Del: 9 Aprile 2015 Di: Redazione Commenti: 0

Sara Tamborrino

Il Piccolo Teatro accoglie per la prima volta Ramón María del Valle-Inclán, autore cardine della letteratura spagnola di inizio ‘900, con la produzione di una delle sue opere più significative, Divine parole (1919). Le repliche, che si terranno fino al 30 aprile, vedranno rappresentato sulla scena uno spettacolo di impatto potente grazie alla regia rivoluzionaria di Damiano Michieletto e alla incredibile scenografia realizzata da Paolo Fantin.

Questo testo descrive la storia di un’umanità miserabile, una comunità di ultimi nella quale si aggirano figure disperate in perenne conflitto per la sopravvivenza; un coro di poveracci, una realtà popolata da straccioni, emarginati, prostitute, ladri e assassini, una sorta di branco dominato da leggi crudeli, secondo l’eterno homo homini lupus. Lo scopo dell’autore in tutto ciò è quello di indagare la natura e la disgregazione delle relazioni umane.

divine parole

La vicenda, scandita in tre giornate, è incentrata sullo sfruttamento di una creatura innocente – un bambino nato nano e idrocefalo – che la madre, Juana la Reina, esibisce lungo le strade e nelle fiere per lucrare sulla compassione della gente. Alla morte di lei, sua sorella Marica e la bella cognata Mari Gaila, moglie del sacrestano Pedro Gailo, iniziano a contendersi il carrozzino con il bimbo deforme, non per pietà ma vedendo in esso una fonte di guadagno. Decidono infine di spartirselo a giorni. Appena lo ottiene in custodia, Mari Gaila parte alla volta di una sagra di paese in compagnia di un cieco voglioso e dell’omosessuale travestito Miguelìn. In quest’occasione incontra il dissoluto vagabondo Séptimo Miau che riesce a sedurla; cedendo al richiamo della passione, la donna affida per una notte il carrozzino a Miguelìn che, ubriaco, uccide la creatura con una dose mortale di alcol. Dopo l’atroce scoperta Mari Gaila torna a casa, dove Pedro, a causa del disonore della moglie, in un accesso di follia ha tentato di violentare la figlia Simoniña. Il cadavere del nano viene abbandonato davanti alla casa di Marica, e là viene divorato dai maiali. Poco dopo Séptimo e Mari Gaila vengono sorpresi nell’atto di consumare il loro peccaminoso rapporto; la donna viene trascinata davanti al sacrestano per essere lapidata come adultera, ma Pedro la salva pronunciando le divine parole:

«Qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat».

Emerge così un quadro contrastato: una sordida e arcaica realtà caratterizzata da personaggi primitivi e violenti, sia vittime che carnefici, in cui dominano superstizioni e passioni elementari e incontrollate come l’avidità, la lussuria e l’ipocrisia, contrapposte alla necessità di una spiritualità in grado di elevare l’essere umano dal suo stato di squallida miseria; un’umanità ferina, con tratti talvolta demoniaci, ma con un forte bisogno di redenzione.

DivineParole_RussoAlesi3©MasiarPasquali

Per questa società dominata dalla barbarie e dall’abiezione dell’individuo, le parole divine pronunciate in conclusione della vicenda, per quanto vengano in apparenza ripudiate, assumono un valore catartico. Vi si afferma infatti una logica che va a scardinare quella società costruita su prevaricazioni ed inganni. Questo messaggio diventa possibile soltanto nel momento in cui Pedro Gailo smette di affidarsi pavidamente a dogmi e rituali ed accetta con coraggio la realtà impersonata da Séptimo Miau, ossia quella del male e della tentazione — solo così il malvagio risulta sconfitto.

Sullo spazio scenico viene riprodotta una fortissima contrapposizione visiva: sul fondo vi è l’interno bianco e luminoso di una chiesa con icone sacre appese alle pareti, che viene nascosta o rivelata al mutare delle scene grazie allo scorrimento di un fondale metallico, mentre il palcoscenico vero e proprio — che nel Teatro Studio Melato si trova allo stesso livello del pubblico — è un riquadro riempito di fango, a rappresentare con concretezza la strada, una dimensione oscura, la madre terra come luogo in cui ha origine il peccato, l’osceno, la sessualità irruenta e carnale. Questa dimensione così tangibile e realistica, in cui i personaggi si immergono fisicamente, fa da contraltare all’atmosfera di visionaria follia che percorre una realtà costantemente in contatto con la morte.
I defunti infatti non escono di scena a seguito della loro dipartita, ma rimangono in scena come spettri tormentati: emblematica la scelta di far accompagnare costantemente il bimbo idrocefalo dalla figura silenziosa dello spirito della madre, fino al momento in cui ella finalmente termina il suo percorso cullandolo nella sepoltura. Vi è poi l’inquietante presenza del carrozzino, che continua ad essere trasportato anche quando ormai contiene solo un cadavere. La morte è resa fisicamente anche grazie al sangue finto al cui spargimento si ricorre con costanza nel corso della rappresentazione.

DivineParole_RussoAlesiDiMartinoValentini©MasiarPasquali

Le scelte sonore sono un altro elemento di fondamentale importanza per l’impostazione registica voluta da Michieletto; si tratta di brani di musica sacra, come il Miserere e l’Agnus Dei, che evocano un’atmosfera atemporale e mistica che collide con la durezza dei fatti rappresentati e l’abbrutimento dei sentimenti umani. A ciò si unisce una voce fuori campo che in dati momenti legge alcune didascalie volte ad introdurre e a contestualizzare le vicende rappresentate.

Anche l’illuminazione riveste un ruolo determinante, grazie ai freddi neon posizionati sui bordi della scenografia e alle luci abbaglianti dirette dal fondo verso il pubblico, che, investendo gli attori fino a lasciarne intravedere quasi solamente la silhouette, riescono a suscitare una fortissima tensione drammatica.

Risulta chiaro a seguito della visione di uno spettacolo di tale portata – di fronte al quale non si può restare emotivamente impassibili – che tutta la vicenda assume una dimensione simbolica che si svela progressivamente nel corso della rappresentazione. Alla stregua del desiderio di elevazione spirituale che percorre tutto il dramma, le divine parole, secondo l’interpretazione del regista, rappresentano per lo spettatore le esperienze – come l’arte ed il teatro – che aiutano l’animo a sollevarsi dal giogo di quegli gli istinti brutali e animaleschi che albergano nei recessi di ogni uomo, e non soltanto nei personaggi che dalla scena rivolgono al pubblico il loro grido.

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