Del: 6 Giugno 2014 Di: Jacopo Iside Commenti: 0

In Gioventù Bruciata (Elia Kazan, 1955) il protagonista Jim (James Dean) viene sfidato dal bulletto locale Buzz in uno dei ‘duelli’ più diffusi nelle sconfinate lande rurali degli Stati Uniti negli anni ’50, la chicken run: vince l’ultimo che si butta giù dall’auto in corsa lanciata verso il dirupo della scogliera. La sorte non è favorevole a Buzz, il quale rimane incastrato con la manica della giacca nella portiera e perisce nello schianto del suo bolide.
Per i ragazzi di quegli anni quel film divenne un culto per la straordinaria capacità di raccontare i riti di passaggio (e magari di insegnarne di nuovi) dei giovani all’età adulta.
Tullius Mayrich, proprietario di un piccolo cinema di Tullahoma, graziosa cittadina del Tennessee adagiata tra boschi e colline, dal suo studio al piano superiore dell’edificio affacciato su Jackson Street all’incrocio con Wilson Avenue poteva vedere bene il suo incubo: un drive-in appena aperto due isolati più in là, con nuovissimi altoparlanti singoli per auto e cameriere che piroettavano sui pattini portando frullati e hamburger agli avventori.

Tullius non aveva ancora superato la trentina ma sentiva il tempo stringere: i creditori lo assediavano, la concorrenza era sleale (il biglietto del drive in era estremamente economico, tanto si rifacevano col cibo) e lui aveva addosso molti più anni di quanto la sua patente non dicesse, era stato in guerra per un anno in Corea e non percepiva come suo quel film di ragazzacci viziati che sprecavano il loro tempo in stupide diatribe senza senso.

Quella sera guardava con aria desolata il bilancio, freddo termometro di carta e inchiostro che lo inchiodava alle sue responsabilità. Questa operazione gli generava sempre più ansia che lui sfogava sui pop-corn: quando aveva inaugurato il cinema due anni prima, trasferendosi dalla sua città natale di Atlanta, tutto gli pareva fantastico con un ambiente amichevole dove le persone si conoscevano e si salutavano, grandi profitti in vista e il sogno di una casa con il giardino, il vialetto, l’altalena e il garage per l’auto, con una moglie che gli preparasse una bella cena dopo una dura giornata di lavoro. La realtà era che aveva fatto alcuni investimenti azzardati, come l’aver acquistato sei macchine da pop-corn, e adesso si trovava coi debiti pronti a portargli via il suo sogno. Aveva portato nel suo ufficio una delle macchine, così da non dover scendere ogni volta per procurarsi il suo ambito anti-stress; stava ingrassando, seduto sulla poltrona di pelle rossa – altro investimento sbagliato – infilava avidamente la mano sempre più tozza nel piccolo sacchetto di carta dei pop corn, praticamente ingollando mezza porzione in un solo colpo.

popcorn

Non appena le sue dita toccavano il fondo, uno sconforto smisurato lo prendeva, la macchina distava solo 3 metri da lui ma gli sembrava lontana come quel Paese che aveva raggiunto sulla nave con la quale aveva viaggiato attraverso l’oceano Pacifico quattro anni prima. Il mais per i pop corn non era un problema, costava pochissimo dati gli enormi campi che circondavano la città, ma gli dispiaceva utilizzare un nuovo sacchetto — con quello che costavano l’uno! — per finirlo in appena due mosse, così continuava a riempirsi quello che aveva in mano, che ormai aveva assunto un orribile aspetto monocolore opacizzato dall’olio di molte abbuffate precedenti. Come quelle idee che arrivano senza una ragione e cambiano il mondo, al signor Mayrich venne in mente che avrebbe potuto vendere allo stesso prezzo una quantità maggiore di pop-corn rispetto a prima utilizzando solo i sacchetti più grandi e riuscendo così anche a tagliare sui costi di produzione e garantendo la soddisfazione maggiore degli appetiti dei suoi concittadini.
La Rivoluzione iniziata quel giorno prese presto piede, in particolare giunse alle orecchie di un ex-venditore di frullatori che l’anno prima era entrato in società con due fratelli nella gestione del loro locale, un grande ristorante drive-in di San Bernardino di nome McDonald’s.
Grande amante dei numeri, ma anche di quella sfera dell’irrazionalità dei desideri umani su cui si basa il capitalismo stesso, Ray Kroc rimase folgorato dalla possibilità di far ingrassare i muscolosi e aitanti abitanti della California potendo prevedere grandi margini di guadagno: non esisteva da nessuna parte il concetto di menù completo che offrisse un panino, una bibita e le patatine tutto ad un prezzo lievemente maggiore rispetto alla scelta classica dell’hamburger con la cola. Partì così, quasi per caso, quella corsa all’oversizing dei piatti che ha ingrassato i portafogli di alcune persone e la pancia di tantissime altre.

Jacopo Iside
@Jacopoiside
Jacopo Iside
Appassionato di Storia e di storie. Studente mai troppo diligente, ho inseguito di più i sogni

Commenta