Il rapporto della svedese Cecilia Malmström reso noto negli ultimi giorni lascia pochi dubbi: il Commissario per gli Affari Interni dell’UE fa notare che il costo della corruzione nel Vecchio Continente ammonta a ben 120 miliardi di euro, e che la metà è di orgoglio esclusivamente italiano; e se nel sentire il solito “L’Italia è il Paese più corrotto!” si sperava ancora, in qualche modo, nell’ennesima iperbole da catastrofisti, i nuovi numero sono lì, nero su bianco, a gridare che – udite, udite – sì!, l’Italia è il Paese più corrotto. O per lo meno detiene l’ ambìto primato in Europa.
Dal rapporto emerge inoltre che circa il 97% degli italiani è effettivamente convinto che la corruzione continui a diffondersi, ad aumentare. Mi domando dunque quanto pensino di essere credibili le “accese” note di stupore tra alte cariche, politici e opinionisti varii. Bisogna ammetterlo: non si tratta affatto di una novità; chiunque possegga anche solo un vago quadro della vicenda politica ed economica italiana degli ultimi venti, venticinque anni non può dirsi sorpreso. Si parla di leggi ad personam, nero, evasione fiscale, di una regolamentazione delle lobbies praticamente inesistente, della mancanza di trasparenza nella distribuzione degli appalti, di un Parlamento in cui si avvicendano da anni imputati, rinviati a giudizio e pluricondannati, impunemente (ora sono circa cinquanta).
A vent’anni esatti da Tangentopoli e dall’esorcismo di Mani pulite, quell’attentato alla democrazia e alla giustizia fiscale, quell’intreccio perverso tra poteri pubblici ed imprese private paiono tutt’altro che mero ricordo del passato. Sembra piuttosto che tali forze e dinamiche – nemmeno tanto occulte – abbiano invece continuato a radicarsi indisturbate, in modo sempre più capillare ed invasivo.
Tuttavia nemmeno queste sono novità. Ciò che più annichilisce e lascia allibiti è il mutato atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti del problema. La notizia non sconvolge, anzi: è fatto più che conclamato, ne siamo tutti ben consapevoli. Di quel – seppur effimero – slancio euforico, legalitario e virtuoso dei primi anni Novanta, non resta che l’ombra evanescente e stanca. Di quell’onda d’indignazione, di voglia di giustizia e di cambiamento, non restano che le brutte forme di chi ha saputo cavalcarla abilmente, per poi plasmarla e distorcerla. Conviviamo con questo Stato e questa classe politica collusi, e ne siamo assuefatti. Dobbiamo davvero smettere di sperare in qualcosa di meglio?
E in tutto questo bel teatrino, non posso far a meno di immaginare un tale Ingegner Chiesa che, accomodatosi dietro le quinte, sfogliando un quotidiano fra tanti, un po’ se la ride, soddisfatto. “Ingenui”.
Marta Clinco