Il titolo paradossale di questa rubrica si rivela in questo caso sorprendentemente appropriato: parliamo infatti di un album di inediti di Johnny Cash, Out Among the Stars, uscito lo scorso 25 marzo.
“Operazioni nostalgia” di questo tipo non sono una novità, specialmente in periodo di crisi del mercato discografico. Gli archivi delle grandi etichette sono pieni di registrazioni di famosi artisti scomparsi, che aspettano solo di essere riportate alla luce — e il successo è quasi sempre assicurato. Lo vediamo con Jimi Hendrix, la cui famiglia ha dichiarato di avere tra le mani abbastanza materiale per pubblicare circa un disco all’anno per dieci anni (l’ultimo è uscito l’anno scorso). Oppure Michael Jackson: il 13 maggio uscirà l’attesissimo album di inediti.
Quanto a Johnny Cash, due dischi postumi erano già usciti nel 2006 e nel 2010, a completare la serie delle American Recordings prodotte da Rick Rubin (rispettivamente American V: A Hundred Highways e American VI: Ain’t No Grave). Ma in quel caso si trattava di ultimare un progetto che la morte del cantante aveva interrotto. Out Among the Stars, invece, raccoglie 12 brani registrati tra il 1981 e il 1984, dimenticati in qualche archivio e recuperati solo nel 2012 dal figlio di Johnny, John Carter Cash, impegnato già da tempo in una meticolosa catalogazione di tutto il materiale lasciato dal padre.
Siamo quindi lontanissimi dagli arrangiamenti minimali e dalla voce rochissima e un po’ tremante, segnata dalla malattia, dell’ultimo Cash; ma anche dai grandi successi – l’epoca d’oro – di fine anni ’60 e inizio ’70. Gli anni ’80 sono stati una sorta di buco nero per moltissimi degli artisti che hanno raggiunto l’apice della propria carriera nei due decenni precedenti. Un esempio fra tutti (e particolarmente vicino a Johnny Cash) è Bob Dylan: prolifico –come sempre– anche negli anni ’80, ma con scarsissimo successo; ritorna a scalare le classifiche, poi, nei primi Duemila — proprio come Cash.
È che gli anni ’80 hanno un loro suono particolare che impregna tutta la musica prodotta in quel lasso di tempo, e che, all’orecchio di oggi, risulta un po’ indigesto: immaturo, kitsch, plasticoso, rudimentale che si crede avveniristico. Viceversa, la frenetica sperimentazione di quel decennio lasciava poco spazio alle vecchie glorie, capaci di rinnovarsi solo fino a un certo punto.
Per Johnny Cash si trattava di un periodo particolarmente difficile. La sua fama aveva già cominciato a declinare dalla seconda metà degli anni ’70. Nei primi ’80 si susseguivano i problemi di salute, la ricaduta nella tossicodipendenza e, nel 1986, la rottura con la Columbia Records, da cui ormai Cash si sentiva sostanzialmente ignorato. Ultimi atti di un ventennio di gloriosa collaborazione tra il cantante e la storica etichetta furono una serie di registrazioni prodotte da Billy Sherrill, guru del cosiddetto “countrypolitan” —una sorta di ibrido tra pop e country, le cui peggiori degenerazioni sono oggi praticate da Taylor Swift —con l’intento di ammodernare un po’ il suono familiare e tradizionale di Johnny Cash. Poco successo in ogni caso. Probabilmente per questo, oltre che per la rottura imminente, i brani ora confluiti in Out Among the Stars furono accantonati.
E quindi, bisogna dirlo, il disco suona indubbiamente anni ’80; ma nemmeno eccessivamente: mancano certi arrangiamenti ampollosi e troppo saturi che si sentono in The Baron, 1981, pure prodotto da Billy Sherrill. Tutto sommato, anzi, l’album appare incredibilmente fresco e scorre piacevolmente — merito anche della breve durata: 36 minuti in tutto.
La voce di Cash è in ottima forma, la band è brillante, le atmosfere pienamente country. I brani spaziano nel repertorio di autori tradizionali del genere; uno solo, “Call Your Mother”, è firmato dallo stesso Cash — un canto venato di nostalgia, dedicato alla famiglia di una vecchia amata. Due —“Baby Ride Easy” e “Don’t You Believe It’s Come Our Time”— sono i duetti con June Carter, sua seconda moglie e storica collaboratrice. Molti i pezzi vivaci, tra cui “I’m Movin’ On”, un allegro rock n’ roll cantato insieme a Waylon Jennings, che con Cash aveva fondato proprio in quegli anni il supergruppo The Highwaymen. Il singolo estratto, meritatamente, è “She Used to Love Me a Lot”, triste e bellissima ballata di un amore spezzato.
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Insomma, di certo non si può dire che sia la miglior musica di Cash, ma neanche che non valesse la pena recuperarla e pubblicarla. Anzi: forse solo in questo contesto ha potuto trovare giustizia. L’operazione nostalgia, infatti, ha funzionato: Out Among the Stars ha raggiunto ottime posizioni in tutte le classifiche europee e statunitensi (anche in Italia, dove si è piazzato all’undicesimo posto dei dischi più venduti), confermando il grande affetto che ancora lega Johnny Cash ai suoi fan, e offrendo un’ottima occasione per riascoltarlo per la prima volta.
“Oh how many travellers get weary
Bearing both their burdens and their scars
Don’t you think they’d love to start all over
And fly like eagles out among the stars”
Sebastian Bendinelli
@Se_ba_stian