Del: 26 Novembre 2014 Di: Marta Clinco Commenti: 2

Chi ha preso parte negli ultimi giorni ai vari sit-in e manifestazioni anti-sgombero in zona Giambellino, avrà ormai iniziato a veder sfilare gli stessi volti – o quasi. Le stesse famiglie, gli stessi bambini e le stesse biciclette. Bambini che ieri sera, ancora una volta, si sono ritrovati a giocare con gli amici del quartiere a Piazza Tirana, periferia sud est di Milano, davanti alla stessa pizzeria all’angolo, a quell’orario insolito per un parco giochi — girando in tondo al ritmo dell’ormai solita litania: “no agli sgomberi-no agli sgomberi”. I piccoli nuclei, negli sconvolgimenti che nell’ultimo periodo hanno ulteriormente dissestato la realtà già frammentata dei quartieri popolari, paiono farsi una grande famiglia; e non si parla di massimi sistemi — piuttosto di uno solo, semplice e caro: quello familiare; di quel che si vorrebbe in tavola la sera, poi, dei panni che “non asciugheranno mai, accidenti alla pioggia, e accidenti a Milano”.

Si discute tuttavia anche di ciò che è avvenuto in mattinata: l’ennesimo sgombero, questa volta in via degli Apuli, 4: un uomo e una donna che ora una casa non l’hanno più – anche se forse non l’hanno mai avuta. Erano abusivi, come molti abitanti della zona; e si legge negli occhi di molti il timore di essere il prossimo. Eppure ieri sera, in Giambellino, qualcosa era cambiato.

Perché se la scorsa settimana un evento come quello di via degli Apuli avrebbe significato fiumi di bytes sulle periferie in fiamme, ieri (come negli ultimi giorni, del resto) il problema degli alloggi popolari e degli sgomberi pare esser passato ormai in secondo piano, giunto al termine di quella naturale curva dell’informazione che da urlo in prima pagina diventa trafiletto, percorre il locale e precipita nell’oblio.

Degli sciacalli presenti alla fiaccolata che lo scorso mercoledì partiva da via Vespri siciliani, nemmeno l’ombra. Difficile individuare giornalisti — ne sopravvivono un paio, anche loro ormai tra quei volti conosciuti della piazza. Le telecamere guardano altrove, persino l’opinione pubblica pare momentaneamente concentrata su altro.

Sgomberi1

Ma anche tra i partecipanti al corteo che si muove lungo via Lorenteggio si respira un’aria diversa. Presenti, a conti fatti, poche famiglie, mentre sono tantissimi i ragazzi (sembrano aggirarsi tutti tra i 12 e i 17 anni) che intonano cori ormai triti, ma riadattati per l’occasione, per loro; in testa, giovani di diversi centri sociali e realtà di mobilitazione fiorite ultimamente a sostegno degli occupanti nelle varie periferie milanesi (per non scontentare nessuno), giunti in Piazza Tirana prima di tutti, prima delle famiglie e dei bambini, prima del gazebo — accompagnati dall’ormai collaudato trio di attacchini seriali che, armati di colla e manifesti, precedono il corteo di qualche metro.

Tutte dinamiche tra le quali non è facile districarsi, anche dopo una settimana di storie, voci e racconti, spesso così diversi tra loro e contrastanti, e tuttavia chiunque abbia una penna in mano non è ben visto. Sta di fatto che dei disordini della scorsa settimana nelle strade ancora non s’è spenta l’eco, né i focolai di protesta accennano a voler abbassare la guardia. Gli sgomberi continueranno, la rabbia delle famiglie, alcune delle quali hanno trascorso anni sulle liste Aler prima di occupare, non si placa. C’è chi, d’altro canto, al Giambellino vive regolarmente, e dei disordini non ne può proprio più: al passaggio del corteo, molte finestre si chiudono – qualcuno si affaccia timidamente, ma subito rientra. La convivenza tra abusivi e regolari non è mai stata tanto difficile come negli ultimi giorni. Le direttive comunali hanno riappiccato il fuoco ad una situazione delicata, che è necessario tenere sotto controllo attentamente. Il rischio è che accada qualcosa di cui davvero non vorremmo scrivere, né leggere.

Marta Clinco
@MartaClinco

Marta Clinco
Cerco, ascolto, scrivo storie. Tra Medio Oriente e Nord Africa.

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