A partire da oggi presso il VIGAMUS, il Video Game Museum di Roma, sarà possibile visitare la Oculus Room, la prima sala al mondo permanente dove sperimentare senza costi aggiuntivi a quelli del normale biglietto, Oculus Rift Development Kit 2, la seconda versione migliorata di Oculus Rift, una sorta di schermo da indossare come un paio di occhiali attraverso il quale visualizzare immagini 3D ed entrare letteralmente all’interno dei videogiochi – niente a che vedere dunque con Google Glass.
A differenza del primo, questo modello ha un OLED a bassa persistenza e il positional tracking, non crea più l’effetto sfocato, è quindi ad alta definizione e ha un framerate – cioè la frequenza dei fotogrammi – di 75 Hz, 72 Hz e 60 Hz.
Ecco il raffronto con la versione precedente fatta da vari esperti tra cui Palmer Luckey, inventore di Oculus Rift e fondatore della società, acquisita quest’anno da Facebook per due miliardi di dollari.

La notizia dell’acquisizione non ha destato troppa meraviglia – di certo qualche timore, vista quella quasi simultanea, stavolta però del valore di 19 miliardi, di WhatsApp, applicazione creata nel 2009 da due ex impiegati di Yahoo!, Jan Koum e Brian Acton.
Ad ogni modo, Mark Zuckerberg non sarà forse stato l’unico ad intuire che questa invenzione potrà rivoluzionare il nostro modo di rapportarci al mondo virtuale, ma di certo è stato il più veloce ad entrarne in possesso.
È facile comprendere quanto possa averlo allettato l’idea di avere tra le mani uno strumento che permetta di entrare all’interno di un mondo virtuale e precisamente in quello della sua creatura, Facebook, il social network che influenza sempre più la vita reale della maggior parte dei suoi iscritti, come fa notare il regista Shaun Higton.
Nonny de la Peña, giornalista per varie testate tra cui Newsweek e The New York Times, ha utilizzato questo prodotto per dar vita alla, chissà, nuova frontiera del giornalismo: immersive journalism.
L’innovativo progetto consiste nel raccontare notizie attraverso videoclip o veri e propri documentari – con l’aiuto di fotografie e materiale audio e video reperiti rigorosamente sul campo – fruibili esclusivamente con Oculus Rift, che permetterà dunque una vera e propria immersione all’interno della notizia, di cui l’utente è personaggio stesso, quasi ne fosse testimone. Egli infatti potrà vedere la rappresentazione digitale di sé stesso, avrà le capacità di muoversi sulla scena e persino, in parte, di interagire.
La giornalista ha realizzato già vari lavori, tra cui Hunger in Los Angeles, un documentario che racconta gli sfortunati eventi avvenuti durante l’attesa fuori da una Food Bank della città e Project in Siria, che tenta di rappresentare il ginepraio in cui si trovano più di un milione di bambini siriani, obbligati a lasciare il proprio paese a causa della guerra civile.
Da come si nota, l’ambiente ricreato è sì la riproduzione del reale, ma con una semplice grafica da videogiochi. Difficile dunque immedesimarsi completamente, almeno per ora.

Questa nuova frontiera dell’informazione però, per quanto voglia essere il superamento di quella vecchia – che non renderà forse i fruitori altrettanto partecipi ma che attraverso i suoi supporti meno immersive permette di mantenere una costante distanza e un sano distacco critico da chi vuole (o meno) informare – non è priva di problematicità.
Oculus Rift – chissà, forse prossimo medium di massa – in fondo non è che un display che riproduce un mondo fittizio, sì simile in tutto e per tutto a quello reale ma che non può essere rappresentativo di una verità assoluta. Le immagini che ci mostra non sono che una versione dei fatti, più o meno oggettiva, ed il loro valore deontologico non è, di conseguenza, superiore a quello delle immagini che appaiono in un qualsiasi servizio al telegiornale – sebbene la capacità intrinseca di Oculus Rift di farci sentire parte dell’azione e testimoni stessi dell’accaduto ci possa portare a credere il contrario.
Dimenticare che il video che vorrebbe raccontare la presunta verità è in ogni caso la creazione di un giornalista, con le sue opinioni e con i suoi preconcetti, può essere dunque tanto facile quanto pericoloso.
@MariaC_Mancuso
Foto CC Sergey Galyonkin