Daniele Garattini è l’uomo che a 57 anni, a Torino, il primo gennaio del 2014, uccide moglie, suocera e figlia. Il movente è ignoto. Una rabbia improvvisa, chiamiamola Lyssa, come la chiamavano i greci, si è impadronita di lui. E una volta accortosi dell’orrore compiuto, quest’uomo vuole uccidersi. Prima di spirare, dopo essersi inflitto tre colpi al cuore con un coltello, chiama i carabinieri e confessa: “Venite, ho ucciso tre persone, ho fatto una strage ” e ancora: “Li ho uccisi io, perchè sono pazzo.”
L’animale nell’uomo? Bestia e uomo sono due facce della stessa medaglia. Bestia è solo una delle tante maschere che l’uomo indossa, magari senza nemmeno saperlo. Mettiamo per un attimo la maschera della ragione e vedremo, uomini razionali, che la luce sgombra da ogni dubbio. Daniele si accorge del suo atto (istintivo?), non se lo sa spiegare, si dà del pazzo e si perde, di nuovo.
La vicenda umana di Daniele, se a noi pare incomprensibile e difficile da concepire, i nostri antenati greci, l’avevano già assimilata e codificata attraverso la mitologia.
Mi riferisco al mito di Eracle, figlio di Zeus e Alcmena. Il nome in greco significa “gloria di Era” (Ἥρα, Era + κλέος, gloria) ma, figlio di Era non è. Per gelosia e per lo spirito rancoroso, che le è proprio, la regina dell’Olimpo scopre il tradimento dello sposo e brama vendetta. Questo l’inizio delle trame crudeli di Era, che continuerà ad agire fino alla tragedia che vede Eracle uccidere i propri figli e la propria moglie.
A farlo impazzire, ad accecarlo, è la dea della rabbia, la già citata e terribile Lyssa. Eracle, tornato in sè, sconvolto per la strage dei suoi famigliari, decide di suicidasi per porre fine alle proprie sofferenze. Ma Teseo lo convince ad espiare le sue colpe.
Vivere nel dolore, vivere con la consapevolezza del suo fatale errore sarà la sua punizione più grande, peggio della morte, che gli darebbe pace. L’oblio potrebbe cancellare il suo misfatto. Uccidendosi…tutto il dolore svanirebbe.
Il suo rifiuto della morte lo rende eroe ai nostri occhi? Le Dodici Fatiche sono il simbolo di quello che dovette sopportare. Il numero 12 ha una valenza simbolica notevole in tutte le culture. ” Il dodici segna l’ingresso nella pubertà e dunque induce l’idea di una trasformazione radicale […che] si fonda su un passaggio molto difficile e faticoso che è il solo che davvero porta a crescere. Traduce implicitamente gli ostacoli, i passaggi difficili, gli enigmi da risolvere..”
Purtroppo quando si parla del mito, e ne parliamo come di un paradigma di comportamento umano, non immaginiamo certo che possa essere replicato alla lettera. La mitologia greca e latina, e in generale di tutti i popoli antichi, condensa il sentimento umano in una forma sempre attuale. E non va rigettata in quanto superata, ma va conosciuta e interpretata come strumento per sradicare l’ignoranza che ci perseguita.
L’uomo non è mai cambiato così come le sue passioni, le sue aspirazioni, anche quelle più delittuose e istintuali.
Si definisce il mito come: “racconto dell’uomo ai suoi primordi che nasce dal bisogno di spiegare fenomeni della natura, di spiegare l’irrazionale”. Con i progressi della scienza si tende a considerare i miti alla stregua di semplici fiabe per bambini. Si toglie al mito il fondamento realistico da cui è scaturito e si rischia di perdere di vista il senso dell’esperienza umana narrata.
Scriveva bene Mircea Eliade, storico delle religioni e scrittore rumeno, quando nel testo Mito e realtà (Torino, Borla, 1966) dice: « […] il mito è considerato come una storia sacra e quindi una “storia vera” », perché si riferisce sempre a delle realtà.
Se dunque l’uomo non è cambiato, cosa resta da fare a noi se non perseguire la sentenza: Γνῶθι σεαυτόν ? Conosci te stesso
Alessandra Busacca
@AleBusacca1