“Gli Italiani perdono partite di calcio come fossero guerre e guerre come fossero partite di calcio.” —W. Churchill
Troppo spesso si sprecano citazioni ed esempi dal mondo anglosassone. Eppure l’altra sera a un nostro connazionale che si fosse messo a guardare la finale di Coppa Italia in un pub della perfida Albione sarà sicuramente venuta la faccia rossa per lo spettacolo andato in scena allo Stadio Olimpico di Roma. Provate voi a spiegarglielo ad un inglese che da noi è “normale” questo rituale che va in scena una domenica sì e qualcuna no… Vi riderebbe in faccia! E non tanto per la consuetudine con la repressione immediata di atteggiamenti non consoni quanto perché in Gran Bretagna sono riusciti nel progetto più importante: sradicare il comportamento violento dalla cultura del pallone, relegandolo a ciò che davvero è: un reato penale punibile con il carcere, meglio se immediato.
Come ha detto Bill Emmott, giornalista e scrittore britannico: “Alla fin fine, tuttavia, la battaglia contro la violenza negli stadi si riduce a una questione assai banale, sebbene costosa: dipende dalla volontà della polizia e delle società calcistiche di lavorare insieme per ottenere informazioni sulle gang e sui singoli tifosi violenti; dalla loro volontà di servirsi di quelle informazioni per negare l’accesso agli stadi agli elementi più recalcitranti e scatenati; e infine dalla presenza negli stadi di migliaia di poliziotti a ogni partita, oltre agli uomini dei servizi di vigilanza messi in campo dalle società calcistiche. In Inghilterra, è stata proprio questa misura a ridurre la frequenza degli scontri violenti all’interno e all’esterno degli stadi nel giorno delle partite”.

C’è stata dietro, evidentemente, una forte volontà politica che ha permesso che si agisse senza alcuna compassione o pseudo “comprensione” verso gli hooligan; come loro non avevano avuto alcuna pietà in una moltitudine di comportamenti assassini (a noi vicino il ricordo dello stadio Heysel e delle 39 vittime della follia più pura dell’essere umano) così non sarebbe stata offerta loro nessuna scusante, nessun The Show Must Go On.
Invece nel nostro Paese, il giorno dopo lo ‘spettacolo’ di Roma, stridono, e di molto, le parole moraliste dei politici e dei conduttori televisivi, soprattutto quando vogliono negare la realtà dei fatti e dire che non c’è stata “nessuna trattativa tra Stato e ultras. Nelle parole del Ministro dell’Interno: “Come Stato, siamo e saremo in grado di garantire l’ordine pubblico”.
Strano perché invece su Rai1 si è vista proprio una delegazione di “ambasciatori”, composta dal capitano del Napoli, Marek Hamsik, da rappresentati delle istituzioni calcistiche e da membri delle forze di polizia, recarsi sotto la curva Nord, dove risiedevano i tifosi napoletani che nel frattempo lanciavano petardi e fumogeni su chiunque, per discutere se si potesse iniziare o meno la partita; sembra perciò che sia avvenuta una vera trattativa tra delinquenti e istituzioni, preoccupate che i primi potessero scatenare “la rivoluzione” (ma non erano sicuri di riuscire a garantire l’ordine pubblico?) e rovesciare la loro furia sui settori adiacenti dello stadio. In sottofondo lo sproloquio continuo dei telecronisti, arrivato quasi ad inneggiare all’eroismo, nel momento in cui la delegazione ritorna fiera del permesso di giocare, nonostante ci fossero gravi rischi per l’ordine pubblico (motivo per cui la partita è iniziata con 45’ di ritardo) che avrebbero certamente potuto determinare il rinvio della partita, o l’annullamento della stessa con vittoria per 0-3 a tavolino per la Fiorentina.
Il punto della faccenda non è se abbiano agito bene o male, quanto piuttosto come questo comportamento violento sia da più parti tollerato se non addirittura assolto: basti pensare a quei genitori esagitati che urlano e inveiscono a bordo campo nei campionati giovanili, incoraggiando i figli nella follia collettiva in cui tutti siamo precipitati. In Italia non c’è memoria storica e ci si è già dimenticati degli ultras del Genoa che pretendono dai loro giocatori la consegna delle maglie o della furia distruttrice dei serbi capitanati da Ivan Bogdanov o di tutti gli altri scontri piccoli e grandi che si portano dietro una lunga scia di morti e feriti. A ogni nuovo episodio viene alla mente quella frase della canzone di De Andrè, Don Raffaè: “Prima pagina, venti notizie ventuno ingiustizie, e lo Stato che fa? Si costerna, si indigna, si impegna, poi getta la spugna con gran dignità”.
Qui la questione è quanto si voglia andare avanti con la testa infilata sotto la sabbia prima di prendere le adeguate contromisure. Non è più lontano di un anno e otto mesi fa quando l’allora Premier Mario Monti, di fronte all’ennesimo scandalo del calcioscommesse, disse ad alta voce ciò che mai nessuno in questo paese, almeno a livello politico, aveva anche solo osato pensare, figurarsi dire in conferenza stampa
“…mi chiedo se per due o tre anni non gioverebbe molto alla maturazione di noi cittadini italiani, una totale sospensione di questo gioco”.
Tutto il sistema calcio in Italia è basato sulla connivenza tra frange estreme del tifo e società calcistiche, con il beneplacito silenzioso della politica, per cui spesso sono le stesse società che corrono in aiuto dei propri ultras. Addirittura i veri capi riescono a vivere e a sfamare una famiglia con gli affari che si possono fare in curva; più si scende di categoria, poi, e più i tifosi diventano amici e confidenti dei calciatori della piccola città, così da rendere una prospettiva gustosa la possibilità di incidere sul risultato delle partite accordandosi prima. Indimenticabile per chiunque ami profondamente il calcio come chi scrive l’episodio della Nocerina, i cui ultras suggerirono alla squadra di ‘infortunarsi’ in modo da far sospendere la partita al fine di evitare altre e pericolose conseguenze.
La potenza mediatica del calcio dovrebbe essere utilizzata solo per far amare alla gente i valori veri dello sport; lo ‘spettacolo’ dell’altro giorno ha dimostrato invece che in Italia la prevaricazione e l’arrogante forza del numero sono l’immagine prevalente di quello che rimane lo sport più bello del mondo e che noi facciamo di tutto per distruggere.