Del: 11 Febbraio 2014 Di: Jacopo Iside Commenti: 0

La conversione in legge da parte del Parlamento italiano della cosiddetta “Fini-Giovanardi” il 21 febbraio 2006 ha suscitato enormi dibattiti e discussioni ―nonché troppe apparizioni televisive degli interessati a guastare qualsiasi dopo cena.
Introdotta durante l’esecuzione parlamentare del Decreto Legge 30 dicembre 2005 —meglio noto come “Salva-Olimpiadi”— che legiferava in materia di finanziamenti e sicurezza delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, ancora oggi resta un mistero l’aggiunta di un titolo riguardante le pene alternative al carcere per i tossicodipendenti (già vessati dalla legge ex-Cirielli). L’introduzione di questo ulteriore titolo si è rivelato essere il grimaldello giuridico con cui è stato possibile, per il governo Berlusconi, modificare l’articolo 73 del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 (noto anche come Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope).

Carlo Giovanardi e Gianfranco Fini

A far sorgere dubbi di costituzionalità, è stato proprio lo strano modo in cui sono stati aggiunti i 24 emendamenti di Fini e Giovanardi: questi emendamenti si riferivano ad argomenti che non c’entravano affatto col motivo per cui si ricorreva d’urgenza al decreto legge. Veniva unificato il regime sanzionatorio per tutto ciò che riguarda le droghe e le tabelle ―in cui erano inseriti i diversi quantitativi e le relative pene― venivano diminuite da 4 a 2, equiparando così droghe leggere e droghe pesanti, nettamente contraddistinte nel precedente Testo Unico del 1990.

L’aver ricorso ad una procedura d’urgenza, qual è il decreto legge, ha causato un vulnus legislativo per la III Sezione Penale della Corte di Cassazione: inserendo all’interno di una norma che prevede per la sua approvazione la fiducia del Parlamento, un’altra norma —che era invece arenata in Parlamento da più di 3 anni e su cui la schiera di “berluscones” non riusciva ad avere la meglio sull’opposizione— si è creato un principio di incompatibilità per effetto dell’articolo 77 della Costituzione, il quale recita facilmente: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria”, e una la legislazione sulle droghe è evidentemente una legge ordinaria.

In pratica, il vero motivo d’incostituzionalità sarebbe un cavillo legale (assolutamente sacrosanto) per cui viene riconosciuto che nei decreti legge, ai quali bisogna ricorrere solo per “dei presupposti di necessità e di urgenza”, non debbano rientrare materie che devono seguire percorsi legislativi differenti.

Il ricorso presentato alla Corte Costituzionale, nelle persone dell’avvocato Porcile e del presidente emerito della Corte stessa Giovanni Maria Flick, verteva quindi giustamente su questo punto di incompatibilità tra una legge ad esecuzione immediata ed una ordinaria; ha trovato ovviamente ampio spazio, durante il dibattito, la questione della legittimità intrinseca delle norme contenute nella Fini-Giovanardi: in particolare, erano messi in stato d’accusa gli articoli 4 bis e 4 vicies ter, quelli che equiparavano le droghe pesanti a quelle leggere ―rendendo così punibile per legge anche il possesso personale―, aumentavano la detenzione prevista da 6 a 20 anni per un possesso superiore alla soglia ed eliminavano le tabelle accessorie, quelle che appunto nel Testo Unico del 1990 prevedevano la possibilità di possedere sostanze stupefacenti senza per questo essere accusati di spaccio.

Fotografia scattata durante la Marcia per la Marijuana libera (Radicali)

Con i dati dei Radicali alla mano, le eredità di questa “legge” a dir poco reazionaria sono: 120.000 arresti in 7 anni, di cui nell’ultimo anno 19.000 per detenzione (il piccolo possesso) e 250 per traffico (cioè quello della Mafia), per un parziale ad ora di 761 detenuti nelle galere― la capienza corretta di San Vittore; sanzioni amministrative raddoppiate dal 2006 al 2011; 75,8% delle segnalazioni alle prefetture fatte per uso di cannabinoidi.

A maggio 2014 arriverà una multa se non ottempereremo agli obblighi che ci ha imposto la Corte Europea dei Diritti Umani nei riguardi della situazione abominevole delle nostre carceri, e in tutto questo tempo non si è mai pensato che per alcuni tipi di recidivi, come ad esempio i tossicodipendenti, sarebbe non solo più giusto, ma molto più favorevole alla loro guarigione, la possibilità di una pena detentiva alternativa al carcere—ma in regime di recidiva si applica la legge ex-Cirielli che vieta espressamente la possibilità di una speranza diversa dall’incubo del carcere a tutti coloro che vengono incriminati.

Il problema, forse, è che il principio di incostituzionalità dovrebbe essere sollevato verso “tutto” lo Stato italiano: una legislazione sulle droghe abominevole, la mancanza di riconoscimento legale alle coppie di fatto, una legge degna di questo nome contro l’omofobia e ‒soprattutto‒ una legge che tuteli il diritto di ciascuno a decidere cosa fare della propria vita nel caso in cui non si possegga più il potere fisico sul proprio corpo, senza temere accuse di omicidio per coloro che ti aiutano in questo passo difficilissimo.

È probabile che manchi una cultura del diritto alla diversità in Italia, diritto peraltro presente nella Costituzione, che così spesso viene violata e distorta per soddisfare fini proto-moralistici che non fanno altro se non alimentare l’oscurantismo mentale.

Jacopo Iside

Jacopo Iside
Appassionato di Storia e di storie. Studente mai troppo diligente, ho inseguito di più i sogni

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