Del: 3 Dicembre 2014 Di: Jacopo Musicco Commenti: 0

Un individuo tormentato da un indecifrabile mal di vivere sfreccia a bordo del suo veicolo per le strade notturne di New York alla ricerca di conforto e redenzione. Film diretto da Martin Scorsese e sceneggiato da Paul Schrader. Taxi Driver dite? Lettore attento, ma no. Le premesse ci sono tutte, ma per un altro grande film del regista italoamericano: Bringing out the Dead.

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A ventitré anni dalla discesa negli inferi insieme al taxista Travis, Paul Schrader ci ritorna, ma questa volta in compagnia di un paramedico newyorkese di nome Frank Pierce. Frank, interpretato da un irrequieto Nicolas Cage, da mesi tenta inutilmente di strappare i poveri diavoli di New York dalle grinfie della morte. Succube del suo lavoro, è combattuto tra il mollare tutto e il cercare una nuova motivazione per continuare a lottare.

«The cool room, Lord is a fool’s room».
«And I can almost smell your T.B. sheets».
«On your sick bed».

Il film inizia con “T.B. Sheets” di Van Morrison ed è un inizio che odora di morte. Non è una scelta casuale quella del regista, che decide subito di inquadrare la New York in cui è ambientata la storia, una città in cui risiedono malattia e morte, e se per caso ci fosse qualche angolo di felicità non ci è concesso vederlo.
Quella che Scorsese ci presenta è una New York dantesca, divisa nei tre livelli canonici. Fuori dagli sportelli dell’ambulanza l’inferno anarchico della città in cui i demoni della società perseguitano i miserabili, ai quali rimane solo il purgatorio apatico ricreato dalle droghe e infine il paradiso, la porta dell’ospedale, luogo in cui la morte diventa finalmente sollievo per l’anima.

È in questo inferno che si aggira l’ottimo Nicolas Cage, il quale dà prova di essere un grande attore se tra le mani gli arriva il ruolo giusto. È il suo sguardo però che ruba la scena – lo sguardo di un individuo che prima era salvatore e adesso è relegato a testimone spento, come i suoi occhi. Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, quelli di Frank – pieni solo del ricordo della morte – sono prova di un’anima svuotata da qualsiasi emozione e alla ricerca della luce alla fine della notte; non a caso il poster del film ha al centro lo sguardo vacuo di Cage.

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Per questa pellicola bisogna per forza fare riferimento ad un’osservazione dell’Harry Knowles Web Site: «You can enjoy a Scorsese film with the sound off, or with the sound on and the picture off.» [Si può apprezzare un film di Scorsese con l’audio spento, o con l’audio acceso e lo schermo spento]. Niente di più vero per una pellicola che inizia il suo percorso con Van Morrison, passa per i The Clash e conclude con i The Who. Grazie anche alla splendida colonna sonora Martin Scorsese riesce a dar vita ad un film con un’anima forte, pieno di ottime invenzioni registiche (la scena della rianimazione al rewind n.d.r.) e capace di intrattenere uno spettatore attento. Una pellicola poco conosciuta tra la produzione del regista newyorkese, ma che non può mancare nella lista degli estimatori più accaniti.

Jacopo Musicco
@jacopomusicco
Jacopo Musicco
“Conosco la vita, sono stato al cinema."

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