Del: 23 Marzo 2014 Di: Redazione Commenti: 1

1973, l’anno in cui i Pink Floyd fecero bingo con The Dark side of the Moon ed i King Crimson visitarono il futuro con Larks’ tongues in aspic.

È bene notare che i due album non ebbero la stessa sorte, il primo scalò le classifiche per decenni con 49 milioni di copie vendute, il secondo rimase uno degli album più riusciti del gruppo, ma affidato ad orecchie esperte ed avvezze al genere.

Queste due opere in quanto forme d’arte, la parola LP risulterebbe riduttiva hanno ben poco in comune dal punto di vista musicale, ma furono entrambe rivoluzionarie per il bagaglio culturale che consegnarono alle generazioni future.

I Pink Floyd produssero quest’album come logica evoluzione della loro carriera artistica, partendo dalle sperimentazioni dei primi anni ed affinando sempre di più il sound tipico che li contraddistinse. Gli arrangiamenti di “Atom Earth Mother” e di “Echoes” trovano una continuità e vengono riconosciuti come strada maestra da percorrere ed evolvere passo dopo passo, per lo meno fino alla follia dispotica di Roger Waters che lo portò ad abbandonare il gruppo consegnando loro il regalo più bello: The wall.

The Dark Side mostra composizioni meno pompose; a dire il vero le canzoni hanno una struttura apparentemente immediata, con testi raffinati e perfetto bilanciamento tra i vari interpreti. Un album che va ascoltato tutto d’un fiato, per assaporarne il genio, per capire come delle scale fondamentalmente blues, condite con tappeti di organo e performance di chitarra esagerate, non dal punto di vista prettamente tecnico, ma emozionale, potessero dar vita ad uno degli album più riusciti ed innovativi del ventesimo secolo.

Per quanto riguarda i King Crimson è fondamentale menzionare la figura cardine, Robert Fripp; un pittore contemporaneo della chitarra, un genio che sta in disparte, ma senza il quale niente sarebbe stato lo stesso.

Per loro questo album non fu una naturale evoluzione, poiché essi furono in grado, nelle varie formazioni, di precedere l’onda senza mai cavalcarla. Nel 1969 esordirono con In the court of the crimson king, un album completo, maturo, raffinato, che creò un genere: il progressive rock.

Dopo altri tre album stupendi, In the wake of Poseidon, Lizard e Islands, nei quali si assiste all’abbraccio tra rock e jazz, tra sperimentazione pura e momenti di classe cristallina, il suddetto Robert Fripp decide di sciogliere tutto, eliminare la moltitudine di session man che giungeva negli studi di registrazione, e ripartire da capo con John Wetton al basso e alla voce, David Cross ai violini, Bill Bruford alla batteria e Jamie Muir alle percussioni, un autentico pazzo che si aggirava, apparentemente a caso, tra i folli tempi di Bill Bruford, con fischietti, trombette da stadio, lame di seghe, scatole ed altri oggetti che non si è soliti definire strumenti musicali.

Con questa formazione i Re Cremisi sfornarono un disco complesso, che gettò le basi per la musica dei successivi 30 anni. Folgorante l’inizio “cacofonico” che fa da preludio ad un riff che 10 anni dopo avremmo definito heavy metal, seguito da una dolcissima ballata e da momenti di assoluto lirismo, per poi ripartire con un brano hard rock ed una jam session formidabile.

Sebbene i King Crimson approdarono al futuro nel 1973, l’anno seguente andarono nell’iperspazio (prima di sciogliersi nuovamente e ripresentarsi con progetti discutibili) con l’album Red, che Kurt Cobain definì «L’album più bello di tutti i tempi», ed al quale si ispirò per diventare alfiere del grunge 15 anni dopo.

Ciò che accomuna la rivoluzione portata da Pink Floyd e King Crimson con questi due capolavori, risiede anche nel fatto di portare alla ribalta due chitarristi schivi, impegnati “semplicemente” a suonare, che si distaccano totalmente dal filone dei guitar heroes —Jimi Hendrix, Jimmy Page e Ritchie Blackmore per primi— che erano soliti avere dei veri e propri rapporti sessuali con la loro sei corde durante le esibizioni live.

David Gilmour e Robert Fripp, a cui si aggiunge Steve Hackett dei Genesis, sono in grado di sbalordire il pubblico con poche note, con un arpeggio, senza ergersi a frontman ma con la capacità di farsi riconoscere al primo accordo, mai banale.

Nel 1973 la Luna abbracciò il Sole e mostrò alla terra il suo lato oscuro; una vera e propria rivoluzione.

Andrea Barbieri

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