Del: 22 Settembre 2014 Di: Bianca Giacobone Commenti: 0

Ogni tanto, leggendo il giornale si incontrano anche delle belle storie. Purtroppo accade piuttosto raramente, quindi mi pare sia il caso di raccontare quella che ho trovato sul New York Times, perché è bella – ovviamente – perché può essere d’ispirazione e perché ogni tanto fa bene ricordarsi che si può aiutare la gente, anche quella che sembra irraggiungibile.

Rebecca Gomperts è una dottoressa olandese che nel 1999, all’età di 33 anni, fondò l’organizzazione no-profit che va sotto il nome di “Women on Waves”. La dottoressa Gomperts era particolarmente sensibile al tema dell’aborto dopo il viaggio che aveva intrapreso come medico di bordo su una nave di Greenpeace, durante il quale era entrata in contatto con molti problemi sanitari creati dagli aborti illegali. Preso in considerazione il fatto che, in acque internazionali, su una nave per esempio olandese vige la legge olandese,

Rebecca Gomperts prese la decisione di navigare fino ai Paesi raggiungibili nei quali era vietato o di difficilissimo accesso l’aborto, e una volta lì far salire a bordo le donne che richiedevano il servizio, portarle in acque internazionali, somministrare loro la pillola abortiva RU486 (al tempo da poco divenuta legale in Olanda) e mandarle a casa ad abortire.

Facendosi aiutare da un artista olandese suo amico, la dottoressa trasformò un container in una clinica per aborti, raccolse delle donazioni, affittò una nave e prese il mare.

Negli anni successivi Women on Waves visitò, sempre sotto invito di organizzazioni locali, vari Paesi con più o meno successo, tra cui Irlanda, Polonia, Portogallo e Marocco. Degna di essere ricordata è la campagna del 2004 in Portogallo, durante la quale il Ministro della Difesa del tempo mandò due navi da guerra contro alla nave di Women on Waves per impedirle di entrare in acque nazionali. Non si trovò nessuna imbarcazione disposta a traghettare le donne che attendevano a riva fino alla clinica, e nessuna pillola abortiva fu somministrata. Tuttavia tale fu lo scandalo e tale fu l’attenzione data dalla stampa all’evento, che si pensa che l’intervento di Women on Waves sia stato un passo fondamentale per la legalizzazione dell’aborto raggiunta dal Portogallo nel 2007.La storia è stata raccontata nel documentario Vessel di Diana Whitten.

Oggi Rebecca Gomperts ha abbandonato le navi e si è spostata sul web, moltiplicando all’infinito la sua possibilità di raggiungere e aiutare donne che vogliono abortire e non possono farlo. Women on Waves è diventato Women on Web, organizzazione sempre no profit con sede ad Amsterdam, che riceve una media di 2000 mail di richieste al mese da tutto il mondo e ha un help desk in venti lingue diverse.

women on waves collage

Come funziona Women on Web?
Le richieste di aiuto vengono inoltrate via mail e tra queste vengono selezionate quelle che provengono da Paesi in cui l’aborto è vietato o di difficilissimo accesso e vengono rifiutate quelle – numerosissime comunque – da Paesi come gli Stati Uniti dove ci sono servizi abortivi sicuri. In seguito viene chiesto alla donna di comunicare precisamente, possibilmente dopo un’ecografia, da quante settimane è incinta in modo da mandare aiuto soltanto alle donne che sono incinte da meno di 9 settimane, per essere sicuri che la pillola abortiva possa arrivare entro i tre mesi. Ci si accerta che la donna non abbia una gravidanza ectopica, una condizione patologica per cui l’impianto dell’embrione avviene in sedi diverse della cavità uterina e che rende pericoloso l’uso della pillola abortiva.
Il consulto così fatto, basato interamente sulla fiducia (come d’altronde gran parte dei rapporti medico-paziente) è mandato a dei medici che lavorano part-time per Women on Web. Saranno loro a decidere se accettare o meno la paziente e se a quel punto scrivere la ricetta per la pillola che viene mandata elettronicamente a un commerciante di medicine in India. Quest’ultimo si occupa di inviare alla paziente la medicina in un pacco con un tracking number, in modo che tutti, lui stesso, l’ufficio di Amsterdam e la destinataria possano seguirne i progressi. Una volta che la pillola è arrivata, la donna riceve istruzioni su come assumerla e su quali sintomi dovrà aspettarsi. Rimane per tutto il tempo dell’aborto in contatto con Women on Waves che monitora da lontano la situazione e, se qualcosa sembra che stia andando come non dovrebbe, consiglia alla donna di recarsi dal medico più vicino, dove in ogni caso non potrà essere perseguita legalmente, perché la pillola abortiva assunta via bocca non lascia tracce e ha gli stessi sintomi di un aborto spontaneo. Tutto questo per un contributo libero che va dai 70 ai 90 euro e che non è assolutamente obbligatorio; se non ci si può permettere di pagare così tanto o non ci si può proprio permettere di pagare niente il servizio viene fornito lo stesso.

Ovviamente non sono pochi coloro a cui il Women on Web non piace. Non solo chi è generalmente contro l’aborto, ma molti altri hanno sollevato questioni sanitarie ed etiche.

È sicuro somministrate la pillola abortiva a una donna senza averla effettivamente visitata? Cosa succede se la paziente mente, dice di essere incinta da poche settimane ma in realtà lo è da più di tre mesi? O semplicemente non sa esattamente quando è rimasta incinta?
Rebecca Gomperts risponde che è piuttosto improbabile che una donna non sappia quando è rimasta incinta, e che comunque loro consigliano sempre, se possibile, di fare un’ecografia prima di prendere la pillola. Ed è ancora più difficile che una donna che vuole abortire, e che quindi ha paura, menta sulla sua condizione. D’altronde il rapporto medico-paziente si basa assai spesso sulla fiducia, che ci sia una visita reale o un consulto via mail.
A chi invece chiede che diritto ha Women on Web di andare contro la legge di certi Paesi – come l’Irlanda o la Polonia – che hanno democraticamente scelto di vietare l’aborto, Rebecca Gomperts risponde che il diritto all’aborto è un diritto umano, e che i diritti umani vanno difesi sempre e sempre forniti, e che violare la legge di un Paese che non sta rispettando un diritto sia lecito.

È stato stimato dalla World Health Organization che nel 2008 ci sono stati 21,6 milioni di aborti illegali e pericolosissimi (nel 2003 erano 19.7 milioni), che hanno causato 47.000 morti, e le morti causate da aborti non sicuri sono il 13% delle morti materne. La stessa organizzazione ha inserito la pillola abortiva sulla lista delle medicine essenziali e, alla luce dei dati citati, c’è da considerare che una donna che vuole abortire lo fa lo stesso, anche se il suo Paese lo vieta. Tanto vale che lo faccia in modo sicuro.

Bianca Giacobone
@BiancaGiac

Bianca Giacobone
Studentessa di lettere e redattrice di Vulcano Statale. Osservo ascolto scrivo. Ogni tanto parlo anche. E faccio il mondo mio, poco per volta.

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