Del: 7 Febbraio 2015 Di: Redazione Commenti: 0

Sara Tamborrino

Va in scena dal 3 al 15 febbraio al teatro Elfo Puccini di Milano uno dei testi più rappresentati di Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore. Quest’opera è giudicata fondamentale all’interno dello sviluppo della storia teatrale, in quanto riflessione e rappresentazione dei più intimi meccanismi del teatro stesso. Pirandello con questo testo, inserito nella trilogia del teatro nel teatro, comprendente Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo, si fa codificatore della tecnica metateatrale.
“Manicomio! Manicomio!”; con questo grido la discesa del sipario fu accolta dagli spettatori al termine della prima rappresentazione dello spettacolo al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921. Non vi furono applausi quel giorno, e l’autore dovette fuggire dal teatro per scampare alla reazione indignata del pubblico. Oggi la risposta degli spettatori è assai diversa, e i Sei personaggi possono ritenersi tra i più acclamati successi internazionali, in questa occasione specifica grazie alla regia di Gabriele Lavia e alla produzione della Fondazione Teatro Della Pergola.

Il testo dell’opera è riprodotto sulla scena con minuziosa precisione, restituendo così al pubblico il lavoro di Pirandello in ogni suo dettaglio. Il tutto viene a durare quasi tre ore, un colpo difficile da incassare per i meno allenati, ma per assistere al prendere vita di un simile capolavoro vale la pena resistere.
Su un palcoscenico non allestito dove un gruppo di Attori si è riunito per provare un’opera teatrale dello stesso Pirandello giungono come dal nulla sei Personaggi che supplicano il Capocomico di poter rappresentare il loro dramma. Si tratta della storia di un Padre che, abbandonata la moglie per permetterle di unirsi a un altro uomo col quale ella ha poi tre figli, si presenta, ignaro, in veste di cliente alla Figliastra, costretta a prostituirsi in un atelier per tutelare il lavoro della Madre; questa però li sorprende in tempo per impedire che l’atto si compia. Poi la donna, trovandosi in condizioni di indigenza a causa della morte del secondo marito, torna con i figli a casa del Padre, ma lì la bambina più piccola muore affogando in una vasca, e il giovane fratello si uccide con un colpo di pistola a causa del disprezzo usatogli da parte dell’unico Figlio nato dalle prime nozze della Madre. A questo punto i Personaggi scompaiono dietro il fondale, e gli Attori, che in un primo momento hanno provato a loro volta a riprodurre i fatti recitandoli sulla scena, alla vista di queste morti si domandano scioccati se si tratti di realtà o finzione, ma pronta giunge la risposta del Padre: è tutto vero, si tratta della realtà di personaggi che ogni volta sono costretti a vivere.

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Per scelta registica lo svolgimento dell’azione scenica è accompagnato e guidato, in momenti specifici quali inizio e fine dello spettacolo, da una voce fuori scena che ripropone le descrizioni e le spiegazioni che Pirandello inserisce nel testo a proposito di ciò che deve essere rappresentato.

Questo espediente rischia di far risultare preparato ciò che invece, secondo l’intenzione dell’autore, dovrebbe in apparenza accadere sul palcoscenico in modo non programmato; tuttavia tale effetto va a sottolineare il divario che separa la finzione scenica dalla realtà vissuta.

Questo è infatti il tema centrale dell’opera, il contrasto tra Personaggi ed Attori, evidenziato sensorialmente sulla scena con l’ausilio di luci che distinguono i due gruppi contrapposti e di musiche di sottofondo che ne differenziano le azioni. Emerge dunque nella rappresentazione che il personaggio non è altro che una persona, anche se parto di una mente, ed il singolo individuo con la propria molteplicità è irrappresentabile, in quanto percepito da ciascuno diversamente a seconda della differente sensibilità da cui si è soggettivamente caratterizzati. Appare grottesco il tentativo da parte del Capocomico di ridurre entro gli schemi del teatro i Personaggi vivi, che chiedono di essere rappresentati esattamente per quello che sono; egli arriva a voler imporre loro in quale modo agire e come interpretare il ruolo di se stessi sulla scena. Esemplificativa in questo senso è l’affermazione del Primo Attore nel momento in cui si accinge a recitare la parte del Padre: “Ho già in mente un paio di migliorie”. Qui l’autore accusa, in nome di una maggiore autenticità, la tendenza degli attori a piegare i personaggi alle proprie caratteristiche ed esigenze.
Per abbattere ulteriormente l’invisibile parete che separa la realtà dalla finzione, e dunque lo spazio scenico dalla platea, Attori e Personaggi si mescolano al pubblico muovendosi liberamente tra le file, entrando ed uscendo con estrema disinvoltura dalle porte della sala. Se ciò non stupisce ormai molto lo spettatore d’oggi si deve però pensare all’effetto sconvolgente che una tale rivoluzione dovette avere sul pubblico del primo Novecento.

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A stemperare in parte tale realismo interviene però l’immobilità che coglie talvolta i Personaggi nell’atto di compiere le azioni della loro realtà cristallizzata all’interno di una storia, in un momento condannato a ripetersi immutabile con uguale strazio per coloro che continuamente lo vivono.
I diversi sentimenti che muovono le azioni dei Personaggi – il rimorso del Padre, la vendetta della Figliastra, il dolore della Madre, lo sdegno del Figlio – sono resi grazie ad una recitazione fortemente caratterizzata. Il Padre alterna balbettii ed incertezze a scatti di passione, voce dello smarrimento e del tormento che lo divorano a causa della sua condizione; la Figliastra è fin troppo sfrontata nel manifestare l’odio e il disprezzo che la muovono, ma lascia anche emergere un’anima profondamente ferita.

La chiusura del dramma, che riassume il dilemma sulla fattibilità dell’opera teatrale in relazione alla vera vita dei Personaggi, è stato realizzato in modo da mostrare lo svolgersi di una tragedia senza dare la possibilità di comprendere se essa sia reale oppure no: in questa particolare rappresentazione la Bambina si trova già all’interno della vasca, ricoperta da un azzurro lenzuolo d’acqua come da un sudario che il Figlio solleva, con l’intento di salvarla, scoprendone invece il cadavere. Il Giovinetto intanto si uccide con un colpo di pistola talmente improvviso, potente e realistico da far sobbalzare tutto il pubblico, compresi coloro che già se lo aspettano; nel momento esatto in cui lo sparo squarcia il silenzio lo spettatore rimane impietrito, scioccato insieme agli Attori sulla scena, e come loro non può che domandarsi cosa sia effettivamente appena accaduto davanti ai suoi occhi.

Quando il sipario si chiude non resta così che un’assillante molteplicità di interrogativi: possono attore e personaggio fondersi in una sola vera unità? Che cosa è reale e cosa è finzione?

Foto di Tommaso Le Pera

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