31 Luglio 2014, ore 23.30 — Ad oggi, l’epidemia di Ebola, dichiarata lo scorso Marzo nell’Africa Occidentale, è responsabile di 1323 contagiati e 726 vittime, tra Liberia, Guinea, Nigeria e Sierra Leone. Il presidente di quest’ultima, Ernest Bai Koroma, ha richiesto lo stato di Emergenza non più di 24 ore fa.
L’Ebola è una patologia appartenente alla famiglia virale delle Filoviridae, dalla tipica struttura filamentosa. Diagnosticata per la prima volta nel 1976, l’infezione possiede cinque ceppi virali e un altissimo tasso di mortalità — tra il 50 e il 90% — e uno più basso di contagio, proprio perché la morte sopraggiunge così rapidamente che il più delle volte il virus non riesce ad essere trasmesso.
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I primi sintomi sono comuni a quelli scatenati da una banale influenza, encefalite, dolori muscolari e articolari, nausea, vertigini, poi accompagnati da una febbre alta.
A queste avvisaglie si susseguono rapidamente perdite ematiche scure, petecchie, occhi rossi e dilatati, rash e porpora, sintomi causati dalla reazione del virus con le piastrine umane che porta alla rottura di capillari ed emorragie diffuse, in particolare all’interno dell’apparato digerente. La morte sopraggiunge nel giro di una decina di giorni per shock ipovolemico o MODS (Multiple Organ Dysfunction Syndrome).
Il contagio potrebbe essere limitato con alcuni accorgimenti igienico-sanitari, assenti nelle zone colpite e difficili da innestare ora che la diffusione è così ampia. La prevenzione però rimane l’unica cura sicura, poiché non esiste un protocollo standardizzato per trattare per la febbre emorragica da ebolavirus, ma solo una terapia che agisce sui sintomi, tentando di stabilizzarli prima che agiscano sull’intero organismo. Negli ultimi mesi però sono state illustrate alla comunità scientifica due diverse soluzioni che paiono poter dare risultati positivi, la prima comprende l’utilizzo di amiodarone, dronedarone e verapamil per rendere la cellula umana impermeabile al virus dell’Ebola, la seconda invece sfrutta l’Adenosina, per agire sul ciclo vitale del virus, inibendolo e interrompendone quindi l’attività patologica.
Sono stati inoltre prodotti alcuni vaccini, ma non sono in grado di conferire immunità totale e risultano poi inutili se somministrati in una comunità in cui l’epidemia ha già provocato le prime vittime — i fori delle siringhe infatti, oltre che ad aumentare il pericolo di contagio, facilitano le emorragie nei soggetti colpiti.
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L’odierna epidemia, dichiarata il 22 Marzo 2014 in Guinea, aveva già dato le prime avvisagli nel Dicembre 2013, e dopo ormai 7 mesi è stata definita senza precedenti da Medici Senza Frontiere, a causa dell’alto numero di contagiati, insoliti per questa infezione, e preoccupa anche buona parte dei paesi occidentali. Alcune nazioni, tra cui l’Italia, hanno inviato nelle zone contagiate delle equipe di ricerca per valutare il rischio di espansione del contagio, dichiarato poi bassissimo sia perché la trasmissione richiede un contatto ravvicinato con le persone infettate, sia per i ripetuti controlli effettuati nelle diverse linee di frontiera. La patologia infatti è facilmente diagnosticabile e isolabile in singoli casi trattabili. Nonostante le rassicurazioni degli esperti però molti stati dell’Unione Europea si sono dichiarati preventivamente attrezzati a fronteggiare un’epidemia in loco. Uno è sembrato essere un caso di Ebola, registrato a Valencia e messo immediatamente in quarantena, quindi sottoposto tempestivamente a controlli multipli, che hanno smentito ogni timore. Unica voce fuori dal coro appare il Regno Unito, che, secondo il segretario generale del sindacato per i dipendenti del servizio immigrazione, Lucy Moreton, non sarebbe in grado di fronteggiare un’eventuale diffusione del virus, affermazione subito contrastata dai rappresentanti della Border Force.
L’Organizzazione Mondiale per la Sanità, dopo aver affermato qualche giorno fa in una nota “Tra il 23 e il 27 luglio si è avuto un aumento dell’8,5% dei decessi e del 10% dei casi”, ha progettato un piano da 100 milioni di dollari che partirà il primo giorno di agosto nella Guinea per toccare poi gli altri stati colpiti, con lo scopo di bloccare rapidamente il contagio.
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La Liberia ha chiuso tutte le scuole, i mercati nelle zone di frontiera e gli stadi per evitare che contagio massiccio. In Sierra Leone si contano le vittime anche tra il personale sanitario, particolarmente importante la perdita di Sheik Omar Khan, medico in prima linea nella lotta al contagio, che dirigeva il centro clinico per le cure contro l’Ebola a Kenema.
L’Ebola è una patologia che non ha mostrato mutazioni nel corso degli anni, possiede quindi una struttura fissa — a differenza dell’AIDS — e perciò isolabile e contrastabile una volta che sarà prodotta una terapia adeguata, la sua reale pericolosità sta nella capacità di rimanere silente per decenni, mietendo poche decine di vittime, magari all’interno di un’area isolata o tra organismi animali, principali vettori del virus. L’epidemia del 2013-2014 è la più feroce mai registrata e si diffonde rapidamente in un territorio già prostrato dall’azione di alcune tra patologie più letali, AIDS, Malaria, Tifo.
Le zone colpite sono prive delle principali strutture economiche e sanitarie per contrastare il contagio, mancano farmaci, medici, mancano strutture e quantità sufficienti di liquidi e alimenti e manca soprattutto una coscienza sanitaria primaria, che impedisca ai pazienti di scappare dagli ospedali e porti le famiglie a denunciare alle autorità mediche nuovi contagi.
Non si tratta di un virus facile da contrarre, è necessario venire a contatto con sangue, secrezioni infette, in specifiche zone dell’organismo già vulnerabili. Basterebbero accorgimenti elementari per evitare che il contatto avvenga, ma fino a che questo poco rimarrà ignoto ai più, l’Ebola continuerà a fare le proprie vittime. Per questa ragione molti degli sforzi economici internazionali dovrebbero essere rivolti anche alla prevenzione e all’istruzione delle popolazioni, perché sappiano riconoscere la patologia e quindi difendersi dal potenziale letale del contagio.
@GiuliaAlice1
Foto CC Phil Moyer and European Commission