Del: 5 Gennaio 2015 Di: Marta Clinco Commenti: 1

Si trova da poche ore in rete l’ultimo video diffuso dall’IS che ritrae l’ormai noto reporter britannico John Cantlie — fotografo prima e corrispondente di guerra poi per, rispettivamente, Sunday Times, Sunday Telegraph, Esquire, GQ e Top Gear — nelle vesti di improvvisata guida turistica per le strade della città irachena di Mosul, da cinque mesi ormai fortezza del redivivo Califfato islamico.

[youtube]http://youtu.be/RN3ktXbLzlY[/youtube]

Nel luglio 2012, il tentativo di passare il confine tra Turchia e Siria lo aveva reso vittima, insieme al fotografo tedesco Jeroen Oerlmans, di un primo rapimento, che tuttavia non sarebbe durato a lungo: i due malcapitati verranno liberati dal Free Syrian Army esattamente una settimana più tardi, il 26 luglio. Nelle dichiarazioni rilasciate in seguito alla BBC, riguardo il periodo trascorso nelle mani dei jihadisti, Cantlie descrive la maggior parte di loro come uomini non siriani. Alcuni parlavano esclusivamente inglese con accento britannico, qualche parola in arabo; altri, nemmeno quelle: «They were jihadists who had travelled to the country hoping to overthrow the regime and establish an Islamist State».

Ma poco importano rapimento, detenzione, morte sventata (era sopravvissuto anche alle pallottole guadagnate durante un tentativo di fuga, insieme al compagno) e libertà ritrovata, perché a novembre 2012 è di nuovo in Siria, per continuare il lavoro di corrispondente iniziato qualche mese prima. È qui che avviene il secondo rapimento, questa volta insieme all’americano Foley: non si avranno più notizie del reporter fino al 18 settembre 2013, data che inaugura la diffusione della serie di monologhi dal titolo Lend me your ears, brevi video propagandistici in cui Cantlie attacca duramente la politica estera adottata in Medio Oriente dai Paesi stranieri.
Le critiche colpiscono in particolare Stati Uniti e Gran Bretagna, colpevoli di aver abbandonato i propri cittadini, ostaggi detenuti dall’IS, rifiutando di scendere a patti, negoziare e avviare trattative, a differenza di quanto fatto, tra gli altri, da Danimarca, Spagna e Francia. E ogni video, infatti, si apre con la stessa formula:

“Hello, I’m John Cantlie, the British citizen abandoned by my own government and a prisoner of the Islamic State for nearly two years. In this programme I’m going to reveal to you some uncomfortable truths”.

Finora, il corpus si compone di sei differenti filmati in cui il reporter, nell’ormai connotato arancio Guantanamo, appare seduto ad un tavolo su fondo nero, visibilmente segnato dalla prigionia e – sguardo vitreo – parla ad una camera quasi sempre fissa. Oltre che con il proprio governo e quello americano, se la prende con i media occidentali, manipolatori dell’informazione, distorsori di notizie, falsatori delle verità sull’IS e sulle condizioni in cui versano i territori ormai sotto il controllo del Califfato.

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Questo il leitmotiv che percorre anche l’ultimo video da poco messo in circolazione sul web riguardo Mosul, di tenore simile a quello del “servizio” girato a Kobane a fine ottobre in cui Cantlie proclamava l’imminente vittoria dell’IS: “Salve a tutti, sono John Cantlie, e oggi siamo a Kobane. Lo Stato Islamico ha vinto la battaglia, non credete a quello che vi dicono i media. Non vi dicono la verità. Del resto, non vedo nessun giornalista qui intorno. La città è controllata completamente dai soldati dello Stato Islamico, nonostante i raid americani. Quello che vedo con i miei occhi sono solo mujaheddin. Non ci sono i peshmerga curdi. E i jihadisti non sono in fuga, affatto”.
E ancora: “Gli americani sanno benissimo che i raid aerei non saranno sufficienti a sconfiggere lo Stato Islamico. La battaglia sta terminando, e ovviamente la sta vincendo lo Stato Islamico, anche grazie alle armi degli Usa paracadutate ai curdi — armi che sono finite in mano nostra”.

Nel breve reportage da Mosul con cui l’IS continua a mostrare lavori sempre più accurati e sofisticati, sempre meno grossolani, il reporter ci racconta una realtà diversa, la realtà del Califfato, ciò che i nostri media non dicono. Dipinge una realtà parallela, dissonante e grottesca, in cui la vita cittadina a Mosul non è niente male; anzi, is business as usual, nonostante un dicembre freddo, ma soleggiato: «This is not a city living in fear, as the Western media would have you believe».

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E continua così, in un tour organizzato per le vie della città, tra mercati, gastronomia locale e ospedali efficienti con reparti di pediatria e sostegno psicologico per bambini traumatizzati da guerra e bombardamenti, ma è al commissariato di polizia locale che si inasprisce la critica agli ingannevoli media occidentali. Questa volta tocca al servizio di giugno della CNN, “totalmente falso”: non è vero che tutti i poliziotti sono fuggiti da Mosul; non è vero che il sistema delle forze dell’ordine è ormai al tracollo, di fatto inesistente; Mosul è una città come tante, una città tranquilla – a Mosul, la situazione è stabile. C’è l’elettricità, poco crimine, e un saldo sistema sanitario in grado di garantire l’assistenza necessaria. «È una città normale: ci sono molte luci al neon». L’apice è raggiunto solo nel finale: Cantlie si mostra sereno alla guida di una moto della polizia locale, nonostante il miliziano in nero, rigorosamente armato, seduto alle sue spalle. Sorride.

Lo scopo e il tenore del video, nonostante la diversa ambientazione, sono quelli dei molti altri di questo genere diffusi negli ultimi mesi. Ma una grande differenza c’è: questa volta il reporter occidentale al servizio del Califfo indossa i propri abiti civili; barba e capelli non appaiono più incolti; anche il volto pare più disteso, nonostante la prigionia, e delinea un Cantlie visibilmente più sano.
Inoltre, nell’ultimo numero di Dabiq pubblicato a dicembre – magazine di propaganda IS in lingua inglese – compare un articolo a suo nome in cui scrive di crollo del dollaro, dei vantaggi e della necessità di adottare l’oro come valuta e, quindi, della “smart move” dello Stato Islamico: la decisione di coniare una propria moneta all’interno dei territori occupati di Iraq e Siria. Tuttavia, il tono relativamente informale dell’articolo lascia molti dubbi su chi ne sia l’effettivo autore, se il reporter britannico o uno dei suoi carcerieri.

Le opinioni riguardo l’effettiva conversione del reporter all’Islam e la presunta dichiarazione di fedeltà al Califfato continuano ad essere discordi. Rimane un dato non ignorabile: Cantlie resta un ostaggio, e in quanto tale non ha possibilità di scelta. Nonostante a Mosul, probabilmente, sia business as usual.

Marta Clinco
@MartaClinco

Marta Clinco
Cerco, ascolto, scrivo storie. Tra Medio Oriente e Nord Africa.

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