Il corpo umano non è una macchina perfetta. È un organismo fragile, fondato sull’equilibrio precario di diversi componenti coordinati, basta un elemento in più o in meno perché la struttura si incrini, ceda sotto il peso di particelle infinitesimali.
Fino alla metà del ’900 buona parte delle morti avveniva a seguito di infezioni causate dall’intervento di batteri patogeni allora sconosciuti, organismi unicellulari, semplici, elementari, ma in grado di sconvolgere la stabilità biologica dell’essere umano.
Da quando nel 1928 Alexander Fleming scoprì l’utilizzo antibiotico della Penicillina – rivoluzionando la realtà medica e sanitaria e contribuendo a salvare milioni di vite – gli antibiotici identificati, sintetizzati e messi in commercio sono stati più di centinaio, l’ultimo è il Ceftarolina fosamil, prodotto nel 2013.
Si tratta di sostanze presenti in natura o create artificialmente, in grado di sopprimere o rallentare la crescita di specifici batteri, agendo sulle strutture dell’agente patogeno, come la membrana plasmatica, la parete cellulare o interferendo con processi essenziali per la proliferazione. L’utilizzo in campo medico è oggi essenziale per la cura e il trattamento di numerosissime patologie di diversa entità e genere, privarsene significherebbe riportare il genere umano agli anni più bui della propria storia.

Non è uno scenario così difficile da immaginare per l’equipe di microbiologi dell’Università di Exeter, nel Regno Unito e per i loro collaboratori dell’Università di Kiel, in Germania. I ricercatori sono infatti riusciti a provare che il meccanismo di resistenza antibiotica, scatenato dai batteri, viene accelerato dalle terapie più aggressive. Ciò significa che più il farmaco è potente e più sarà rapida ed efficace la capacità del batterio di elaborare una forma di resistenza.
Per Resistenza Antibiotica si intende un fenomeno per cui un batterio, per determinate caratteristiche che lo differenziano dai microrganismi della medesima specie, resiste all’azione deabilitante dell’antibiotico.
La resistenza può essere naturale – data da caratteristiche anatomiche o metaboliche del batterio – o acquisita, causata dall’esposizione del patogeno all’antibiotico e dagli effetti che ne scaturiscono come la modifica del target batterico, la produzione di enzimi inattivanti il farmaco o l’efflusso attivo che induce la fuoriuscita dell’antibiotico dalla cellula. Si tratta di selezione: i batteri sensibili all’antibiotico vengono eliminati, quelli che sopravvivono sviluppano ceppi batterici imprevedibili per i quali lo specifico antibiotico smette di funzionare.
I microbiologi di Exter e Kiel hanno osservato come il batterio modello preso in esame, l’Escherichia Coli, se colpito con massicce dosi di antibiotico, sviluppi più rapidamente forme di resistenza duplicando specifiche aree del proprio genoma contenenti geni che conferiscono resistenza. L’espressione di questi geni pare poi più veloce quando gli antibiotici vengono combinati, portando ad una rapida evoluzione di batteri estremamente resistenti.
Sembra un meccanismo senza uscita, incrementato dall’utilizzo spesso sconsiderato degli antibiotici da parte di pazienti e strutture ospedaliere. Negli Stati Uniti i dati ufficiali dicono che nel 2009 sono state somministrate tremila tonnellate di antibiotici, mentre in Europa i primi posti della classifica per consumo farmacologico se lo aggidicano Grecia, Italia e Portogallo. Non è poi considerata nella statistica, l’auto prescrizione di antibiotici spesso assunti dai pazienti senza consultazione medica, per un’influenza, un raffreddore, oppure per un numero di giorni inferiore o superiore rispetto alle indicazioni sanitarie. Si tratta di un uso non responsabile dei farmaci che aumenta il rischio di scatenare forme di resistenza antibiotica, oltre che ad allungare i giorni di degenza del paziente e la possibilità di ricaduta. È registrata anche una diffusa confusione rispetto all’uso di farmaci generici, antibiotici, antivirali e antifunginei, considerati intercambiabili da buona parte dei pazienti e assunti in situazioni in cui non sarebbero necessari o su soggetti non indicati come bambini, gestanti o individui con patologie preesistenti.
Queste situazioni contribuiscono a creare forme di batteri multi-resistenti ossia resistenti a più antibiotici contemporaneamente. Un esempio è il Mycobacterium tubercolisis agente eziologico della Tubercolosi (TBC) tornata alla ribalta negli ultimi anni in forme mai studiate prima e di difficile eradicazione.
Negli ultimi anni gli istituti farmacologici si sono lanciati in una frenetica operazione di ricerca allo scopo di individuare farmaci più specifici e contemporaneamente in grado di prevenire fenomeni di resistenza. I progressi compiuti dai ricercatori vengono però continuamente vanificati dalla somministrazione dei farmaci in modo errato, massiccio, inefficiente, in grado di arricchire unicamente un circolo vizioso che coinvolge l’imponente vendita dei medicinali, che producono resistenza, che richiede a sua volta la produzione di nuovi farmaci.
Pazienti comuni poco possono in questo giogo prettamente economico, ma il semplice uso responsabile, controllato, prescritto, degli antibiotici basterebbe a limitare lo sviluppo di pericolosi fenomeni di resistenza, il rischio di proliferazione di batteri ancora sconosciuti per i quali dover sviluppare una nuova cura, non sempre a portata di mano.