Del: 8 Novembre 2014 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 0

Messico, nella notte tra il sette e l’otto novembre – ora italiana – tre uomini appartenenti al cartello dei Guerreros Unidos, arrestati perché ritenuti connessi alla sparizione dei 43 studenti (dispersi ormai da più di 80 giorni), hanno confessato di averli uccisi.

Tutti.

Per la precisione hanno confessato di aver ucciso “Tante persone”, non ricordano esattamente quante, probabilmente non ne ricordano nemmeno i volti, tantomeno le identità, ma hanno asserito che fossero una quarantina, perché così è stato detto loro dai membri maggiori del cartello a cui appartengono. Secondo i sicari, il gruppo di ragazzi era stato consegnato alla banda criminale da alcun agenti di polizia e successivamente portato a colloquio con i capi del clan, per discutere in merito al possibile coinvolgimento di alcuni di loro in diverse bande di narcotrafficanti – fatto per cui non esistono prove né testimonianze; infine i ragazzi sono stati caricati in un camion e trasportati presso una discarica. Una volta giunti lì secondo le testimonianze dei sicari molti studenti erano già deceduti, per asfissia, dovuta al poco spazio presente nell’autocarro e alle condizioni in cui erano stati detenuti. Altri erano vivi.

I tre uomini – i cui nomi sono irrilevanti, come irrilevanti furono per loro quelli delle vittime – hanno dichiarato di aver dato alle fiamme i corpi vivi e morti degli studenti e aver alimentato il rogo umano per 14 lunghe ore, aggiungendo alle fiamme prove del coinvolgimento come abiti ed oggetti, e gasolio perché la discarica continuasse a bruciare.

Il giorno successivo, hanno recuperato i pochi resti dell’incendio, spezzato le ossa rimaste intere e raccolto le ceneri, per poi infilarle in sacchi di plastica nera, chiuderli e gettarli nel fiume San Juan, poco lontano.
Sul fondo del fiume sono stati ritrovati poche ore dopo la confessione sacchi di plastica nera contenenti resti umani, resi talmente irriconoscibili, talmente difficili da identificare, da essere stati immediatamente inviati ad un centro specializzato in analisi del DNA in Austria. I risultati definitivi arriveranno tra qualche settimana.
Fino ad allora, i genitori degli studenti hanno dichiarato che continueranno a credere che i loro figli sono vivi, mentre i manifestanti hanno deciso di continuare le proteste che ne invocano il ritrovamento.
Secondo le testimonianze dei sicari, non si è trattato di un incidente tra studenti e agenti di polizia, né di un atto motivato dal panico, ma di un ordine dato dal sindaco di Iguala Jose Luis Abarca in vista delle proteste programmate dagli studenti durante il discorso che avrebbe tenuto la moglie Maria de los Angeles Pineda. La donna, che il giorno della sparizione ballava con il marito all’evento organizzato dalla coppia, è stata poi indicata dallo stesso sindaco come mente alla base di tutti gli atti compiuti dal cartello criminale dei Guerreros Unidos.

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Entrambi oggi sono stati arrestati mentre il loro braccio armato, l’ex capo della polizia di Iguala Felipe Flores Velasquez, è ancora in fuga. Sono 74 per ora le persone ritenute coinvolte nella sparizione dei 43 studenti, 74 persone che secondo le testimonianze hanno contribuito alla loro morte in un modo o nell’altro.

In queste settimane vi sono stati cortei, proteste, sono stati bloccati gli ingressi dei centri commerciali, i luoghi di riunione dell’amministrazione e in ogni manifestazione sono stati mostrati i volti dei ragazzi, ma i sicari arrestati negli scorsi giorni si dicono incerti sulle identità, non ricordano bene, non più di quanto ricordino l’uomo incontrato per strada il giorno prima. Eppure quei ragazzi li hanno visti morire in uno dei peggiori massacri che il Messico recente ricordi, ma nessuna memoria di ciò che hanno compiuto li tormenta.

Questo forse è ciò che sconvolge di più: l’assimilazione degli omicidi, delle vittime, delle ragioni per cui si brucia un corpo o un altro, la disorganizzazione delle pedine che uccidono senza pensare, su ordine di ignoti.

Sono tanti i morti che il Messico divora, tanti i desaparecidos, tanti i genitori dei 43 studenti scomparsi ad Iguala, che sperano che quei resti non vadano a riempire bare con inciso il nome dei loro figli; tanti i famigliari che da qualche parte in Messico pregano perché quei resti non siano quelli dei loro congiunti e perché non lo siano quelli trovati nelle 12 fosse comuni disperse intorno ad Iguala; tanti che sperano di trovare quelle persone scomparse ancora vive.

Ma dopo la confessione di ieri, l’unico gesto di umanità ora possibile è ricondurre le identità ai corpi e i corpi ai famigliari e sperare in una giustizia che non fa che fallire.

Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1

Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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