Del: 28 Gennaio 2014 Di: Alessandro Massone Commenti: 2

— Secondo l’ultimo sondaggio EMG per La7, il Pd dopo l’incontro di Renzi con Berlusconi ha perso il 2%.
— Soltanto?

renzi

Gestire il Partito Democratico si sta rivelando estremamente difficile per Renzi, tra una minoranza — chiaramente sotto rappresentata — molto rumorosa e la riapertura dello scontro infinito con Berlusconi. Il segretario fiorentino, che forse si aspettava un partito più facile da guidare, o forse fa solo finta, ha di fronte a sé una missione impossibile.
Per spiegare quanto sia difficile gestire il Pd si fa spesso riferimento all’immagine della fusione a freddo. Mai una metafora potrebbe essere più sbagliata, la nascita del Pd è frutto della più calda delle fusioni, un patto di sangue tra alleati che mai si sono troppo stimati.
Come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica non sono mai stati felici di collaborare durante la Seconda Guerra Mondiale, DS e Margherita, stremati dallo scontro con Berlusconi, ben volentieri cedettero alla tentazione del Grande Partito — ma i primi pentimenti non si fecero attendere nemmeno una notte.

La gestione del Partito Democratico di Veltroni fu, senza indorare la pillola, fallimentare. Dal pressing sui partiti piccoli (“La Storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”) per irritare Mastella e far cadere il Governo, per poi perdere le elezioni e raccogliere a stento quanto i due partiti “genitori” avrebbero preso, al teatrino del Governo ombra, passando per il fallimento totale del Partito liquido sul territorio.

Dopo la dimenticabile parentesi di Franceschini, Pierluigi Bersani vince convenzione e primarie nell’autunno del 2009. La sua mozione si presenta fin dall’inizio come il ritorno di un partito “pesante” sul territorio, quello che finirà per chiamare “la ditta” e — mai detta, ma così chiara negli intenti — una promessa sussurrata, mai più primarie, ché portano solo odio e spaccatura dentro il Partito.
Il partito “pesante” funziona sul territorio, ma il disastroso e interminabile governo Berlusconi consuma il PD, e l’appoggio al Governo Monti crea tensioni interne apparentemente irreparabili.
Nella speranza di rafforzarsi, di creare vento a favore del partito, e di ricucire qualche ferita, Bersani annunciava un anno e qualche mese fa che alle primarie per il candidato premier di coalizione il Partito avrebbe presentato due candidati.
Tutto ciò che poteva andare male va peggio. Bersani vince le primarie ma il partito è a pezzi — la successiva campagna elettorale è un disastro, e le elezioni sono una delusione.

Oggi Renzi si trova nella stessa situazione in cui Bersani faceva campagna elettorale lo scorso inverno: lavora per la propria agenda insieme ad un gruppo di fedeli, con il partito sottostante imbambolato, e grandi borbottii e stridori. La “minoranza” particolarmente inasprita perché sotto rappresentata, dopo il poco sorprendente disastro dell’estremamente poco convincente Cuperlo, ha chiaramente gettato l’impegno di unità auspicato da Bersani per amor barricadero.

Dopo sette anni, forse è ora che il Partito decida se essere carne o pesce.
La risposta piacerà a pochi, ma sul lungo termine, è così che si costruiscono i partiti. Forse giustamente, considerata la campagna Cambia verso, Renzi è riuscito a cambiare idea su tre quarti delle proprie proposte in meno di novanta giorni.
Dal misterioso “piano scuola” agitato per settimane durante le primarie e poi sparito, alle tre (finte?) proposte di legge elettorale, al Jobs Act, messo nel cassetto più in fretta del romanzo che scrissi a diciassette anni, i contorni del Partito Democratico si fanno più sfocati di giorno in giorno.
Con una fila già interminabile di promesse non mantenute, con una quota maggioritaria nel Governo e in spalla il titolo di primo partito d’Italia, il Partito Democratico deve decidere cosa vuole fare da grande.

Alessandro Massone
@amassone
Alessandro Massone
Designer di giorno, blogger di notte, podcaster al crepuscolo.

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