Del: 2 Novembre 2014 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 1

«Non ci fidiamo del governo».
Così dicono al Presidente messicano Enrique Peña Nieto i famigliari dei 43 studenti scomparsi in Messico a fine settembre, a seguito di alcuni scontri con la polizia locale, avvenuti durante una protesta contro la recente riforma dell’istruzione messicana che penalizza la formazione dei docenti. Non si fidano del governo perché buona parte dei suoi rappresentanti sono risultati implicati nella sparizione degli studenti e perché coloro che non si sono dimostrati complici non stanno facendo abbastanza.

Ad oggi le indagini hanno portato all’arresto di 56 persone tra delegati amministrativi, forze dell’ordine e dirigenti statali — oltre che alle dimissioni di Ángel Aguirre, governatore dello stato messicano di Guerrero, criticato in merito alla vicenda — ma i 43 studenti scomparsi rimangono ancora tali, non se ne trovano tracce, non si trovano i corpi. Le indagini sembrano indicare che i ragazzi siano stati consegnati ad alcune bande criminali, ma qui le dichiarazioni si interrompono, le idee si fanno confuse; i gruppi di narcos sono molti, dislocati, rivali, senza scrupoli, e le forze dell’ordine messicane non amano scontrarsi con loro, preferiscono accordi di non aggressione reciproca.

Nel corso delle ricerche più volte è stata annunciata una risoluzione a breve termine, con il ritrovamento di ben 12 fosse comuni nel territorio circostante la scomparsa, tuttavia i successivi test del DNA hanno stabilito che le identità dei cadaveri ritrovati non corrispondono a quelle dei 43 studenti. Si tratta quindi di altri corpi, altri morti, ancora sconosciuti, ancora di più.

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Jennifer Clement, scrittrice statunitense residente a Città del Messico da più di dieci anni, definisce il Messico “una tana di conigli” dal territorio crivellato di fosse e tombe, dove vivi e morti attendono di trovare ed essere ritrovati. Clement spiega quanto le sparizioni siano il fondamento della strategia del terrore che il governo, con la complicità di bande di narcotrafficanti, mette in atto su coloro che tentano di soverchiare il sistema economico – basato sul crimine – a cui è sottoposto il Paese.

A farne le spese sono intellettuali, giornalisti, studenti, ma anche commercianti, passanti. L’ultima in ordine di tempo è stata Marisol Macías Castañeda, brutalmente torturata e uccisa da Los Zetas, il cui corpo è stato abbandonato accanto a una tastiera, cuffie e lettore cd.
Prima di lei, l’attivista Maria del Rosario Fuentes Rubio, conosciuta online come Felina – pseudonimo che per anni è stato la sua unica protezione dalle minacce dei narcos – era stata sequestrata e uccisa il 15 ottobre a Tamaulipas, città conosciuta per gli scontri tra il cartello degli Zetas e quello del Golfo. Felina utilizzava social network come twitter e facebook per svelare e denunciare le attività criminali dei narcos che agiscono poco disturbati nel nord del Messico.
Valor por Tamaulipas, rete indipendente di notizie, fondata nel 2012, era stata per molto tempo il suo principale mezzo di comunicazione, ma aveva dovuto abbandonarlo quando il rischio per la propria vita era diventato troppo alto. Un anno e mezzo fa, infatti, per fermarla era stata annunciata da un cartello locale una ricompensa di 600.000 pesos per chiunque avesse svelato l’identità della donna e degli altri amministratori della pagine web.

Le immagini dell’omicidio sono state postate tramite il profilo dell’attivista, perché colpissero chi quel profilo lo guardava tutti i giorni, per far paura a chi non si arrende all’abitudine criminale, perché a opporsi “non si guadagna niente”.

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Non sono più i giornalisti a fare paura: chi viene pagato per informare può essere pagato per smettere di farlo, può non essere più pagato, può essere licenziato. I cartelli messicani ora temono, e di conseguenza uccidono, coloro che informano per necessità, che spezzano l’omertà con i social network — cittadini comuni che hanno un profilo online e lo usano per mostrare ciò che vedono e vivono, ciò che sono costretti a subire.

In tutto il Messico ben 20.000 persone sono scomparse negli ultimi 8 anni; secondo Nik Steinberg, attivista per i diritti umani, si tratta di una delle peggiori ondate di sparizioni mai registrate in Messico, sulle quali il governo o non ha saputo indagare o si è legato esso stesso alle sparizioni.

Il caso dei 43 studenti però sembra aver indignato più di ogni altro l’opinione pubblica, le molteplici proteste, le manifestazioni di piazza e il non affievolirsi dell’attenzione che i media dedicano al caso ne sono la prova. In Messico, e nei Paesi in cui la corruzione è al governo, la mobilitazione generale è l’unico mezzo per resistere — più persone verranno coinvolte, più ne resisteranno, più sarà difficile spaventarle.

Ritrovare 12 fosse comuni intorno ad una sola città non è tollerabile. Lasciare che 43 studenti svaniscano nei meandri di un governo corrotto non è più accettabile. E l’opinione pubblica nazionale non è sembra più disposta a cedere.

Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1

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Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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