
Marta Clinco
@MartaClinco
Halab.
L’ultimo video di John Cantlie – fotoreporter britannico rapito dai miliziani dell’IS a novembre 2012, ormai due anni e mezzo fa – si apre con le immagini girate tra le macerie di Aleppo, una delle città siriane che più hanno risentito dei bombardamenti inflitti alla regione dal 2012 ad oggi. Cantlie si aggira questa volta tra ferraglie e rovine, polvere e case distrutte: echeggia infatti per la zona apparentemente abbandonata la voce sicura del giornalista — frontman consolidato e indiscusso dei più recenti video di propaganda dell’IS, benché annunci proprio in apertura che questo sarà l’ultimo della fortunata serie: «In the last film in this series, we’re in the city which has been the heart of the fighting since summer 2012. It has some of the most ancient architectures in all of the Middle East: now, after two years of bitter fighting, much of the city lies in ruins. The area came famous for indiscriminate bombing by the Syrian effort or American jets» afferma, mentre si muove agile tra i ruderi del paesaggio dimesso. Ma l’introduzione generale è breve, e giunge veloce al punto:
«Today we’re inside Halab. What we’re gonna find out is if all this bombs, all this fighting, all this distruction are even slowdown with violence of the Islamic State».
Inizia qui il tour per la più grande città siriana, la “remarkable and breathtaking” Aleppo da Le mille e una notte, delle cui meraviglie tuttavia ben poco rimane; ma la slideshow ad alta saturazione dice il contrario, e paiono davvero infinite le distese di prati verdi nei dintorni della città, dove l’agricoltura è fiorente, i silos sono pieni di grano venduto alla popolazione locale a bassissimo prezzo, dove gli animali vivono liberi e il cielo è sempre più blu, e dove i miliziani trascorrono il tempo libero distesi su bianchissimi lidi, «Maybe doing a little fishing, or just enjoying a relaxing cup of tea back in town».

E secondo il vecchio stampo del video girato a Mosul, in Iraq, in cui Cantlie raccontava la vita cittadina sotto il Califfato come business as usual, il reporter fa il suo ingresso in Aleppo: «Driving into Halab, who couldn’t appreciate the first sight of the territory liberated and held in control of the mujaheddin? This is a beautiful beginning to a delicious end», e alza lo sguardo al cielo, richiamando ancora una volta un frame del precedente video girato a Mosul nel quale, allo stesso modo, si rivolgeva ad un drone di passaggio, con tono di sfida: “Non mi vedi? Sono qui! Colpiscimi!”. Ma, dopotutto, che importa: «Life continues, the mujaheiddin really don’t care how many eyes in the sky are looking down».
Si passa poi alla scuola, dove si insegnano le lingue, e la camera scorre su un gruppo di bambini che recita ad alta voce i precetti del Corano: «What really matters is what goes on inside. One of the common accusations of the West is that under the Islamic State education would suffer» ma, come possiamo vedere, non è affatto così. Inoltre i media point dell’Islamic State disseminati ormai per tutta la città forniscono anche, benché con parsimonia, notizie e informazioni occidentali: fantastico.
Il reporter si muove ora verso il mercato cittadino, zona civile, dove pare essersi appena verificato un pesante bombardamento aereo: «The fire brigade of the Islamic State tried to clean up the mess, but it’s absolutely pandemonium. As far as I know, the Syrian effort does not have drones. It must have been an american drone», ovviamente. La tappa successiva ci porta in una delle corti di giustizia in cui è applicata la Shari’ah. «It’s a different rule of law to the which one before»; individui visibilmente nervosi e agitati – forse per la presenza del reporter, o per il fatto di essersi improvvisamente ritrovati a recitare una parte – siedono composti e silenziosi in quella che sembra una sala d’aspetto come tante, guardando video dell’Islamic State da un televisore affisso alla parete: «This law is 1.400.000 years old and it’s the rule of God, the rule of Allah».
Ma la grande novità di quest’ultimo servizio da Aleppo sono le interviste inedite raccolte tra alcuni mujaheddin.
Una delle due testimonianze è di un militante francese, che incoraggia tutti i fratelli ad Occidente – in particolare, in Francia – ad agire come lupi solitari, e difendere la loro religione anche fuori dallo Stato Islamico: «Difendete la vostra religione ovunque vi troviate. Uccideteli con i coltelli. Se proprio non avete altra scelta, colpiteli al volto. State seduti sui vostri divani, mentre oggi i musulmani sono perseguitati in ogni parte del mondo. Per questo io vi dico: iniziate a preparare attacchi individuali. Siate loups solitaires», e conclude con un riferimento agli attentati di Parigi: «Abbiamo ricevuto la notizia pochi giorni fa. Sapere di questi tre attacchi ci rende solo felici. E ogni volta che sentiamo di uno o più fratelli che difendono la loro religione a Occidente, non possiamo che esserne orgogliosi».

Il secondo intervistato è locale, parla in arabo ma sempre direttamente all’Occidente, chiarendo subito il fatto che la recente morte – vera o presunta – di alcuni leaders del Califfato non andrà certo ad intaccare il potere e la forza dello Stato Islamico, né ostacolerà il raggiungimento dell’obiettivo finale: «The crusader alliance and disbelieving West have not understood the nature of this religion nor the nature of its people who defend it. This religion haven’t died because it’s depending upon people, not leaders. Let the disbelieving West know that the death of the leaders of jihad only emboldens and motivates us upon this path, by Allah’s permission». Curioso il fatto che il mujaheddin locale porti nella fodera esattamente il coltello sfoggiato da Bear Grylls nelle sue imprese più spericolate ai confine del mondo conosciuto di Sky — Bear Grylls, proprio colui che, dalla collaborazione con la famosa azienda di coltelli americana Gerber, ha firmato una linea di oggetti per “il survival, l’avventura, la caccia, la pesca, l’outdoor, il divertimento”: insomma, gadgets irrinunciabili per il jihadista siriano 100% e per la sua guerra all’Occidente.
Ma la jihad – afferma – è di tutti: davvero a qualsiasi costo, a qualsiasi prezzo, attraverso qualsiasi mezzo; anche quelli del nemico — ed è il caso dei media, che al-Ḥayāt Media Center pare saper sempre meglio utilizzare ai fini ormai noti dello Stato Islamico e dei suoi seguaci.