Del: 1 Dicembre 2014 Di: Sebastian Bendinelli Commenti: 1

Il 23 novembre scorso l’editorialista del Financial Times Wolfgang Münchau ha firmato un articolo in cui sostiene che gli unici partiti in Europa ad avere un programma economico capace di risollevare il continente dalla stagnazione economica sono quelli della cosiddetta sinistra radicale: Podemos in Spagna, Die Linke in Germania, Syriza in Grecia. L’editoriale è stato tradotto in italiano sul numero di Internazionale di questa settimana, ma per il resto non ha ricevuto molta attenzione da parte dei media nazionali, a differenza di quando lo stesso Münchau – a gennaio 2013 – criticò aspramente Mario Monti in piena campagna elettorale.

Münchau

Eppure suona sorprendente l’endorsement di un quotidiano del calibro del «Financial Times» a partiti che – almeno nel caso di Syriza e Die Linke – si rifanno esplicitamente all’eredità del comunismo. Difficilmente possiamo immaginare che la bibbia inglese dell’informazione economica e finanziaria si stia spostando su posizioni di estrema sinistra. Né d’altra parte possiamo liquidare l’editoriale di Münchau come espressione di idee personali stravaganti, o come semplice provocazione.

L’editorialista non si limita a sposare la linea economica della sinistra (anzi lo fa con un certo rammarico: “È triste notare che i partiti di sinistra siano gli unici a sostenere politiche ragionevoli.” [corsivo mio], ma afferma che questa linea politica — sintetizzata a spanne in due tipi di provvedimenti: investimenti pubblici e ristrutturazione del debito — si accorda con “la teoria più condivisa su cosa dovrebbe fare l’Eurozona in questo momento”.

Insomma la sinistra avrebbe ragione, per così dire scientificamente, e per evitare il collasso del sistema bisognerebbe accoglierne le istanze.

Münchau si tiene sul vago e non specifica da chi sia condivisa questa “teoria”, dando l’idea di un generale consensus attorno alle ricette economiche ideali per tirare fuori l’Europa dalla crisi – cosa che evidentemente non è. Ma coglie un paradosso interessante, notato anche da Roberta Carlini sul numero 65 di Pagina99 (25-31 ottobre), significativamente intitolato: “Cercasi un sol dell’avvenire. Perché nell’era della disuguaglianza nessuno fa qualcosa di sinistra”.

L’articolista evidenzia come si susseguano sempre più frequenti i campanelli d’allarme per l’aumento delle disuguaglianze, lanciati – e questa è la cosa curiosa – proprio dalle istituzioni cardine del sistema economico globale (certamente non esenti da responsabilità al riguardo): FMI, OCSE, Banca Mondiale, persino il summit di Davos e Wall Street, è tutto un discutere di sperequazione, redistribuzione della ricchezza, regolamentazione dei mercati finanziari, politiche neo-keynesiane e così via. Nello stesso filone si inserisce il successo degli economisti “di sinistra” come Stiglitz, Krugman e da ultimo la star Thomas Piketty, letti e ascoltati in tutto il mondo, aspri critici dell’austerità e del capitalismo finanziario basato sul dogma neo-liberista. Sono probabilmente questi i sostenitori della “teoria più condivisa” cui fa riferimento Münchau, aggiungendovi l’autorevole voce del proprio giornale.

Una domanda sorge allora spontanea: perché nulla di tutto ciò si traduce in politiche effettive?

Lo stesso Münchau offre una possibile risposta, quando nota che anche i partiti socialdemocratici e di centro-sinistra sostengono queste stesse posizioni “ragionevoli”, ma solo “finché sono all’opposizione”. L’esempio è fornito dall’impopolare François Hollande, che diversi mesi fa ha affermato la propria fiducia nella legge di Say, secondo cui l’offerta crea la domanda, caposaldo dell’economia neoclassica.

Se teoria e pratica politica fossero condannate da una qualche predestinazione a tenere due sentieri separati, non dovremmo aspettarci nulla di buono nemmeno dalle probabili vittorie elettorali della triade di partiti citata: Syriza è data per favorita alle prossime elezioni politiche in Grecia, che potrebbero tenersi già nel 2015, Podemos è in crescita e proprio in questo mese Die Linke ha ottenuto per la prima volta il governo di un Land tedesco, la Turingia, in coalizione con Spd e Verdi.

Tsipras

È più plausibile, però, che il motivo di questo divario risieda nell’azione (che Münchau non considera) di consistenti gruppi di potere che evidentemente non condividono la “ragionevolezza” delle ricette economiche di sinistra, perché ne sarebbero svantaggiati. L’economia non è una scienza esatta: non esistono politiche giuste o sbagliate in assoluto; le risorse e la ricchezza possono essere distribuite in maniera più o meno equa, avvantaggiando certi gruppi sociali a sfavore di altri, o viceversa. Spesso si parla di disuguaglianza in modo neutro, come se si trattasse di una forza naturale, un fenomeno climatico, dimenticando che il termine presuppone due poli contrapposti: uno dei quali, il più potente, si sta arricchendo, ed è prevedibile che non abbia intenzione di mollare la presa. È questa la ragione per cui certi provvedimenti non si traducono mai in pratica, nemmeno quando i partiti nominalmente socialisti ottengono il governo.

Per non parlare delle differenze interne tra i vari Paesi dell’Eurozona, che si trovano spesso a difendere interessi divergenti, mentre gli elettori non sempre reagiscono alla crisi spostandosi a sinistra. Anzi. Sabato scorso si è tenuta in Piazza Farnese, a Roma, una manifestazione de L’Altra Europa con Tsipras, a cui hanno partecipato anche delegati di Syriza e Podemos, in nome della “causa giusta” contro le politiche di austerità e l’erosione dei diritti dei lavoratori. Ma non si può non notare il contrasto tra il quadro politico greco o spagnolo e quello italiano, dove la sinistra langue più che mai.

È in corso un gioco difficile e frammentato tra chi intende conservare lo status quo, dovendo necessariamente evitare che il conflitto sociale si esasperi oltre una certa misura, e le forze politiche che cercano di intercettare il malcontento causato dalla crisi per incanalarlo entro istanze di rinnovamento complessivo del sistema, o per rifondare inquietanti nazionalismi: un panorama complesso che non si presta a facili schematizzazioni e di cui è difficile prevedere l’evoluzione.

Sebastian Bendinelli
@se_ba_stian
Sebastian Bendinelli
In missione per fermare la Rivoluzione industriale.

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