Il 18 dicembre scorso, l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato una nuova moratoria sulla pena di morte, con il numero record di 117 voti favorevoli, 37 contrari e 34 astenuti. È la quinta volta che questa risoluzione (non vincolante) viene sottoposta al voto dalla sua prima presentazione nel 2007, su iniziativa italiana. Da allora il fronte del sì è andato progressivamente ampliandosi, dai 104 del 2007 ai 117 di due settimane fa.
Il testo mira ad una sospensione globale dell’applicazione della pena capitale, come primo passo verso la sua completa abolizione. Attualmente i Paesi che hanno abolito ufficialmente la pena di morte sono 98 – in blu – (per ultima la Lettonia, nel 2012), a cui vanno sommati i 35 che non la applicano da più di dieci anni – in arancione – e i 7 che la mantengono formalmente solo per crimini eccezionali – in verde. A mantenere ed applicare la pena di morte restano dunque “solo” 58 Paesi1.
Il lento ma apparentemente inesorabile isolamento di questi ultimi, sancito ulteriormente dal voto del 18 dicembre, ha fatto esultare associazioni umanitarie e leader politici di tutto il mondo. Eppure, nell’andamento positivo degli ultimi anni, non sono mancati significativi arretramenti.
Dobbiamo augurarci innanzitutto che nel 2014 (per cui ancora non sono disponibili dati aggregati) non sia proseguita la tendenza del 2013, anno in cui Amnesty International – nel suo rapporto annuale – ha rilevato un incremento del 15% nel numero delle esecuzioni rispetto all’anno precedente, per opera soprattutto di Iran, Iraq e Arabia Saudita. Il triste primato delle esecuzioni, stimato nell’ordine del migliaio ma impossibile da determinare con esattezza, spetta alla Cina, dove tuttavia qualcosa sembra muoversi, sia nell’opinione pubblica, sia nel governo, che a fine ottobre ha preso in considerazione la possibilità di ridurre il numero dei delitti “capitali”.
Gli Stati Uniti, che il 18 dicembre hanno formalizzato il proprio no solo a votazione già conclusa, per colpa di un’ambasciatrice distratta, rimangono sotto questo profilo la pecora nera dell’Occidente. Nonostante il 2014 abbia visto il più basso numero di esecuzioni (35) dal 1994 e di condanne (72) dal 1974 (l’anno in cui la pena di morte è stata reintrodotta negli USA), ancora 32 stati prevedono l’applicazione della pena capitale e più di tremila detenuti si trovano attualmente nel “braccio della morte”.
L’opinione pubblica statunitense è stata profondamente scossa da tre esecuzioni terminate con l’agonia del condannato, per l’impiego di mix di farmaci letali mai sperimentati prima: in Ohio a gennaio, in Oklahoma ad aprile e in Arizona a luglio.
Le tre vittime, Dennis McGuire, Clayton Lockett e Joseph Wood, hanno dovuto sopportare rispettivamente mezz’ora, 43 minuti e oltre due ore di agonia, spesso cosciente.
Il decesso di Lockett, attribuito a un infarto, è stato dichiarato quando l’esecuzione era già stata interrotta. Nonostante l’indignazione suscitata, la difficile reperibilità di cocktail farmacologici soddisfacenti sta spingendo verso la ricerca di strumenti di morte più efficaci e meno aleatori, piuttosto che verso la progressiva abolizione della pena. Così, il parlamento dell’Oklahoma potrebbe varare entro l’anno una legislazione sull’utilizzo della deprivazione forzata di ossigeno, mentre il Tennessee ha reintrodotto la sedia elettrica. In Idaho e Utah è stata ripresa in considerazione la fucilazione. Giusto il 31 dicembre, in compenso, il governatore del Maryland ha commutato la pena degli ultimi quattro condannati nel suo Stato dalla morte al carcere a vita.
Ma la conclusione dell’anno passato è stata segnata anche da due episodi che hanno destato la preoccupazione della comunità internazionale. Dopo la strage di Peshawar del 16 dicembre, costata la morte a 152 persone, di cui 133 bambini, il comandante dell’esercito pakistano ha chiesto al governo di poter eseguire oltre tremila impiccagioni di terroristi, sospendendo la moratoria che dal 2008 fermava la mano dei boia statali. Nonostante le pressioni del segretario generale dell’Onu Ban-Ki Moon, dell’Unione Europea e delle principali associazioni umanitarie, le esecuzioni sono già cominciate (l’ultima il 30 dicembre), e vanno ad aggiungersi al già pesante bilancio della guerra contro i talebani nel Paese.
Negli stessi giorni, il 21 dicembre, è arrivata dalla Giordania la notizia dell’impiccagione di 11 condannati, i primi dal 2006. L’interruzione della moratoria di otto anni è un duro colpo per l’avanzamento dei diritti umani in Medio Oriente, dove la Giordania, ultimamente molto attiva nella lotta contro lo Stato Islamico, è considerata generalmente una nazione illuminata. Lo stesso re Abdullah II, senza la cui approvazione nessun condannato può essere giustiziato, aveva espresso nel 2005 l’aspirazione a fare della Giordania il primo Paese mediorientale senza pena di morte.
Nel rapporto Moving away from death penalty. Arguments, trends and perspectives, pubblicato a ottobre dall’Ufficio dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani (OHCHR), sono prese esaustivamente in considerazione le implicazioni sociali, psicologiche ed economiche della pena di morte. Il secondo capitolo è dedicato a dimostrare, sulla base di ricerche accademiche, l’inesistenza di una correlazione tra pena di morte e tasso di criminalità. Ciononostante, quello della deterrenza è ancora il principale argomento addotto a favore della pena capitale, unitamente a quello del consenso popolare di cui gode, specialmente di fronte a crimini efferati (come i frequenti casi di violenze sessuali in India) e alla crescente minaccia del terrorismo (come nel caso pakistano). Affermare senza attenuazioni il principio per cui la barbarie si combatte con la civiltà, contro la logica primitiva e istintuale della vendetta, spetta alla continua azione politica degli Stati abolizionisti e alla costante vigilanza delle organizzazioni internazionali, per scongiurare che l’attuale trend positivo si inverta, e far sì che la globale eradicazione della pena di morte sia possibile.
Nel frattempo, diamo la triste notizia della prima esecuzione dell’anno: in Arabia Saudita un narcotrafficante è stato decapitato nella mattinata del 1 gennaio. Probabilmente sarà il primo di una lunga serie: solo nel 2014 nel regno saudita sono state giustiziate mediante decapitazione 87 persone.
Sebastian Bendinelli
@se_ba_stian
- Dati: Amnesty International [↩]