Ci sono poche certezze nella vita. Una di queste è l’uscita ogni anno durante il periodo subito precedente alle feste natalizie di un nuovo capitolo della saga videoludica di Assassin’s Creed. Nata nel 2007, è diventata una delle serie più amate dal grande pubblico, tanto che ormai ne viene pubblicato un capitolo all’anno — senza contare gli episodi secondari e gli spin-off. Quindi, puntuale ed atteso come Babbo Natale la notte della vigilia, lo scorso 13 novembre è uscito Assassin’s Creed: Unity, settimo titolo della serie principale. Per chi non lo sapesse, la trama di ogni gioco gira intorno alla possibilità di poter rivivere le esperienze vissute dagli antenati di Desmond, lo pseudo-protagonista dell’intera vicenda; attraverso tale espediente, il giocatore è portato a vestire i panni dei più svariati personaggi (tutti facenti parte dell’Ordine degli Assassini, da cui il titolo) ed è trasportato in un’epoca storica ogni volta differente. In Unity si controllerà quindi Arno Dorian a Parigi, all’alba della Rivoluzione Francese.
Forse con un pizzico di ingenuità ci si aspettava che Ubisoft, software house sviluppatrice del gioco, avrebbe messo un po’ di amore e attenzione in più nella creazione di questo capitolo rispetto agli altri, sia per l’enorme campagna pubblicitaria fatta (basti pensare che al Lucca Comics and Games 2014 ha affittato un’intera villa per i giorni della fiera, addobbandola a tema e rinominandola Villa degli Assassini), sia perché è di origine francese. Invece così non è stato, anzi.
In verità la saga di Assassin’s Creed si porta dietro una serie di critiche fin dal primo episodio. Due quelle principali: la volontà di spremere fino al midollo lo stesso motore grafico senza cambiarlo mai e la presenza di un gameplay ripetitivo e sempre uguale a se stesso, con nemici dotati (si fa per dire) di un’intelligenza artificiale bassa, la quale rende il gioco facilmente accessibile a tutti ma allo stesso tempo poco stimolante per chi cerca un livello di sfida serio.
Tali problemi non dovrebbero essere insormontabili per una delle case di sviluppo più grandi degli ultimi anni, ma per garantire l’uscita annuale di un nuovo capitolo della saga, sono stati tralasciati — tanto più che le vendite non ne hanno mai risentito, in quanto il pubblico è sempre stato fedele al brand.
Ma quest’anno la situazione sembra essere peggiorata – e non di poco. Assassin’s Creed: Unity presenta dei grossissimi problemi tecnici per tutte le piattaforme per cui è stato rilasciato (Playstation 4, Xbox One e PC), anche se a differenti livelli. Oltre ad un frame rate che si aggira tra i 22 e i 25 frame per secondo, toccando addirittura picchi negativi inferiori ai 20, contro i 30 promessi (il gioco, sostanzialmente, va a scatti), ci sono anche un serie di bug talmente gravi da rovinare l’esperienza di gioco: volti formati solo da occhi e bocca fluttuanti nel vuoto, capelli che si animano da soli, il protagonista che a volte inizia a camminare in aria o – al contrario – a cadere nel vuoto, personaggi non giocabili che rimangono incastrati nelle pareti degli edifici, e molto altro. Forse il problema peggiore di tutti riguarda la difficoltà di iniziare una partita in cooperativa. Tale modalità era stata presentata come la più grande novità del nuovo episodio, ma quando si tenta di avviarla, il gioco tende a bloccarsi oppure non riesce a trovare altre persone connesse con cui giocare.
Tutto ciò ha generato una vera e propria invasione di richieste d’aiuto e insulti da parte degli utenti sul forum e l’account ufficiale Twitter della Ubisoft — oltre ad una serie di immagini e video a metà tra lo spassoso e l’inquietante degli effetti dei vari glitch.
Chi ha già comprato il titolo non deve però disperare del tutto: con una serie di aggiornamenti tutte le mancanze potranno essere colmate e i problemi risolti nei prossimi mesi (la prima patch è uscita il giorno successivo al lancio, e la software house francese ha dichiarato di avere già in programma una serie di ulteriori update). I danni non sono permanenti, basta aspettare un po’ e verranno aggiustati.
Ma questo significa solo una cosa: la Ubisoft ha posto sugli scaffali un gioco non ancora terminato, spinta probabilmente dall’urgenza di pubblicarlo entro la fine dell’anno. Quello di Assassin’s Creed: Unity non è il primo caso di videogioco “tripla A” che poi si è rivelato mal realizzato.
Un’altra software house, la Electronic Arts, nel novembre 2013 ha lanciato sul mercato Battlefield 4, un titolo così pieno di bug che solo sette mesi dopo sono stati risolti tutti. Nello stesso anno la Sega, mamma dello storico personaggio Sonic The Hedgehog, ha pubblicato Aliens: Colonial Marines, videogioco atteso da anni e presentato, anche attraverso anteprime giocabili, come capolavoro; alla sua pubblicazione la casa di sviluppo nipponica fu portata in giudizio per “pubblicità ingannevole” e costretta a pagare un milione e venticinquemila dollari, poiché il prodotto finito non rispecchiava in nessun modo quanto mostrato fino a quel momento.
I due citati sono i casi più estremi, ma in generale la norma è diventata quella di pubblicare videogame con errori più o meno gravi per poi sistemarli tramite aggiornamenti successivi, grazie alla possibilità delle console di nuova generazione di essere sempre connesse ad internet. Quella che all’inizio era un’incredibile risorsa per risolvere i problemi di cui non ci si accorgeva in fase di sviluppo (perché gli sviluppatori sono umani, ed è possibile che alcuni bug possano sfuggire) si sta rivelando un’arma a doppio taglio perché le software house preferiscono fare uscire un prodotto meno curato ma il prima possibile per massimizzare gli introiti, tanto poi esce la patch e aggiusta tutto.
È evidente: non tutti gli sviluppatori si comportano allo stesso modo. Soprattutto la Nintendo è famosa per la cura e la dedizione impiegate nella creazione di ogni loro titolo, tanto che essi sono tutti contrassegnati dall’ “Official Nintendo Seal of Quality” ossia un simbolo presente sulla confezione di ogni titolo che dovrebbe garantire il raggiungimento di determinati livelli qualitativi, sia dal punto di vista tecnico che dei contenuti. Il sigillo nacque infatti a seguito della crisi dei videogiochi del 1983; in quell’anno, infatti, l’intera industria rischiò il collasso totale a causa di alcuni fattori, uno dei quali – e probabilmente il più importante – fu il crollo delle vendita a causa della produzioni di giochi sempre più brutti, fallati e spesso anche volgari.
Fu allora che la Nintendo riuscì ad imporsi sul mercato, grazie alla pubblicazione di un numero ridotto di giochi ma curati fin nei minimi particolari; inoltre, per riconquistare la fiducia degli utenti si decise di inserire il famoso sigillo e, per quanto la mossa potesse sembrare banale, funzionò. Benché al giorno d’oggi quel simbolo non abbia lo stesso valore di un tempo, Nintendo portò avanti nel corso degli anni l’impegno di creare dei titoli sempre di alta qualità, e nella maggioranza di casi ci riesce ancora, limitando al massimo l’utilizzo di patch.
Come qualsiasi settore dell’industria, anche quello videoludico è stato colpito dalla crisi di questi ultimi anni. Le case di sviluppo di oggi, però, hanno reagito al crollo delle vendite in maniera molto diversa rispetto al passato: anziché concentrarsi sulla qualità dei loro prodotti hanno preferito pubblicare senza sosta videogiochi dalle meccaniche tutte simili tra di loro e produrre seguiti su seguiti, trincerandosi dietro i grandi nomi di saghe storiche ormai sfruttate allo sfinimento, ma che assicurano un certo numero di copie vendute almeno ai fan più sfegatati e disposti a tutto per sostenere le proprie serie preferite. E la responsabilità di tutto ciò ricade anche (e soprattutto) sui giocatori stessi: anziché boicottare le software house che non dimostrano un minimo di amore nei confronti dei loro prodotti come fecero nel 1983, ora accettano passivamente anche i titoli più scadenti, ripetitivi e fallati, soprattutto se fanno parte di saghe di successo.
Se la Ubisoft è riuscita a pubblicare un gioco così difettoso come Assassin’s Creed: Unity la colpa è in parte di coloro i quali hanno voluto dare fiducia alla software house, nonostante a più riprese essa abbia dimostrato di non saper imparare dai propri errori e di puntare esclusivamente al guadagno. La speranza è che quest’anno la scottatura sia stata così cocente da non poter finire semplicemente nel dimenticatoio, cosicché da una parte la casa di sviluppo decida di prendere il suo tempo nel realizzare il prossimo capitolo, e dall’altro gli utenti pensino meglio a come spendere i propri soldi.
Erin De Pasquale
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