Mercoledì 23 luglio 2014. Sono solo le 7.45 del mattino, ma a Milano la Digos è già in Piazza Sant’Eustorgio, e lo sgombero di Zam – spazio sociale autogestito nel centralissimo quartiere ticinese, nei pressi del Parco delle Basiliche – è ormai imminente: di lì a poco giungeranno anche Polizia e Carabinieri con la celere. Le cinquanta persone che si trovavano all’interno dello stabile subito si dispongono davanti ai cancelli, organizzate in cordoni. La notizia si diffonde, altri accorrono. I ragazzi tentano invano di impedire l’ingresso delle forze dell’ordine che, dopo leggere cariche, sono dentro l’edificio. Trascorrono pochi minuti, ma tra la resistenza passiva dei manifestanti – resistenza non violenta e del tutto priva dell’impiego di armi, a differenza di quanto affermato da molti quotidiani – e quelle leggere cariche della celere, ci scappano già cinque feriti e decine di contusi: ferite alla testa, sul corpo, sulle mani, costole incrinate. Insomma, di quelle cose che in genere accadono nell’incontro troppo ravvicinato col manganello. E di nuovo, anche qui, una ragazza riversa a terra viene presa a calci. Somigliava anche lei, forse, ad uno zaino?
Nel frattempo, ogni locale interno è stato barricato, le scale, le palestre; rimangono solo tre ragazzi sul balconcino che dà su Via Santa Croce. Diverse le loro richieste: il sindaco dichiari una moratoria sugli sgomberi da qui a tempo indeterminato; se lo stabile di Zam è pericolante, l’amministrazione lo metta immediatamente in sicurezza per tutelare il vicinato; la scuola sia intitolata a Don Andrea Gallo.
Sono costretti infine ad uscire tra le 12.30 e le 13.
Zam è vuoto.
A maggio 2013, poco più di un anno fa, i ragazzi di Zam entravano nella scuola media Giulio Cesare in Via Santa Croce. È facile immaginare lo spettacolo dato da più di sette anni di abbandono: sporco, disordine, siringhe; l’edificio – situato in pieno centro – era ormai rifugio fisso di senzatetto, spacciatori e malviventi della zona: un luogo di proprietà comunale, di cui l’amministrazione ben poco si curava. Le attività organizzate sono state moltissime sin dall’inizio dell’occupazione, motivo per cui è presto diventato punto di riferimento per tanti ragazzi, ma anche per anziani, adulti, bambini, intere famiglie; erano infatti presenti un orto, una palestra da arrampicata, un’altra in cui si tenevano diversi corsi (yoga, capoeira), un’osteria popolare, una sala teatro sotto iscrizione libera, un laboratorio di fotografia: una bellissima esperienza nata in uno spazio prima profondamente segnato dal degrado e che ora si apriva ad un tipo di socialità alternativa, in una zona come quella della movida.
Pretesto per lo sgombero, una perizia effettuata un mese e mezzo fa circa su richiesta dalle autorità giudiziarie riguardo le condizioni dello stabile: l’edificio sarebbe stato definito inagibile. I ragazzi del centro sociale non mettono in discussione l’esistenza di tale documento; affermano piuttosto che: «Ancora una volta l’amministrazione comunale decide di non governare questa città, o meglio, di non perseguire la via del dialogo. Lo stessa decisione è stata presa ai tempi di Via Olgiati. È il Comune di Milano, evidentemente, ad aver disposto che si procedesse con la perizia. Questo avveniva con molta probabilità negli stessi momenti in cui i suoi alti funzionari si riempivano tanto le bocche di belle parole: tavolo di trattativa, dialogo , apertura sul tema degli spazi sociali. Di qui allo sgombero, il passo non sembra così breve; invece quell’enorme spazio – che è un baratro, che pare invalicabile – ha un nome: incoerenza; e poi, violenza. Non c’è dunque quella discontinuità tanto declamata rispetto alle giunte precedenti, e tutti i recenti sgomberi ne sono testimonianza».
Mercoledì mattina la Polizia non ha usato mezze misure. Una situazione di resistenza passiva si può gestire sicuramente in maniera migliore (ad esempio, evitando di manganellare giovani del tutto disarmati che non usano violenza). In sostanza, si è deciso di non gestirla: di caricare i manifestanti senza porsi troppi problemi; di alimentare e fomentare i disordini.
A pochi mesi dagli ultimi titoli dedicati a Zam, dallo scandalo del video-bufala realizzato dal fantomatico club di mamme del Parco delle Basiliche a cui sia Corriere che Repubblica avevano dato credito, torniamo a parlarne, ora con molta più amarezza. Sarà che un pretesto tira l’altro, ma alla fine questi diversi tipi di resistenza hanno trovato concretezza, e nel modo peggiore. Nel caso in cui lo stabile presentasse problemi strutturali o fosse pericolante – fatto peraltro innegabile – basterebbe metterlo in sicurezza, senza gettare al vento il lavoro e l’impegno di quei giovani, insieme a tutto ciò che Zam è diventato per la comunità. Questo sgombero era davvero così necessario, così inevitabile?
I morti al largo Augusto non erano cinque soltanto.
Assassinate ed oppresse c’erano anche libertà ed espressione. Tante, troppe erano le opportunità andate perdute, schiacciate e soffocate; tanta, troppa la violenza ingiustificata ed ingiustificabile.
Chi aveva colpito voleva essere il lupo, far paura all’uomo. Non voleva fargli paura? E questo modo di colpire era il migliore che credesse di avere il lupo per fargli paura.
Però nessuno, nella folla, sembrava aver paura.
Marta Clinco
@MartaClinco