Inghilterra, anno 1971.
Il panorama della musica mondiale è in continuo fermento e sulla scena si affermano band sempre più diverse tra loro, spinte dal desiderio di inventare, scoprire e sperimentare nuovi sound e stili. Tra di loro spicca il nome dei Led Zeppelin, giovane band formatasi solo tre anni prima, con all’attivo tre album e un successo sempre crescente.
Mentre i primi due lavori erano stati accolti favorevolmente sia dal pubblico che dalla critica — soprattutto per le fortissime innovazioni percepibili nel loro sound, che spaziava dal blues al folk con forti influenze rock e heavy— il loro terzo album in studio pubblicato nel 1969, Led Zeppelin III, aveva subito forti critiche da una parte di stampa che probabilmente si aspettava un album costruito sulla falsa riga dei precedenti, trovandosi invece un album dalle sonorità totalmente diverse, fortemente folk che, messe in relazione con il sound più deciso della prima produzione, lasciavano presumere un infiacchimento da parte del gruppo. Era solo parte del loro processo di ricerca continua tra mondi diversi, nel tentativo di realizzare il desiderio che attanagliava la mente di Plant e compagni: riuscire nella creazione di un disco perfetto.
E da questo desiderio prende forma il quarto album dei Led Zeppelin, noto per non aver mai avuto un titolo chiaro e definito, ma per averne avuti molti come Untitled, IV, Runes Album, Four Symbols o Zoso.
Spinti da una forte avversione per tutto quello che non era sola musica, decisero di concentrarsi unicamente sui brani — tralasciando tutto l’aspetto legato alla promozione del disco, al marketing conseguente e, per ultimo, la forma stessa del loro lavoro che, fino alla pubblicazione, non si sapeva se dovesse essere una serie di quattro distinti EP o, come poi sarebbe stato, un classico LP. La copertina stessa del disco non raffigurava nient’altro che un muro, con della carta da pareti a fiori, strappata in più punti, su cui campeggia il quadro di un contadino intento al trasporto di una grande fascina di legno: il tutto senza alcun riferimento alla band se non le quattro rune scelte da ciascun membro come loro simbolo. Il risultato finale è un LP di otto brani, quattro per lato, dalle sonorità nuove che spaziano dall’hard-rock, al blues, fino al country-folk, il tutto arricchito da suoni mistici esoterici che attraversano l’intero album.
L’album si apre con l’urlo selvaggio di Plant nella celebre “ Black Dog”: un brano giocato sulla discontinuità, un continuo botta e risposta tra la voce e il giro di Page, impreziosito da imprevedibili variazioni ritmiche e da sonorità fortemente blues.
L’intro del grande Bonham apre “ Rock and Roll”, secondo pezzo del progetto, destinato a diventare uno dei pezzi più rappresentativi della band. Molto ritmato – anch’esso con tagli nettamente blues – nasce quasi per caso da un’ improv in sala di registrazione: mentre Bonham iniziava a suonare la ritmica di “Good Golly Miss Molly” di Little Richard, Page ci costruì sopra la base del pezzo, a cui poi sarebbero stati aggiunti voce di Plant e il piano di Ian Stewart, musicista britannico tra i fondatori degli Stones.
Con “The Battle Of Evermore” si inizia a navigare in acque diverse, veleggiando verso sonorità uniche. Vero e proprio capolavoro del folk, la ballata è caratterizzata dalla splendida voce di Plant che, in un intersecarsi di violini e chitarre – dai toni quasi medievali – per la prima ed unica volta duetta con un artista esterno al gruppo, Sandy Denny (cantante dei Fairport Convention), che impreziosisce ulteriormente un brano da brividi.
Ma è la quarta traccia il capolavoro – vero e proprio monumento – del gruppo: “Stairway To Heaven”.
Dal silenzio emerge quell’arpeggio di chitarra, da manuale di storia della musica, che trasporta subito in un mondo enigmatico e mistico, seguito dai fiati che danno un tocco di magia.
Ed ecco la voce malinconica di Plant cantare parole di una poesia indiscussa, alternandosi a sezioni di sola chitarra e fiati fino all’entrata di Bonham che, sicuro e deciso, fa riscendere il pezzo sulla scala del Rock. Ed è proprio quando il brano sembra aver dato già tutto che arriva il solo di Page: con le dita sulla tastiera della Telecaster, donatagli da Jeff Beck, tratteggia un solo quasi cantato che rappresenta l’apice emotivo del pezzo, e dà il via al correre della voce di Plant fino alla conclusione della canzone.
Il lato B dell’LP ha in sé pezzi d’indubbio valore, come la trascinante “Misty Mountain Hop” (molto amata dal gruppo), a cui fa da richiamo “Four Sticks”, con la ritmica caratteristica di Bonham che fa da base ai tagli acustici ed elettrici di Page, e la ballata “Going to California”, evidente richiamo a Led Zeppelin III per le forti sonorità acustiche.
Chiude l’album il pezzo senza dubbio più innovativo e sperimentale del progetto: “When The Levees Breaks”. Riadattamento di un brano del 1928 di Memphis Minnie e Kansas Joe McCoy, è l’ultimo brano dai tratti prettamente blues della band — si apre con l’armonica di Plant, dal tocco quasi vintage, accompagnata da una studiatissima parte ritmica di batteria e chitarra da cui fuoriesce la voce dello stesso Plant, ispiratasi per l’occasione al primo Elvis.
Federico Arduini
Tracce
(edizione originale in vinile)
LATO A
1. Black Dog – 4:57 – (Page, Plant, Jones)
2. Rock and Roll – 3:40 – (Page, Plant, Jones, Bonham)
3. The Battle of Evermore – 5:52 – (Page, Plant)
4. Stairway to Heaven – 8:03 – (Page, Plant)
LATO B
1. Misty Mountain Hop – 4:38 – (Page, Plant, Jones)
2. Four Sticks – 4:45 – (Page, Plant)
3. Going to California – 3:31 – (Page, Plant)
4. When the Levee Breaks – 7:08 – (Page, Plant, Jones, Bonham, Minnie)
Formazione
Jimmy Page – chitarra elettrica, chitarra folk, chitarra pedal steel, voce secondaria;
Robert Plant – voce principale, armonica a bocca;
John Bonham – batteria, timpani, voce secondaria;
John Paul Jones – basso, chitarra folk, mandolino, organo, pianoforte, voce secondaria.
Partecipazioni
Ian Stewart – pianoforte (in Rock and Roll, non accreditato)
Sandy Denny – voce (in The Battle of the Evermore)