere aperta la sede, per motivi proprio logistici, vorrei che questo si accompagnasse anche ad iniziative di altro tipo, culturali naturalmente, aprendo proprio gli spazi di Festa del Perdono. Il progetto in realtà si accompagna anche a una revisione che ho chiesto degli orari di apertura “convenzionali”, perché c’è troppa disomogeneità in questo momento negli orari delle diverse sedi e perché è fondamentale che anche di norma l’orario di apertura venga allungato almeno alle 7. Una chiusura alle 4 o alle 4.30 è priva di senso, perché voi finite lezione a quell’ora quindi francamente non serve a nessuno. Sugli ambienti gelidi e incandescenti, mi è stata fatta una segnalazione sulla Crociera… Di nuovo, questo dipende da limiti strutturali degli impianti di riscaldamento, che stiamo rivedendo con un piano che dovrebbe essere di risparmio energetico, in modo ottenere un risparmio economico oltre che evitare di fare una cosa stupida, com’è tenere caldi gli ambienti d’estate e gelidi d’inverno. I fondi, come vi ho detto, per questo gruppo di progetti ci sono. Si accompagnano anche a degli interventi sul diritto allo studio: abbiamo aumentato le borse di studio del 50% per gli studenti e abbiamo modificato le curve per la tassazione, abbiamo ridotto il costo dell’iscrizione. È un insieme di interventi abbastanza significativo, per un valore complessivo intorno ai 3,5/4 milioni di euro, se consideriamo anche gli interventi di edilizia. Credo però prioritari, almeno dal mio punto di vista.

AM: A proposito di servizi, c’era una volta una cooperativa libraria interna all’università che si chiamava CUEM. La CUEM ha chiuso da quasi tre anni. Ci sono stati strascichi giudiziari, poi l’occupazione da parte di un collettivo, lo sgombero, gli scontri, e la riassegnazione dei locali al servizio disabili. Oggi CUSL è l’unica cartolibreria interna all’Università. È accettabile che entro le mura di un’università pubblica svolga un’attività essenzialmente commerciale un’organizzazione così connotata dal punto di vista politico e religioso?

Anche qui distinguerei le cose, perché le vicende sono un po’ diverse. La CUSL, al di là delle connotazioni—su cui poi mi riesce difficile intervenire, nel senso che anche la CUEM era connotata politicamente…

AM: Però ce n’erano due.

Sì, appunto, stavo arrivando al punto. Lo dico per dire che non è un tema nostro, quello della connotazione politica, a meno che non comporti degli atteggiamenti o delle decisioni che invece non rispettano la regolamentazione che l’università si è data. Quindi, diciamo: che la CUSL sia connotata politicamente è un tema che rispetto alla questione dei servizi degli studenti è differente… Il fatto che non ci sia un’altra libreria è legato a motivi diversi, storicamente al fatto che la CUEM non ha retto la sostenibilità finanziaria che le era stata richiesta, non da me, ma dall’amministrazione precedente. Che però è quella che viene chiesta anche alla CUSL. La storia della CUEM, per come l’ho ripresa io, è una storia che non ha avuto esiti, nonostante la mia offerta di spazi agli occupanti, semplicemente purché questo venisse ricondotto a un minimo sistema di regole. Io avevo chiesto loro la riconoscibilità attraverso la costituzione di un’associazione studentesca. A questo è stato posto un rifiuto netto, perché questo contrastava con l’idea che – per quanto riesco a capire – loro hanno dell’università.

Ex–Cuem

Da lì in poi il punto è che non è accettabile una situazione completamente illegale, per come la vedo io. Nulla vieta che di fronte a proposte, anche politicamente differenti da quelle della CUSL, si riprenda in mano interamente la questione. Senza la minima chiusura, ve lo assicuro… Come sapete stiamo lavorando su altre iniziative studentesche, come la radio dell’Ateneo, rispetto alle quali non intendo nemmeno chiedere qual è la posizione politica, non mi interessa.

AM: L’anno scorso ci fu un avviso pubblico (di cui abbiamo discusso col professor Simonetta quando gli eventi dell’ex CUEM avevano visto quella “piccola” escalation) per l’apertura di una nuova cooperativa libraria. Può dirci chi rispose? Come andò a finire quella storia? Perché a oggi non esistono altre cartolibrerie in Università?

Il bando pubblico ha avuto due domande che poi in realtà sono state ricondotte a una sola proposta attraverso una serie di incontri che la commissione ha avuto con i proponenti.

Il CdA alla fine ha ritenuto però che la proposta avesse – diciamo – delle caratteristiche evidentemente commerciali e non rispondesse ai requisiti previsti nel bando, che appunto volevano ci fosse una connotazione legata all’associazionismo studentesco.

Sostanzialmente si trattava di una proposta di libreria, con temi proprio normativamente difficili da accettare. Noi abbiamo avuto un contenzioso negli anni scorsi con altre librerie esterne proprio in ragione dell’obiezione che era stata avanzata, perché evidentemente si tratta di una situazione che comporta una competizione non leale… Nel senso che, essendo appoggiata dall’università, un’organizzazione di questo tipo ha un vantaggio competitivo rispetto alle altre strutture.
Sul perché non esistano altre librerie, torno alla domanda di prima: occorre che ci sia una volontà, degli studenti che si ritrovino e riconoscano in questo una ragione di attività. Da questo punto di vista io sarei ben lieto se accadesse.

GG: L’otto novembre il Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza l’8 novembre ha dichiarato: “Abbiamo pensato di risparmiare, bloccando il turnover per anni ma ciò significa la morte dell’università e della ricerca. Risparmiare sul turnover vuol dire chiudere le porte a ciò che è fondamentale per l’università: il ricambio generazionale.”
Nel nostro Ateneo diverse cattedre sono in mano docenti quantomeno over–sessantacinque. Come intende porsi nei confronti di queste dichiarazioni e, se concorda, come l’Università vuole organizzare concorsi, assegnazione di nuove cattedre e turnover?

Concordo, concordo totalmente, nel senso che per anni il ricambio è stato frenato e bloccato anche dalle successive riforme e variazioni normative che, ahimè, hanno creato delle situazioni molto complicate, non ultima quella dell’abilitazione che temo avrà una soluzione molto complessa. Purtroppo non ci sta facendo risparmiare tempo, onestamente, anche se naturalmente era legata a un’idea di selezione che condivido. Il fatto che ci siano dei docenti over sessantacinque in questo momento non è assolutamente illegittimo. È stata invece presa una decisione rispetto alle richieste di proroga avanzate da alcuni dei nostri docenti settantenni (voi sapete che la legge prevede la possibilità di una proroga a discrezione dell’amministrazione): l’Ateneo, il CdA e anche il senato accademico hanno concordato nel restringere notevolmente le condizioni che consentano il permanere in ruolo dei docenti. Nei fatti nessuna delle richieste fino ad ora avanzate è stata accettata. Il tema del ricambio generazionale impatta anche col tema dell’autonomia gestionale delle università, nel senso che noi siamo tenuti a una programmazione che viene dal ministero, che ci attribuisce i cosiddetti punti organici: ogni anno destina delle risorse per le chiamate, lasciando poi ai singoli atenei un minimo di autonomia nello scegliere quali chiamate fare e su quali fasce farlo; quindi noi siamo legati alla normativa nazionale. La mia posizione sul turnover è che non c’è nessun intento punitivo nel fatto che si sia deciso di non dare proroghe, perché se si sposta la discussione su questo livello francamente si creano delle situazioni inutilmente sgradevoli…

Nessuno vuole rottamare nessuno, anzi più volte ho detto che molti di quei docenti settantenni sono persone che possono dare un contributo anche importante all’Università. La mia posizione è però diversa e riguarda proprio il ricambio: io credo che un sistema non patologico debba prevedere un ricambio funzionale sulle posizioni di gestione, cosa che in realtà in questo paese si fa fatica ad accettare, e non solo all’interno dell’università.

L’università riflette una difficoltà vera e profonda di questo paese nell’accettare il sistema del ricambio perché lo vive in maniera sempre conflittuale, come se fosse uno scontro continuo, mentre è a mio modo di vedere un elemento fondamentale per la fisiologia di un sistema di potere—nel senso positivo del termine. La cosa che non funziona è che ogni volta dobbiamo tornare su questo tema, e dobbiamo tornarci in questa maniera storta, e infatti il risultato è che intere generazioni nell’ambito dell’università rischiano di essere completamente annullate rispetto ai ruoli di gestione. Questo lo si vede poi nella ricerca in maniera clamorosa, dove  quello che sta succedendo è che stiamo perdendo generazioni. Perché se ne vanno dal paese.

chimica

AM: Il nostro sistema universitario si trova costantemente al fondo delle graduatorie internazionali (rapporto OCSE 2012); qui in Statale in realtà il livello della ricerca scientifica è qualitativamente alto—come testimoniano le diverse pubblicazioni su alcune delle riviste più prestigiose.
In tempo di controllo della spesa pubblica, quali sono gli investimenti previsti per la ricerca, e per quella umanistica in particolare, che troppo spesso viene lasciata da parte?

Lei parla degli investimenti pubblici?

Sì.

Be’, dunque, c’è sostanzialmente un’osservazione condivisa sul fatto che il finanziamento del sistema della ricerca in Italia sia tra i più bassi dei paesi OCSE (tra l’altro c’è anche il rapporto 2013 in aggiornamento). Il dato più disarmante è che quella statistica, a cui fate riferimento, racconta anche che

nel quadriennio 2008-2012, cioè nel quadriennio della crisi finanziaria ed economica, noi siamo insieme all’Ungheria l’unico paese ad avere diminuito gli investimenti in ricerca.

Quello che è più disarmante è che la risposta alla crisi in molti paesi è stata di reinvestire sulla ricerca e sull’innovazione, nell’idea – che ormai è abbastanza confermata dai dati e dalla letteratura – che proprio la ricerca scientifica e l’innovazione costituiscano comunque motori per lo sviluppo complessivo del paese, non solo nell’ambito della ricerca stessa. In termini occupazionali, per esempio, quello dell’innovazione è un settore che ha un moltiplicatore potentissimo nella creazione di posti di lavoro. Il PRIN, cioè il sistema con cui il ministero finanzia la ricerca in Italia, lo scorso anno ha investito una cifra di poco inferiore ai 40 milioni di euro, quest’anno nemmeno quello. Si fa fatica a intravvedere un’inversione di tendenza. C’è stato e c’è il problema della quota premiale, che era sparito e forse adesso ricomparirà ma… Non è una situazione molto facile. Noi in realtà siamo in un sistema in cui ancora il livello della ricerca, come voi sostenete correttamente, è alto—almeno in termini di pubblicazioni, poi in termini di prodotti e di trasferimento molto meno; ma in termini di pubblicazioni certamente, soprattutto in alcuni settori, siamo molto bravi. Si dice che facciamo più fatica a recuperare i fondi dei finanziamenti europei ma anche questo è un dato che andrebbe analizzato con molta cura, perché in realtà, avendo noi un numero di ricercatori nettamente inferiore a quello di altri paesi europei, è chiaro che possiamo presentare anche meno progetti.

AM: Invece, per quanto concerne l’allocazione delle risorse, di quale autonomia dispone un singolo ateneo nei confronti delle direttive ministeriali?

Sulla ricerca?

Sì.

Be’ insomma, avendo delle risorse si potrebbe essere anche autonomi, ma non ci sono… Tuttavia, tutti i fondi che noi otteniamo coi bandi competitivi oppure attraverso i bandi di fondazioni o charities possiamo gestirli con una buona autonomia, ma con un peso burocratico drammatico, cioè con una lentezza e con una dinamicità che è bassissima, purtroppo. Ma questo è un po’ il tema della pubblica amministrazione. Ci sono una serie di procedure e di controlli che rendono tutto molto lento. Vi faccio un esempio: noi abbiamo adesso deciso di chiamare, per chiamata diretta, alcuni vincitori di ERC — che sono i progetti europei – cosa che il ministero stesso aveva consentito di fare – ma i tempi medi della risposta da parte del ministero si avvicinano all’anno. Lo dico senza polemica, ma è chiaro che così si rischia che il vincitore di ERC saluti e vada da un’altra parte; cosa che purtroppo sta succedendo. I dati sugli ERC sono preoccupanti… Non so se li avete visti anche sulla stampa, ma è vero che la capacità di richiamo del sistema italiano sta calando e sta calando tanto. Buona parte dei nostri vincitori di ERC vanno all’estero a far ricerca e solo uno dei vincitori (parlo degli starting grant, quindi dei giovani) è venuto in Italia dall’estero per fare ricerca. Quindi, ci sono alcuni indici di sistema che stanno peggiorando in maniera sensibile. Una parte di questi deriva proprio dalla farraginosità, dall’impossibilità di avere delle dinamiche che siano confrontabili con quelle che ci sono altrove, in termini proprio di tempo e di procedure—banalmente, non sto parlando di grandi cose. In questo ci sono anche delle differenze – e lo dico senza la minima intenzione polemica, ma è vero che stiamo parlando di un sistema come quello italiano che ha delle differenze geografiche regionali significative, in termini di risorse. Da questo punto di vista Milano, per esempio, è una città che comunque offre tanto, soprattutto in alcuni settori. È una città molto competitiva, nel senso positivo del termine. Non è dappertutto così. Insomma, c’è anche un tema di coordinamento nazionale che è tutt’altro che semplice.

La ringraziamo.

Grazie a voi, davvero.

 

Intervista a cura di
Gemma Ghiglia (@g_ghiglia)
Alessandro Massone (@amassone)
Sebastian Bendinelli (@se_ba_stian)
Francesco Floris (fb.me/francesco.floris)
Illustrazione: The Minouette
Sebastian Bendinelli
In missione per fermare la Rivoluzione industriale.

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