A uso e consumo dei futuri insegnanti privati, si vuole qui offrire un curato e conciso compendio antropologico sulla plurivoca fauna urbana al cui contatto tale mestiere espone. In primo luogo, il genitorame, qui comodamente suddiviso in cinque colorate e disinibite categorie d’esempio.
Lo Smarrito
Lo sconcerto negli occhi dello Smarrito al primo incontro è uno di quegli sguardi che rimangono per sempre impressi nella memoria. In classifica c’è lo sguardo della ragazzina del tuo primo bacio, subito dopo Jack Nicholson in Shining, subito sotto il terrore cieco dello Smarrito. Vi è intessuto un groviglio di imbarazzato pregiudizio che la metà basterebbe a silenziare un gay pride. Vi è inciso un monologo di sconfortata insoddisfazione che la rhésis di Medea al confronto sembra un accertamento fiscale.
Lei mi ha detto, al telefono, che è laureato con 110 e lode in lettere classiche. Io mi aspettavo un asociale gobbo con accenni di autismo, occhiale spesso, una cabina armadio nel secolo sbagliato e un sorriso nevrotico e compulsivo. Invece lei mi pare assolutamente troppo accettabile a livello sociale, ha dei capelli che chissà quante canne si fa al giorno, è vestito in maniera inappropriatamente informale e potrebbe persino avere una ragazza. Io mia figlia col cazzo che te la lascio.
Prerogativa classica dello Smarrito sono fugaci apparizioni a lezione in corso: lo si può facilmente veder sbucare dietro lo stipite della porta, nell’illusoria convinzione di passare inosservato, mentre con ansia genitoriale cerca di carpire possibili indizi di spaccio, stupro o incentivo alla prostituzione minorile. Altrettanto classico il tentativo in absentia di minare nella prole la credibilità del tutore: Ma sei sicura che sia bravo? Ma allora ti piace? Ma con quei capelli? E quindi non puzzava di fumo? Ma perché non andiamo dalla Scarazzini come gli altri anni, che mi fa star tranquilla? Ah è morta? Ma me l’avevi già detto? Era così brava lei…
L’Estraneo
L’Estraneo è una tipologia di genitore sufficientemente comune. È clamorosamente riconoscibile, fin dal citofono: di fronte ad una cauta presentazione nel giorno e nell’ora precedentemente fissati, è solito rispondere con enigmatici “Non vogliamo pubblicità”, “Mia moglie non è in casa” o addirittura “Si rivolga al mio avvocato”.
Una volta chiarito con cordialità che il legale di famiglia non presenta particolare interesse nel grattar via ruggine dal proprio latino, l’Estraneo tenta spesso un affannoso recupero cercando di dar prova di paterna e sentita partecipazione alla questione didattica. Uno spettacolo nel quale si dimostra spesse volte impacciato come un’otaria sovrappeso nei 110 a ostacoli.
«Allora, mio figlio fa il liceo…»
Pausa. Sguardo obliquo alla moglie. Primo ostacolo dopo neanche sette parole. Giusto, no? Fa il liceo? Sorriso compiacente e rassicurante della consorte. Si prosegue.
«Ed è anche abbastanza bravo.» Lo afferma restando in principio prudentemente, saggiamente sul vago.
«Specialmente in…» Ostacolo. Di nuovo. Ma perché quest’avventura, vien da chiedersi? Perché? Non lo voglio sapere, davvero. Giuro.
Silenzio. Mano aperta in avanti come a dire guarda te, ce l’avevo proprio qui sulla punta della lingua, quella materia lì, suvvia, ha capito, mi aiuti anche lei però, un po’ di collaborazione non guasterebbe… «Giovanna, dove che aveva preso 8 l’altro giorno? In inglese, mi pare…»
«In matematica», suggerisce paciosa la regia.
«In matematica» conferma sagace il pater familias, con un sorriso soddisfatto e radioso, quasi che la parola evochi dolci sere d’estate d’un passato vissuto e perduto fra profumi d’oleandro e serafiche leggiadre brezze.
«Quindi sa, per le altre materie avremmo pensato a supportarlo con un piccolo aiuto esterno, un leggero rinforzo. Mia moglie mi ha detto che i Coletti sono rimasti molto soddisfatti dal suo lavoro.» Altro rapido sguardo al gobbo silente, si sa mai. Coletti?
«Ora, io non sono molto pratico di queste cose…” – imbarazzato momento di stallo – “lei si fa pagare, giusto?»
Di solito è qui che la moglie accompagna affettuosa l’Estraneo in un’altra stanza. I secondi per fuggire sono giusto una manciata. L’esperienza però aiuta.
L’Immanicato
L’Immanicato negli anni aurei della sua giovinezza ha frequentato profittevolmente il liceo classico: è quindi, in incognito ma orgogliosamente, un fine cultore della materia, avvocato, medico, falegname o palazzinaro che sia diventato. È inevitabile, quindi, che tra lui e il tutore nelle cui mani affida amorevolmente la sua progenie sbocci un rapporto di complice superiorità fondato sulla palese affinità spirituale che così spontaneamente emerge. Quando due anime sgrossate dal grigiore della mondanità grazie ai lumi di una formazione faticosamente ma fruttuosamente assimilata s’incontrano, una celestiale armonica intesa si spande nell’aere terso.
L’espressione tipica dell’Immanicato è un sorrisetto obliquo e sornione, a testa inclinata. Lo contraddistingue un tono di voce quasi premuroso, e, ovviamente, la continua ma attenta ricerca di spiragli onde esibire la propria fine erudizione in ambito. Secondo i dettami della sprezzatura castiglionesca, l’Immanicato lascia cadere lucide perle di cultura con una naturalezza che pare nient’ affatto sforzata, e che nasce, evidentemente, dalla frequentazione quotidiana dei grandi maestri.
Di fronte a lui ha finalmente un adepto dello stesso vero sapere, un iniziato ai misteri di una levatura spirituale superiore. Finalmente può esprimersi tra pari. Finalmente ha un interlocutore che conosca la consecutio temporum.
Verso il figlio, invece, ha saltuari sguardi di carezzevole compassione paterna, gli stessi di quando la imbuca al minigolf sul colpo dove il birbantello la sbaglia sempre, gli stessi di quando “lascia che la cassetta dell’acqua la porto io”. “Un giorno anche tu sarai come il tuo vecchio”, gli suggerisce tacitamente tutto fiero, mentre gli appoggia con fare pontificale una mano sulla zucca vuota.
«Eh ma sa, le posso capire, le difficoltà di Marco in latino. Certo quando si inizia ad affrontare il periodo ipotattico di un Cesare, di un Sallustio, di un Priapo, non siamo mica più a rosa rosae…»
Strizzata d’occhio, ammiccamento. Se è affettuoso anche manata sulle spalle. Eh, l’ipotassi del pene eretto. Mica cazzi, Marcolino. Anzi, in realtà sì. Ma liceat, suvvia.
L’Aristocratico
Gli affari sono affari e si sa, quando si va a far lezione in una villa a tre piani in una via privata angolo via Orefici, non si spregia un tentativo di leggera pimpata al guiderdone consueto.
Ed è spesso così che si approda negli ambienti dove è di casa l’Aristocratico. La peculiarità del suo rapporto interpersonale col tutor del suo rampollo si concreta in una sfumatura leggera, un fugace e appena percettibile tocco di colore: l’Aristocratico, probabilmente per una svista dovuta all’incompetenza del segretario domestico, è convinto di avere a che fare con un servo della gleba.
Un’incongruenza tutto sommato comprensibile, in chi non abbia tutta questa familiarità nelle relazioni con le classi sociali inferiori, tipicamente mimetiche e dai confini spesso sfumati e incerti. Tutto ciò porta talvolta a un lieve sfasamento delle mansioni tipiche: non è raro che si venga richiesti di spaziare, finite le lezioni col figlio, anche in ambiti intellettuali non propriamente consueti, siano questi dar due colpi di martello alla gamba del tavolo che si è stortata, raccogliere le foglie in giardino, o portare fuori il bracco irrequieto.
Se l’Aristocratico è particolarmente affabile, si è spesso da questi accolti con laute offerte di cibo, dispensate con la medesima grazia con cui avrebbe lanciato un panino instagnolato al mendicante della metro (luogo dove, in ogni caso, non è mai stato: dei rumeni è venuto a conoscenza tramite amici meno abbienti). Inutile protestare dicendo di aver appena mangiato: la reazione tipica dell’Aristocratico è un leggero roteare degli occhi accompagnato da un ampio sorriso. Va bene, facciamo finta che anche voi avete il cibo. Congedandosi, fa in modo di chiarire al domestico di premurarsi affinché l’ospite non si allontani senza essere stato nutrito.
Il Complottista
Di primo acchito, il Complottista pare esente da stravaganti peculiarità: la conversazione con detta tipologia di genitore può addirittura risultare piacevole e spontanea.
Almeno, finché non s’inizia a parlare dei professori del figlio. È in quella, infatti, che il tono di voce del Complottista si fa improvvisamente più basso e roco, la sua espressione contrita e allarmata, i suoi movimenti a un tratto nervosi ed elettrici. Sa che la sua famiglia, nella persona del suo indebitato secondogenito, sta affrontando un’organizzazione potente e spietata, e se ne fa cruccio e vanto a un tempo. Il suo sguardo cerca le tue pupille, con intensità: vuole comunicare tutta la solidale fratellanza con cui ti stanno accogliendo nella loro radicale frangia di ribellione zapatista all’autoritarismo didattico.
La moglie intanto accende la musica, alta. Per le microspie, mi dice.
«Giovanni in latino aveva la media del 5,46, e questo, dico, senza considerare che il 17 Febbraio la Morlotti aveva espressamente detto che non avrebbe tenuto conto della versione andata peggio, che il 14 Aprile aveva detto che se Giovanni sarebbe andato avanti così la sufficienza la prendeva, e che il 26 Maggio il mio campioncino aveva preso un bel “più” sul registro, testimoni i compagni tutti. Ora, dov’è finito quel più agli scrutini? Dove? Ce lo stiamo chiedendo tutti qui. Dove-cazzo-è-sparito-il-più. Mistero. Perché non per essere polemici, eh, ma facendo i conti giusti arriveremmo precisamente a un 5,53. Zorlini, Raboldi e Muvotti avevano 5,52, 5,58 e 5,61, non avevano “più”, e non hanno preso il debito in latino. E allora perché loro sì e Giovanni no?» A questo punto sgrana gli occhi e alza le spalle, come a dire, mi pare d’aver detto tutto. Non si può che annuire, prima che riprenda.
«Lei non conosce la Morlotti, guardi. Brava, eh, perché è brava, però, signori miei, che tipo … Strana. Strana forte. E poi mio figlio proprio l’ha preso in antipatia. Dal primo giorno, guardi. Così, a pelle. Non lo può proprio vedere. Lo odia. Lo vorrebbe morto. Capisce anche lei, che, povero Giovanni, è dura … Ora, lei faccia quello che può. Pagarla la pago, eh. Però io già lo so come andrà questo esame. Io non mi aspetto niente. Con quella lì…»
Come anticipato, il prontuario qui fornito non vuole avere l’arroganza di essere esaustivo né l’ottusa vaghezza della generalizzazione. Eppure, riteniamo modestamente con questi pochi sparuti esempi di fornire servizio utile a un mercato ricco di soddisfazioni come quello del precariato a domicilio. Un accessorio prezioso per voi, soldati semplici della didattica o aspiranti tali; voi, uomini coraggiosi che, senza onore, vi infiltrate behind the enemy lines forti solo della vostra bicicletta e della legittima esenzione fiscale.
Matteo Di Napoli