Del: 14 Gennaio 2015 Di: Giulia Pacchiarini Commenti: 1

Cinquemila persone sono scomparse in Messico durante il 2014, secondo il Registro National de Personas Extraviadas si stima che sia il dato più alto mai registrato nella storia del Paese.

Si tratta di un numero sconcertante, ma non sorprende, i mesi appena trascorsi infatti hanno richiamato più volte l’attenzione dei media internazionali sui diversi casi di scomparsa messicani, spesso rimasti insoluti, e in particolare sulla vicenda che ha coinvolto i 43 studenti della Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa – scuola di formazione per insegnanti nei pressi di Iguala – dispersi dalla notte tra il 26 e il 27 settembre, per i quali le indagini sono ancora in corso.

Genitori, amici e attivisti hanno manifestato settimane per la liberazione degli studenti, gridando “Vivos se los llevaron vivos los queremos”, uno slogan rimasto l’emblema di un anno condannato a ricordare cinquemila persone scomparse senza apparenti motivi.

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Oggi, dopo più di tre mesi dalla scomparsa, i motivi che hanno portato, al sequestro dei 43 studenti messicani, stanno venendo alla luce, accompagnati da proteste  popolari sempre più impetuose, inflessibili, che se non possono più chiedere indietro le vite degli studenti, pretendono, esigono, la verità su ciò che è accaduto in quella notte.

Le ricostruzioni delle indagini fanno risalire il caso all’omicidio di Arturo Hernandez Cardona – segretario dei diritti umani e leader locale del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e leader del sindacato dei Contadini di Emiliano Zapata – di cui è stato accusato, ma mai processato, il sindaco di Iguala, che alcuni testimoni avrebbero indicato anche come autore materiale dell’omicidio. Gli studenti della Scuola Normale, detti normalisti, sin dal principio avevano manifestato il proprio sdegno verso il sindaco, attaccando il municipio.

A fine settembre era stata organizzato una nuova manifestazione, autorizzata, a cui avrebbero partecipato studenti e insegnanti, giunti a Iguala con due autobus. L’obiettivo della protesta questa volta sarebbe stata la moglie del sindaco, Maria de Los Angeles Pineda Villa, candidata a seguire le orme del marito nella carriera politica. Ciò che forse i normalisti non sapevano era la reale identità della donna, sorella dei fondatori del gruppo criminale dei Los Guerreros Unidos, nati con l’obiettivo di contrastare il gruppo dei Los Zetas e la Familia Michoacana narcotrafficanti, responsabili di violenze e omicidi. Alla morte dei fratelli, uccisi e gettati in un fosso, Pineda aveva preso le redini del gruppo e si era poi trasformata nell’anello di congiunzione tra politica e criminalità, grazie alla carica del marito, con il quale formava la cosiddetta “Coppia Imperiale”.

I normalisti erano stati presto inseriti nella lista di coloro che con proteste e subbugli minavano l’ordine pubblico, o meglio, lo status quo di una società criminale.
Il 26 settembre, nonostante la giornata di manifestazioni, era stato programmato un discorso da parte della moglie del sindaco che avrebbe presentato la propria candidatura e non desiderava interruzioni di alcun tipo.

Non è chiaro se a questo punto i normalisti volessero intervenire con proteste anche durante il discorso, se ne fossero a conoscenza, se stessero facendo ritorno a Ayotzinapa, è chiaro tuttavia che fu chiesto alle forze dell’ordine e ai sicari dei Guerreros Unidos  che come spiega El Pais vivono in perfetta simbiosi a Iguala, di fare il modo che i normalisti non si presentassero quella sera. Gli uomini hanno quindi agito cercando e bloccando in ogni modo il gruppo di studenti. Rendendosi conto che quella non poteva essere un’operazione di polizia ordinaria, o perlomeno legale, i normalisti hanno inizialmente tentato di fuggire, di nascondersi sugli autobus — invano. Al termine dell’assalto vengono lasciati a terra 2 morti tra gli studenti, 3 tra alcuni individui uccisi al solo fine di depistare le indagini e un ultimo studente di ventidue anni, Julio César Mondagòn, padre di un bambino e con una moglie incinta, scorticato vivo e privato dei bulbi oculari. Le foto del cadavere di Mondagòn hanno iniziato a circolare sul web poco dopo l’assassinio e dimostrano oggi come l’efferatezza delle cosiddette forze dell’ordine di Iguala non abbia nulla di diverso da quella dei gruppi criminali più noti, ma anzi si mescoli alla loro.

Gildardo López Astudillo, al comando degli assassini che agirono quella notte, pare abbia a questo punto contattato il leader dell’organizzazione criminale, Sidronio Casarrubias Salgado, comunicandogli che i 43 studenti sequestrati facevano parte del gruppo dei Los Rojos, un’organizzazione criminale coinvolta da anni in una guerra contro i Guerreros Unidos. Secondo la procura a questo punto Salgado ordinò di “Difendere il territorio”.

Sembra essere questo l’ordine che decreta l’ultimo atto della vicenda, i ragazzi vengono consegnati alla questura di Iguala e ad agenti di Cocula, che cambiano le matricole delle auto e consegnano gli studenti a un’ulteriore organizzazione criminale, quella dei Loma de Coyote. Gli studenti vengono portati nella discarica di Cocula – lungo il tragitto viene picchiato e ucciso per soffocamento uno degli studenti – e interrogati come membri dei Los Rojos. Nonostante i ragazzi tentino di spiegare più volte le proprie identità, l’ordine di difendere il dominio dei Guerreros Unidos viene eseguito e gli studenti vengono uccisi uno per uno e dati alle fiamme. Il rogo, alimentato pare per 15 ore, cancella ogni traccia, lasciando solo delle ceneri, raccolte in sacchi di plastica e poi consegnati al letto del fiume San Juan.

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Questa ricostruzione, compiuta dalla procura e avvalorata da diverse testimonianze comprese quelle degli esecutori materiali degli omicidi – Patricio Reyes Landa, El Pato, Jonathan Osorio Gómez, El Jona, e Agustín García Reyes, El Chereje – ha portato all’arresto del sindaco e della moglie il 4 Novembre, alla detenzione di Pineda nel carcere di massima sicurezza e al processo a suo carico annunciato il 13 gennaio, con l’accusa di essere stata intermediaria, protettrice dei Guerreros Unidos, amministratrice dei beni mobili e immobili in cui veniva investito il denaro derivato dal narcotraffico. Inoltre seguendo le indicazione dei tre sicari arrestati a novembre sono stati recuperati i sacchi contenenti presumibilmente le ceneri degli studenti, poi inviate a Innsbruck in un centro specializzato nelle analisi del DNA da dove sono state già diffuse le prime informazioni che confermano l’identità di uno dei ragazzi scomparsi, Alexander Mora.  Si attende l’identificazione degli ultimi resti consegnati ai laboratori per dichiarare la veridicità effettiva delle confessioni fatte dai sicari e  confermare le accuse di omicidio a loro carico.

Tuttavia, la ricostruzione mostra diverse falle, in luoghi che potrebbero collegare la vicenda a membri più interni e meno locali, dell’organizzazione statale. In contrasto con il racconto dei sicari vi sono innanzitutto le dichiarazioni riguardanti il rogo, che per essere tanto efficace avrebbe dovuto – secondo i calcoli di esperti della principale università messicana (UNAM) – avere a disposizione 33 tonnellate di legna o 995 gomme d’auto, di cui poi si sarebbero dovuti trovare i residui, del tutto assenti. Inoltre un tale incendio avrebbe allertato la popolazione, o perlomeno il pilota militare Andréas Pascual Chombo che la mattina del 27 settembre realizzava due voli in quella zona proprio alla ricerca dei normalisti e che terminava la ricognizione verbalizzando “Nessuna novità”. È quindi presumibile che i corpi siano stati bruciati altrove e tra i pochi posti in cui possono essere bruciati corpi senza che vengano fatte ulteriori domande, vi sono i forni crematori dell’esercito. Il ministero della difesa messicano ha negato con forza questa ipotesi, innescata da un reportage de La Jornada, spiegando l’inesistenza di forni simili nelle strutture militari del paese. Tuttavia questa dichiarazione è stata presto smentita da un secondo reportage di Sanjuana Martinez che cita la guida per le pratiche connesse ai benefici dati dall’Istituto della Sicurezza sociale delle forze armate (Issfam) che spiega come il ministero offra servizi di cremazione ai propri dipendenti.

Il coinvolgimento dell’esercito nella vicenda dei 43 desaparecidos viene continuamente negato da fonti istituzionali ma attivisti e familiari delle vittime non credono alla ricostruzione, o almeno non completamente. Per questa ragione continuano le manifestazioni e scelgono di prendere il ruolo di organismi assenti nel sistema giurisdizionale messicano, pretendono e cercano tracce dei 43 studenti scomparsi e per farlo chiedono di arrivare ovunque. Il 12 gennaio hanno tentato di fare irruzione nella zona militare del ventisettesimo battaglione, nei pressi del luogo in cui secondo la ricostruzione sono stati portati gli studenti nella notte tra il 26 e il 27 settembre. La presenza di forni crematori in quella struttura sarebbe un indizio forte circa il coinvolgimento dell’esercito nella vicenda che sembra ancora soffocare molte verità.

Una di queste potrebbe coinvolgere il Presidente messicano Enrique Peña Nieto, membro del Partito Rivoluzionario Istituzionale, che agli arbori della propria elezione, il primo dicembre 2012, aveva annunciato la volontà di diminuire drasticamente il numero dei desaparecidos. I numeri pubblicati in questi giorni lo smentiscono drammaticamente, insieme alle inchieste, i casi di violenza e le vicende personali in cui è coinvolto.

I due anni di governo di Enrique Peña Nieto attendono una riconferma popolare il 7 giugno 2015 con le elezioni legislative, in cui verranno eletti 500 deputati e che dimostreranno la presenza o l’assenza di consenso.

Il grosso timore degli attivisti per le cause dei desaparecidos tuttavia è che il boom delle campagne elettorali sorvoli o sfrutti indiscriminatamente le sparizioni, cavallo di battaglia o tasto sensibile, e ne faccia una strumentalizzazione senza una vera volontà di risolvere i casi. Alcuni, come il fondatore del Movimento per la Pace, Javier Sicilia, chiedono quindi di boicottare il processo elettorale, molti altri tra cui i genitori dei ragazzi scomparsi, hanno invece organizzato un calendario di manifestazioni e interventi denso e diffuso nell’intero Messico.

Impongono che venga ricordato ogni giorno e ovunque che la loro vicenda non è stata un’eccezione, o un incidente che questa non è stata un’emergenza scoppiata senza cause o fini.

La scomparsa dei 43 studenti messicani è stata un’operazione organizzata, lucida e soprattutto non si è trattato un caso unico, ma uno tra i quasi cinquemila, reiterati e senza scrupoli che hanno funestato il Messico solo nell’ultimo anno, nessuno dei quali può essere trascurato.

Giulia Pacchiarini
@GiuliaAlice1
Giulia Pacchiarini
Ragazza. Frutto di scelte scolastiche poco azzeccate e tempo libero ben impiegato ascoltando persone a bordo di mezzi di trasporto alternativi.

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