Al Museo del Novecento, fino al 9 marzo, potete visitare una mostra davvero ben fatta, dedicata all’artista Giuseppe Scalarini. Nato a Mantova il 29 gennaio 1873, si interessa sin dai primi anni Novanta al mondo del disegno tecnico, concentrandosi per lo più sul rapporto illustrazione-giornalismo.
Prende parte ai corsi delle accademie d’arte a Bologna e Venezia, e compie prolungati soggiorni all’estero, dove trova sempre nuova linfa e ulteriori spunti per il suo lavoro. Nel periodo mantovano, fonda il Merlin Cocai (1896), foglio satirico di attualità politica e locale, strettamente legato agli ambienti del socialismo più radicale. Di qui, arrivano per Scalarini le prime collaborazioni con diverse testate per le quali svolge l’attività di disegnatore, con vignette accompagnate solitamente da brevi didascalie. Non potrebbe desiderare di più quando, nel 1911, è accolto come giornalista redattore all’ Avanti!, nel periodo in cui era diretto da Treves. Realizza soprattutto disegni, e mantiene comunque attive le collaborazioni con altri periodici, tra cui L’Asino.
Le opere – in genere disegni realizzati a china – sono vere e proprie stratificazioni, assemblaggi e costruzioni che concorrono ad arricchire le parti realizzate appositamente per la singola vignetta; gli elementi aggiunti a mo’ di collage derivano da quello che potremmo definire l’ “alfabeto iconico” dell’artista; alfabeto che, de facto, diviene via privilegiata di trasmissione del messaggio, nonché firma inconfondibile dell’autore stesso.
Le vignette erano spesso di chiaro stampo antimilitarista. Bersaglio della satira tagliente e spietata di Scalarini è di rado l’individuo singolo; egli tende piuttosto a confrontarsi con grandi temi universali, quali il rapporto padrone-operaio, lo sfruttamento, il potere temporale della Chiesa, la voracità del capitalismo, lo squadrismo fascista, università, istruzione, etc.
Molte vignette furono motivo di scandalo: proprio a causa delle tematiche “scomode”, fu accusato di istigazione a delinquere a mezzo di stampa. Le vignette in questione denunciavano le violenze compiute dall’esercito italiano in Libia. Era il gennaio 1913. A fine processo, nel 1914, tutti gli imputati chiamati in giudizio furono assolti.
Tra il 1914 ed il 1915, naturalmente, si schierò contro l’entrata in guerra dell’Italia.
Negli anni successivi, subì diversi attacchi dalle camicie nere, che lo costrinsero a spostarsi continuamente. Arrestato nel 1926 e trascorso qualche tempo nel carcere di San Vittore a Milano, fu condannato a cinque anni di confino, prima a Lampedusa, poi ad Ustica. Nel frattempo, la grande censura aveva colpito anche lui: gli fu vietato di firmare qualsiasi tipo di lavoro; era peraltro stata soppressa la stampa socialista. Pubblica dunque solo sotto pseudonimi, principalmente per il Corriere dei Piccoli. Ricompare finalmente dopo la Liberazione su Codino Rosso, Sempre Avanti!, ed altre testate. Muore solo qualche anno più tardi, nel 1948, a Milano.
Grande artista, descritto da amici e colleghi come silenzioso e schivo, Scalarini ha sempre dimostrato un’estrema abilità nell’imprimere ai propri disegni quella forza necessaria alla denuncia. Evidente è l’uso attentissimo delle parole – poche: scelte con cura quasi maniacale, a rendere una prosa perfettamente in linea con i meccanismi simbolici di quel linguaggio visivo che, nel tempo, ha saputo far proprio; quella forza, quella passione inalienabili riflettono il coraggio di un uomo che ha sempre scelto di essere contro, in quegli anni in cui essere contro era, a parer di molti, la scelta più sconsiderata, pericolosa e di certo meno conveniente; una posizione cui tuttavia Scalarini non ha mai voluto rinunciare.
E così, dal cumulo di macerie di quegli anni, ci giunge ancora, forte e chiara, la voce di un Uomo fedele a sé stesso, alle proprie idee; un uomo che ha scelto di resistere e di restare umano, nell’abbrutimento sociale della dittatura e della guerra, nell’inerzia delle coscienze.
Alcuni lasciano il segno.
Marta Clinco
@MartaClinco