Del: 15 Aprile 2014 Di: Stefano Colombo Commenti: 0

Il 25 Maggio vanno in scena le elezioni europee. In questo breve ciclo di articoli vi presenteremo gli attori, la trama e la scenografia. E magari qualche dietro le quinte pruriginoso.

Eurotrip

Oltre alla solita divisione tra destra e sinistra, a questa tornata elettorale se ne nota un’altra, più profonda e forse ancora più teatrale e grave: quella tra euroscettici ed euroconvinti, che si sovrappone alla prima e addirittura la fa passare in secondo piano. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, né il centrosinisra né il centrodestra hanno la forza per governare da soli o con piccoli alleati contro la masnada antieuropea che si appresta a invadere l’aula continentale. Si va dunque verso una larga intesa all’italiana – nostro grande contributo alla politica comunitaria: oggi vi presenteremo i due protagonisti di questa unione un po’ scabrosa.
Pronti? Si alzi il sipario.

EPP – EUROPEAN POPULAR PARTY. Il Partito Popolare Europeo candida il lussemburghese Jean – Claude Juncker e, sul palcoscenico, occupa la posizione di centrodestra. In quest’ultima legislatura continentale è stato senz’altro il primo attore – nel 2009 s’è accaparrato la maggioranza dei seggi grazie alla quale ha già potuto esprimere il presidente della Commissione (Josè Barroso: per i rapporti tra Parlamento e Commissione, consultate l’articolo della settimana scorsa) e indirizzare l’Unione sulla sua linea politica: rigore economico come dogma in cui il numero 3 non simboleggia la trinità ma il tetto percentuale di deficit pubblico sul PIL che nessun credente può sforare; fede indiscussa nell’Euro come strumento di salvezza per l’Europa – bene assoluto da preservare, nonostante sia peccatrice; matrice cristiano-conservatrice e liberista – ad esempio, nelle politiche di austerità sbandierate e imposte agli stati inadempienti e certe voglie di chiusura delle frontiere intraeuropee che sempre di più affollano i sogni dei ‘tories’ inglesi e non solo.
Alla luce di questa inflessibilità, non è difficile capire come i popolari abbiano un grosso problema di immagine specie nell’Europa del Sud. Non senza ragioni, una fetta di opinione pubblica tende ad identificarli come inflessibili e un po’ malvagi euroburocrati, che godono nel bacchettare i discoli come Italia e Grecia. Di questo fatto, l’EPP se ne rende conto quanto gli avversari di centrosinistra, che hanno buon gioco a presentarsi come ”il volto umano dell’Europa”. Ecco spiegate certe uscite di Juncker, che in un dibattito ha puntualizzato come i popolari siano ”as social as the socialists”.

Juncker-(Lisbon-Council)

Per questo spettacolo elettorale, Juncker ha un gobbo molto ingombrante a suggerirgli le battute: Angela Merkel, che nel partito fa il bello e il cattivo tempo. Valga come esempio la questione eurobond: il lussemburghese, fino a qualche tempo fa tiepidamente favorevole ai titoli continentali, ha di recente ritrattato la sua posizione in maniera piuttosto brusca allineandosi al verbo di Berlino – noto e coriaceo avversario degli eurobuoni. Forse gli hanno suscitato timori le voci, non poco insistenti, secondo la quale la sua candidatura potrebbe essere scalzata a giochi quasi fatti dal commissario uscente Barroso. Eppure, il curriculum di Juncker è di tutto rispetto: dal 1989 al 1995 è presidente della Banca Mondiale, dal 1995 all’anno scorso Primo Ministro del Lussemburgo; oltre a governare l’opulento Granducato, trova il tempo per presiedere l’Eurogruppo (assemblea dei ministri dell’economia dei paesi comunitari) a partire dal 2005 e in questa veste, all’inizio della crisi, sposa senza remore la politica del rigore; poi però virà su posizioni più morbide ed entra in aperto contrasto con la Merkel – arrivando addirittura a dichiarare che la tedesca ”tratta l’Europa come una sua filiale.” Dopo questa e altre polemiche, lascia la guida dell’eurogruppo. Ed è anche per questo suo attenersi in modo parziale alle direttive del partito e di Berlino che la Merkel – pardon, l’EPP – lo ha preferito a figure più allineate: pur essendo meno malleabile, è più presentabile a elettori del sud moderati, liberali e cristiani ma che hanno mal digerito la politica del rigore a oltranza.
In Italia, l’EPP è sostenuto da più o meno tutto il centrodestra: Ncd e Udc in primis (che si presentano con una lista unificata); con più freddezza ma soprattutto con più confusione da Forza Italia, che non ha ancora capito bene con che costume andare in scena il giorno dello spettacolo. Forza Italia è sempre stata europeista a parole ma molto meno nei fatti – complice una certa vena demagogica nel partito – e l’europeismo forte è un tratto imprescindibile dell’EPP; inoltre, Berlusconi non s’è ancora rassegnato ad essere incandidabile non solo in Italia ma anche in Europa. Il Cavaliere, stimato cabarettista, s’è lanciato per l’occasione in un virtuosismo apprezzato sia dal pubblico che dalla critica: prima ha ipotizzato la sua candidatura in Bulgaria; poi ha ricevuto l’endorsement del presidente romeno che gli ha offerto la sua poltrona se solo Silvio gliel’avesse chiesto; infine ha inserito il suo nome nel simbolo, corredandolo di slogan futuristici (”più Italia in Europa, meno Europa in Italia”). C’è chi sussurra di una clamorosa entrata in scena di Marina, chi di Barbara, chi – ed è la maggioranza – è stufa del cancan ma non sa dire come andrà a finire. Una cosa è certa: la Merkel rientra in quest’ultima categoria, e muore dalla voglia di cacciare Forza Italia dall’EPP. Non per niente, subito dopo la scissione dell’NCD, ha cominciato a lavorarsi Alfano, invitandolo addirittura a Berlino per un faccia a faccia informale.
Vediamo ora con chi dividono la ribalta questi commedianti.

S&D – SOCIALISTS AND DEMOCRATS. Sembra un club inglese di caccia alla volpe, in realtà è il risultato dell’unione tra il Partito Socialista Europeo e il nostrano Partito Democratico. Sul palcoscenico, si schiera nel centrosinistra e candida come presidente della commissione il tedesco Martin Schulz, di professione libraio e attuale presidente del Parlamento europeo – come ben ricorderà Berlusconi, che in una memorabile plenaria gli diede del kapò a causa della sua teutonica inflessibilità. Schulz, al pari di Juncker nello schieramento opposto, non è gradito a tutti i suoi: c’è chi preferirebbe la premier danese Helle Thorining-Schmidt – sì, quella dei selfie con Obama. Il suo governo a Copenhagen è sull’orlo di cadere e avrebbe di fronte a sé un periodo di vacanze forzate – trascorrerle a Bruxelles certo non le dispiacerebbe. Fan di questo soggiorno belga della Schmidt sono i laburisti inglesi, che hanno un’idea di economia e di Europa talmente spostata a destra rispetto ai S&D da reputare quella di Schultz contraria ai propri interessi: ed è quasi certo che non lo sosterranno, almeno esplicitamente.
Amleto è nato oltremanica. Questi dubbi, al pari di quelli descritti da Shakespeare, sono un po’ infondati: difficilmente Schulz può essere tacciato di estremismo da una forza di centrosinistra come i laburisti continuano (in buona fede?) a definirsi. La proposta economica dei socialisti infatti non si discosta molto da quella dell’EPP – durante un recente e un po’ surreale dibattito alla la tv francese, Schulz e Juncker hanno faticato a trovarsi in disaccordo su una questione che fosse una. Una delle poche divergenze reali è sugli eurobond, che il tedesco vorrebbe subito (perché Juncker è contrario l’abbiamo già chiarito), e forse sulle politiche migratorie – è facile che con una commissione socialista si arriverebbe più in fretta a una revisione del trattato di Dublino; inoltre i socialisti hanno più voglia di rafforzare i poteri del Parlamento dei popolari – cosa che a questi ultimi in fondo non interessa, controllando più o meno direttamente la maggior parte degli organi di potere. I socialisti propongono una via di mezzo tra l’austerità, considerata più o meno tacitamente necessaria entro certi limiti, e una politica che favorisca il rilancio e la crescita – dunque, nuovi investimenti dal pubblico, per combatttere la disoccupazione giovanile e far ritornare ai cittadini la fiducia nell’istituzione europea. Però, nessuno ha mai sentito Schulz proporre esplicitamente un innalzamento del famoso tetto – dogma del 3% sul deficit e altre misure di austerità – anzi, nel dibattito con Juncker ha fatto capire di condividerle.
Lo accennavamo prima: i S&D disegnano un’ Europa sì dal volto umano, ma nella sostanza non molto diversa da quella di oggi. Come nei principali partiti di centrosinistra europei – vedi Italia / Francia / Germania – la linea scelta sa molto di cerchiobottismo. Più attenzione ai ceti disagiati, certo; volontà di aumentare l’integrazione europea con sullo sfondo un po’ di sol dell’avvenire e un po’ di Stati Uniti d’Europa, d’accordo; ma a ben guardare paiono già rassegnati al patto di coalizione che dovranno stringere con i popolari, unica alternativa all’euroscetticismo – vero antagonista in questa sceneggiatura.

In Italia, i S&D sono sostenuti dal Partito Democratico – anzi, i S&D sono nati apposta per il PD. La vicenda merita di essere raccontata.

Alla sua fondazione, il PD decide di non aderire al Partito Socialista Europeo (PSE): una parte degli ex margheritini, in primis Beppe Fioroni, non può tollerare il contatto con un organismo dal nome così estremo e novecentesco; tutto il resto del neonato PD però non solo è lusingato da queste avances socialisti, ma fa capire che a un’unione dei simboli ci starebbe alla grande. In questa atmosfera da tragedia sofoclea, ci si ingegna un’intreccio da commedia plautina: si mette in piedi un gruppo parlamentare più ampio, in cui figurano PSE, il Partito Democratico italiano, il Partito Democratico cipriota e il Partito dell’Armonia Nazionale ceco(?), lo si battezza S&D e ci si presenta così alle elezioni. Una soluzione brillante, che tiene in piedi la messinscena del PD come voce fuori dal coro nel gruppo S&D (nonostante ne sia di fatto parte integrante) fino a pochi mesi fa quando – durante una delle prime assemblee presiedute da Renzi – il PD vota finalmente l’adesione al PSE con voto unanime tranne uno: l’indomito Fioroni.
Sulle magagne del PD nella campagna elettorale europea, abbiamo già scritto. Quindi, ci limitiamo a notare come i media italiani sembrino angustiati da una sola questione – ma se anche votiamo S&D, un tedesco alla guida dell’Unione ce lo vogliamo sì o no? In effetti, è un problema che Schulz deve porsi: la sua teutonicità potrebbe essergli rivolta contro, al di sotto di Alpi e Pirenei.

Abbiamo concluso le presentazioni di questi due vecchi teatranti, personaggi in cerca d’autore col terrore dei titoli di coda, che si apprestano ad andare a braccetto per i prossimi cinque anni, tra sorrisi sulla facciata e molte lacrime sulla faccia. E’ un’unione fatalistica, come i due barboni di Beckett che in un buio ostile aspettano un po’ Godot e un po’ i tempi migliori – sicuri, o forse solo speranzosi, che presto arriveranno; e i loro antagonisti sono già appostati dietro le quinte, e tramano nell’ombra. E forse è già troppo tardi. A settimana prossima.

Stefano Colombo
Photo Credit CC Jon Worth, Lisbon Council, PES Communications
Stefano Colombo
Studente, non giornalista, milanese arioso.

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