Del: 13 Febbraio 2014 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 2

Assassini.
Vivisettori.
Così qualche settimana fa sono stati descritti i ricercatori e professori dell’Università degli Studi di Milano Alberto Corsini, Edgardo D’Angelo e Claudio Genchi tramite alcuni volantini che hanno ricoperto per più di 24 ore diverse zone di Milano. I manifesti allegavano al nome e alle accuse infamanti, foto, dati personali degli studiosi ed esplicite esortazioni a contattarli. Gli autori di questo gesto hanno invece scelto di mantenere intatto il proprio anonimato.

Le manifestazioni contro la sperimentazione animale sono sempre più numerose

Pochi giorni dopo, in difesa dei propri insegnanti, della loro professione e della ricerca, alcuni studenti della Facoltà di Medicina hanno deciso di reagire alle accuse, occupandosi personalmente e con il consenso del Rettore, dell’eliminazione dei volantini e dei graffiti successivamente comparsi sui muri di Città Studi. Gli studenti hanno poi rilasciato un documento “A favore della ricerca”, per esporre il proprio operato e quello di tutti i ricercatori italiani, all’interno dei laboratori.

Alla luce dell’atto compiuto dai manifestanti, che oltre a lenire la privacy dei ricercatori citati, avrebbe potuto portare conseguenze non trascurabili, è indispensabile indagare la realtà scientifica, legislativa ed etica della sperimentazione animale.

Innanzitutto, con il termine “vivisezione”, spesso usato a sproposito, si descrivono procedure messe in atto nel 1600, oggi proibite in Italia. Si tratta di pratiche che prevedono la dissezione di animali vivi e coscienti, scomparse dalla nomenclatura scientifica e legale da più di 50 anni e, per la precisione, scomparse anche dai laboratori dell’Università degli Studi di Milano.
Oltre che di vivisezione, i tre ricercatori, e chiunque pratichi la sperimentazione animale, sono stati accusati dagli artefici dei volantini di torturare diverse specie animali per fini scientifici, ignorando volontariamente la presenza di metodi di sperimentazione alternativi.

Ciò che avviene effettivamente nei laboratori è, invece, l’utilizzo complementare di sperimentazione animale e metodi alternativi (studio di cellule in vitro, diversi approcci informatici e tecniche cliniche), che se adoperati singolarmente come molte associazioni animaliste propongono, non darebbero risultati abbastanza efficaci, completi e rapidi. Inoltre la progettazione di metodi alternativi è essenziale nella professione di ogni ricercatore, la cui condotta etica e specialistica è disciplinata dal principio delle 3 R proposto nel 1956 dai britannici Rex Burch e William Russel, membri della Universities Federation of Animal Walfare (UFAW), attiva ancora oggi nel campo del benessere animale:
Reduction: riduzione del numero degli animali dal laboratorio;
Refiniment: riduzione e annullamento del dolore degli animali;
Replacement: sostituire la sperimentazione animale con metodologie alternative.

La foto di Caterina, a favore della sperimentazione animale, ha fatto il giro del web.
Purtroppo, però, le ha procurato non pochi insulti da gruppi animalisti.

Proprio per questo i test clinici svolti nei laboratori hanno subìto, e continuano a subire, migliorie—rivolte al raggiungimento della completa abolizione della sperimentazione animale. Infatti, se prima i farmaci venivano testati direttamente sugli animali, oggi vi è prima una fase di sperimentazione cellulare, poi tissutale e solo infine —in percentuale minore— animale, con approcci sempre meno invasivi. Inoltre, a differenza di ciò che sostengono molti gruppi animalisti, l’utilizzo di qualsivoglia specie animale in ambito cosmetico è ritenuto illegale.
Dal 1992, prima di poter effettuare test clinici sugli animali, è necessario provare al Ministero della Salute che non esistano in modo assoluto soluzioni alternative. Le sperimentazioni stesse sono pianificate in base a norme che per ogni test valutano la scelta della specie esaminata, preferendo creature con minor sviluppo cerebrale e nervoso, quindi minor coscienza del dolore —che viene comunque ridotto il più possibile, anche per ragioni cliniche: la percezione del dolore provocherebbe risposte neuronali, che rischierebbero di falsare la sperimentazione.

Economicamente, però, sono molti gli interessi che gravitano intorno alle spese provocate dalla sperimentazione animale, coinvolgendo allevamenti, industrie alimentari, farmaceutiche e trasporti. Per limitare queste percentuali ed evitare speculazioni, il governo italiano ha scelto di conferire aiuti economici maggiori ai laboratori che non utilizzano la sperimentazione animale.

Negli ultimi mesi, però, il nostro governo è al centro di una controversia europea, proprio a causa di conflitti generati da una diversa presa di posizione riguardante la sperimentazione animale.
Il nostro Paese avrebbe dovuto recepire completamente, entro il 10 novembre 2010, la Direttiva 63 del Parlamento Europeo per la Salvaguardia degli animali utilizzati a fini scientifici, e approvarla prima del Gennaio 2013.
La direttiva, ideata dall’incontro delle volontà di ricercatori e associazioni animaliste, propone l’utilizzo della sperimentazione animale solo in casi approvati e controllati dall’Unione Europea, al fine di equilibrare la ricerca nei Paesi europei e interrompere la sperimentazione animale appena possibile.

Di fatto però l’Italia ha proposto alcune modifiche, ora incluse nella Legge del 6 agosto 2013 n. 96, fondata strutturalmente sulla direttiva europea prima citata, alla quale vengono però aggiunti ulteriori emendamenti che la rendano più restrittiva.

Striscione a sostegno della ricerca basata sulla sperimentazione

In primo luogo, sono proibiti gli xenotrapianti (trapianti tra diverse specie, utilizzati anche in svariate operazioni mediche), le sperimentazioni riguardanti sostanza d’abuso ed ogni analisi priva di anestesia o analgesia, compresi prelievi del sangue. Inoltre, sono vietate le esercitazioni didattiche in ambiente universitario (tranne che per le Facoltà di Veterinaria e di Alta Formazione di Medici) e l’allevamento di animali per fini scientifici sul territorio.

La comunità scientifica italiana ha definito queste modifiche prive di fondamento ed inaccettabili.
La Corte Europea invece non ha avuto l’occasione di esprimersi al riguardo, perché il governo italiano non è riuscito a proporre le correzioni entro i termini prestabiliti dalla Corte Europea. In questo modo, a causa della mancata approvazione della direttiva e della decadenza del periodo di modifica, l’Italia rischia di essere deferita dall’Unione Europea e quindi condannata al pagamento di pesanti sanzioni punitive, già minacciate nel giugno 2013 (150 mila euro di multa per ogni successivo giorno di infrazione), oltre che all’abrogazione della legge contestata.

È in questo contesto, tra il freno giuridico imposto alla sperimentazione e le multe diplomaticamente minacciate da Bruxelles, che i ricercatori italiani continuano a ricevere imperterrite accuse di violenza e sopruso.
Come ammette il medico ed attivista Umberto Veronesi, oggi, visti i progressi ancora relativi della scienza che non offrono alternative all’altezza, la sperimentazione animale rimane un male da contrastare laddove possibile, ma un male che ancora ci offre anni di sopravvivenza, cure, vita, tempo — un male che oggi non può che essere considerato ancora necessario.


Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1

Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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