Del: 25 Ottobre 2014 Di: Alessandra Busacca Commenti: 0

Dal 16 ottobre nelle sale cinematografiche italiane viene proiettata l’eterna e malinconica immagine del giovane Giacomo Leopardi.
Il giovane favoloso è un film biografico diretto da Mario Martone, che condensa in 137 minuti i momenti più significativi della vita del poeta marchigiano: il film è stato presentato in concorso alla 71° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, aggiudicandosi una nomination Leone d’oro per la miglior regia e nel giorno dell’esordio si è classificato secondo per incassi al botteghino.

Successo di pubblico ma non solo: numerose recensioni sulla stampa, fra stroncature e apprezzamenti, quest’ultimi numericamente superiori, grazie all’interpretazione densa di pàthos dell’attore eclettico Elio Germano e una fotografia tutta imperniata su scorci e prospettive affascinanti del Bel Paese.

Giacomo Leopardi - Elio Germano

Leopardi mal sopportava le quattro mura di Recanati in cui era costretto a vivere e non appena ne ebbe occasione si rifugiò a Roma e Firenze, culle della cultura italiana: l’una rappresentava per lui gli studi antichi, l’altra Dante e la letteratura. Infine, con l’amico Antonio Ranieri, conobbe Napoli, calda, mitica e vivace.
Molti dei luoghi selezionati dal regista per fare da sfondo alle varie scene, sono gli stessi a cui Leopardi rende omaggio nei suoi componimenti: paesaggi e luci pittoresche guidano il corpo dello spettatore attraverso un sentiero costellato di parole struggenti, il tutto condito dalle melodie del Rossini e da un universo che è quasi favolistico.

Tra le fila di chi non ha approvato il film troviamo coloro che ritengono impossibile traslare il talento e la profondità del pensiero leopardiano su di un mezzo che non sia quello poetico, coloro che considerano la pellicola troppo didascalica e banalizzante. La narrazione pare in effetti nascondersi sotto i clichè letterari leopardiani, quali la sofferenza, la natura ostile, l’illusione; tuttavia essa assume un senso alla luce della necessità di coinvolgere un vasto pubblico di profani, invece che accontentarsi di una risibile platea di cultori e affezionati lettori.

Il regista si ispira alle testimonianze epistolari di Leopardi per dipingere l’ironia e la lucidità intellettuale dell’uomo prima ancora che del poeta . Un uomo che soffre per la condizione propria e per quella dell’umanità intera – un uomo che trova unico conforto nell’amore per lo studio.
L’erudizione, oltremodo elitaria nell’Italia ottocentesca, viene messa in scena attraverso il duro lavoro nella biblioteca del padre “tiranno” il Conte Monaldo – luogo obbligato per tradurre gli antichi classici e approfondire conoscenza di Omero e della storia filosofica. Un percorso di elevazione che formò un giovane intellettuale, logorato costantemente da domande esistenziali sul senso della vita e del mondo; egli era libero eppure in gabbia.
La sua prigione fu il corpo sgraziato che la “natura matrigna” gli attribuì, ma grazie al quale sentiva e percepiva la realtà. Il suo intelletto fu invece libero di spaziare nell’infinito, di guardare oltre il limite che quella stessa natura gli imponeva. Un intelletto in grado di viaggiare nello spazio e nel tempo, resistendo all’usura dei decenni per raggiunge anche noi. La ragione lo portò a considerare le sventure e la vanità dell’esistente, per questo la felicità – unico fine degno di essere perseguito secondo Leopardi – può essere ricercata solo nella fanciullezza, l’età dell’illusione e dell’immaginazione, dove ancora tutto è possibile in quanto incerto.
Il regista identifica il poeta come un precursore del Novecento, che pone al centro della sua indagine il dubbio e così lo fa parlare:

“La ragione umana non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo, perché contiene il vero.
E in cosa consiste il vero?
Consiste nel dubbio.”

E ancora:
“Chi dubita sa, e sa più che si possa” ricalcando la sentenza di socratica memoria: “Il saggio è colui che sa di non sapere”.

Leopardi 3

Nella locandina del film il volto del protagonista è rovesciato, a voler significare la rivoluzione che in un certo senso Leopardi rappresentava per i suoi contemporanei. La sua prospettiva è quella del filosofo che non teme di ribaltare le certezze, le leggi del proprio tempo: una prospettiva mai statica che, rendendo onore pur svincolandosi dal più noto motto della filosofia occidentale, continuamente ruota attorno al suo centro: “Dubito ergo sum”.

Alessandra Busacca
@AleBusacca1
Alessandra Busacca
Nata a Milano il 20 Febbraio 1993.
Professione: studentessa.
Non so dire altro di me che non possa cambiare; e del nome non sono poi così sicura.

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