Del: 3 Luglio 2014 Di: Jacopo Iside Commenti: 0

In questi giorni, come si sarà notato, è in corso la Coppa del Mondo di calcio. Attira circa un miliardo di persone — cioè un settimo dell’intera popolazione umana — ogni sera davanti agli schermi.
La notizia è che l’ultima partita giocata dalla nazionale di calcio statunitense, guidata dall’ex attaccante dell’inter Jürgen Klinsmann, sia stata vista da poco più di 30 milioni di spettatori sulle reti di ESPN, il più grande network sportivo americano.
Di per sè nulla di nuovo, si erano già toccati 28 milioni per USA-Portogallo — la novità sta nel fatto che adesso i media americani, e di seguito ovviamente la stampa nostrana, si siano accorti di questa inversione di tendenza. Un sondaggio di ESPN Sports Poll, database creato come centro di raccolta statistica delle preferenze sportive degli americani, para chiaro: nella fondamentale fascia d’età 12-24 anni il soccer si è consolidato come il secondo sport preferito in assoluto con il 13,7% di preferenze, dopo l’unico e vero football, ma prima di altri sport “mitici” del panorama nordamericano, e tutti fieramente Made in Usa, come baseball e basketball. Numeri così eloquenti che secondo il ricercatore Rich Luker, sociologo della North Carolina che studia i trend nello sport e co-fondatore di Sports Poll, la crescita del calcio fino alla punta della piramide sportiva americana è inevitabile e presto sarà al livello di basket e baseball, anche se il football resterà inarrivabile.

Questo studio, e più in generale la presa di coscienza degli americani che il calcio stia diventando uno sport popolare, ha avuto risalto quando, prima dell’inizio del mondiale, il prestigioso New York Times ha pubblicato un bell’articolo a firma di Pamela Druckerman, intitolato We Are The World (Cup); in esso, si evidenziava come il calcio fosse non solo diventato lo sport preferito di suo figlio di 5 anni, ma anche di un sempre maggior numero di persone negli Stati Uniti:

“Penso a quando gli ho chiesto perché gli piacesse così tanto la Coppa del Mondo e lui mi ha risposto – Perchè è la cosa più grande che ci sia sulla Terra – è come mettere in connessione un ragazzino con qualcosa di gigantesco e meraviglioso”.

Una delle motivazioni, convincenti, era che gli USA non sono i migliori in questo gioco. Una stranezza per loro, abituati a farla da padroni in qualunque cosa, che si ritrovano con una squadra priva di “gloria” (non ha mai vinto neanche una Coppa del Nonno) e così: “David Goldblatt, autore di Futebol Nation, scrive che molti in Asia e in Africa hanno a lungo sostenuto il Brasile, sia a fianco o al posto dei loro Paesi d’origine. Uno dei miei figli era deluso per essersi reso conto che è tecnicamente americano – Ma l’America non ha mai vinto un Mondiale– ha detto. Determinato a sostenere un vincitore, tifa Brasile anche lui.”

Che il calcio venga sempre più seguito negli Stati Uniti non è una novità e dal 1996, quando venne fondata la Major League Soccer, ad oggi, sul totale dei sostenitori sportivi l’incremento di quelli del soccer è stato di 7 punti percentuali passando dal 2,1% al 9,1%.

tifosi usa

Come riferito da David Courtemanche, vicepresidente esecutivo della MLS: “Recentemente il commissioner Don Garber ha annunciato di volere 24 squadre entro il 2020. Orlando e New York avranno nuovi club a partire dall’anno prossimo, mentre a Miami un gruppo capitanato da David Beckham sta lavorando per assicurarsi uno stadio per una squadra futura e ad Atlanta continuano a spingere per avere un team. L’interesse sicuramente non manca. Il nostro obiettivo è diventare uno dei migliori campionati al mondo entro il 2022, e lo misureremo dal livello del gioco, dalla passione dei tifosi, dall’importanza delle nostre squadre e dal valore della lega”.
I soccer-specific stadium sono stati il fattore determinante, da uno solo di proprietà si è passati ai quindici attuali, creando al contempo bilanci sani e grosse possibilità di guadagno per gli investitori, sul modello delle franchigie degli sport “più propriamente” americani; a ciò va aggiunto l’ingaggio di campioni sul viale del tramonto, ma ancora in grado di dire la loro come il già citato Beckham o Thierry Henry, fino all’ultima novità della squadra di Orlando, Ricardo Kakà.

Quella del calcio si sta conformando come una vera fede religiosa sullo stampo europeo — indimenticabili a questo proposito le parole dell’allenatore del Liverpool, Bill Shankly: “Alcune persone credono che il calcio sia questione di vita o di morte, ma è molto più importante di così”, anche se qua siamo lontani anni luce dalle scene di violenza che si registrano nel Vecchio Continente; come racconta Greg Mockos, presidente degli Emerald City Supporters uno dei gruppi più grandi tra quelli che seguono la squadra dei Seattle Sounders: “Negli Stati Uniti abbiamo la possibilità di creare qualcosa di speciale: la mentalità ultras senza violenza e politica, ma piena di passione, canzoni, amore, colore, tifo”; gli fa eco il vice, Aaron Reed: “Il nostro obiettivo è di facilitare la presenza dei tifosi allo stadio e il loro sostegno al club”.

Rich Luker sottolinea come “quella dei tifosi del calcio rappresenta una vera comunità, paragonabile – forse – solo ai fan degli sport di college o ai seguaci degli storici gruppi rock quali i Grateful Dead”

Una crescita sotto tutti i punti di vista, pare, eppure c’è chi in America, come qua da noi, con un sguardo cum grano salis riesce a detestare ogni cosa del carrozzone della manifestazione mondiale e il conseguente growing interest che sta interessando la società statunitense: il riferimento in particolare va ad Ann Coulter, una delle tante autoproclamatesi paladine del vero “essere americani” e che come un virus sta contagiando in maniera pressoché totale la fazione repubblicana. L’eminente columnist di The Clarion-Ledger ha sputato cannonate di fuoco fin dall’eloquente titolo dell’articolo: Any growing interest in soccer is a sign of nation’s moral decay. La tesi ha uno sviluppo affascinante: si passa da una delle considerazioni più qualunquiste che ci siano, e cioè che il soccer sia l’unico sport in cui molte partite finiscono senza reti: “Secondo tempo, 11 minuti alla fine, punteggio 0-0. Due ore dopo, un’altra partita di Coppa del Mondo: Primo tempo, 8 minuti mancanti, punteggio 0-0. Se Michael Jackson avesse curato la sua insonnia cronica con un video di Argentina-Brasile invece che col Propofol, sarebbe ancora vivo, sebbene annoiato”; per arrivare ad un classico dell’iconografia repubblicana a mano armata, cioè che lo sport sia molto simile ad una guerra: “Come è stato riportato che Lady Thatcher disse dopo che la Germania aveva battuto l’Inghilterra in qualche partita importante: «Non vi preoccupate. Dopo tutto, due volte in questo secolo li abbiamo battuti al loro gioco nazionale»”.

L’idiosincrasia repubblicana si manifesta contro un aspetto particolare del mondo del calcio, e cioè il fatto che sia un gioco in cui l’individualità non ha un ruolo centrale come nello sport, e nella vita, americani; questo concetto è fondamentale per gli statunitensi, i quali fanno dell’individualismo più esasperato una way of life e la consolazione è affidata ad una morale di matrice calvinista. Nel calcio non c’è un buzzer beater, quell’unico giocatore a cui può essere affidata la palla decisiva della partita, simbolo per eccellenza del basket e assente nel calcio dove le partite si vincono sia con i campioni che con i combattenti alla Beppe Furino (per usare un esempio diverso dal solito Oriali).

La Coulter sembra non aver fatto propria la famosa massima di Henry Blaha, giornalista statunitense e rugbista:

“Il rugby è uno sport bestiale giocato da gentiluomini. Il calcio è uno sport per gentiluomini giocato da bestie. Il football è uno sport bestia le giocato da bestie”

quando dice che “Ciò che distingue l’uomo dalle bestie inferiori, oltre all’anima, è che siamo dotati di pollici opponibili. Ecco una grande idea: inventiamo un gioco in cui non ti è permesso usarle!”, ecco infatti, inventiamo un gioco in cui 20 energumeni per lato, corazzati di tutto punto, si prendono a testate! Sport così “sano” da indurre la star della NFL Dan Marino, ex-quarterback dei Miami Dolphins, ed altri 14 giocatori, a chiedere i danni e un risarcimento monster da 765 milioni di dollari alla Lega, sostenendo che i colpi alla testa subiti in 17 anni di carriera siano stati la causa, a lungo termine, di una serie di gravi disturbi a livello neurologico, mentale, fisico e cognitivo.
Il calcio negli Stati Uniti è stato per lungo tempo considerato uno sport da ragazze o comunque da abbandonare intorno ai 14 anni per dedicarsi agli altri sport maggiori; l’ultima decade è stata caratterizzata da un’inversione di tendenza che non è sfuggita all’occhio di falco della giornalista, la quale si scaglia contro le mamme, definite testualmente liberal, perché: “è uno sport in cui il talento atletico trova così poca espressione che le ragazze possono giocare con i ragazzi. Nessuno sport serio è co-ed [coeducational, ndr], anche a livello di scuola materna.”

Ad un certo punto, l’enfasi contro il demone liberal-europista che alberga nei democratici diventa quasi estatica: “Il calcio è come il sistema metrico, che i Liberali adorano perché è europeo. Naturalmente, il sistema metrico è venuto fuori durante quei brevi intervalli di tempo della Rivoluzione Francese in cui non commettevano omicidi di massa con la ghigliottina.” La questione del sistema di misura si fa immagine di quanto siano malvagi i tentativi di europeizzazione in atto da parte dei liberali, i quali evidentemente adorano il calcio: “I liberali si arrabbiano e ci dicono che il sistema metrico sia più “razionale” del sistema di misura da tutti conosciuto. Questo è ridicolo. Un pollice è la larghezza del pollice di un uomo, un piede la lunghezza del suo piede, una yarda la lunghezza dalla sua cintura, è facile da visualizzare. Come visualizzi 147,2 centimentri?”.
La conclusione è l’apoteosi di tutto quel misto di razzismo e ignoranza che si può immaginare provenga da quelle zone del Midwest abbondanti rednecks, e non da un portale di informazione:

“Se più americani stanno guardando il calcio oggi, è solo a causa del cambiamento demografico generato dalla legge sull’immigrazione di Ted Kennedy del 1965. Ve lo garantisco: nessun Americano il cui bisnonno sia nato qui, sta guardando il calcio. Possiamo solo sperare che, oltre a imparare l’inglese, questi nuovi americani abbandonino il loro feticcio calcistico nel tempo.”

Insomma, il calcio è una merda.

Jacopo Iside
@JacopoIsisde

Photo Credits @Eurosport

Jacopo Iside
Appassionato di Storia e di storie. Studente mai troppo diligente, ho inseguito di più i sogni

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