Giulia Pacchiarini
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La Camera dei Deputati ha approvato durante la notte scorsa il disegno di legge riguardante l’introduzione in Italia del reato di tortura. Il Ddl, presentato dal senatore del Partito Democratico Luigi Manconi il 19 giugno 2013, era stato approvato dal Senato in prima lettura il 5 marzo scorso e, dopo la discussione generale alla Camera, il 23 marzo è approdato al voto — e ora attende di essere di nuovo approvato dal Senato a seguito di ulteriori modifiche.
Questo procedimento, però, è solo l’ultimo atto di un processo concepito nel 1984 con la ratifica da parte dell’Italia, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. A seguito dell’assenso italiano alla Convenzione ONU, nel 1989 il senatore Nereo Battello presentò il primo disegno di legge per l’introduzione del crimine di tortura nel codice penale italiano. A sottoscrivere la proposta vi erano Ferdinando Imposimato, Pierluigi Onorato, Giglia Tatò Tedesco ed Ersilia Salvato.
Il disegno passò però inosservato e nell’indifferenza generale si conquistò un posto tra quelle verità civili politicamente corrette che tutti definiscono necessarie ma che pare non vi sia mai il tempo di realizzare.
Nel 1991 Franco Corleone presentava il secondo disegno di legge, accanto alla sua firma quella di altri quattro, tra cui il cantautore Domenico Modugno. Ancora una volta però eventi più rumorosi – come lo scioglimento del Pci e la nascita di Rifondazione Comunista – rubarono tempo e spazio alle discussioni sul reato di tortura che senza troppa difficoltà venne di nuovo accantonato, in attesa di tempi più adatti — quando fosse stato più facile parlare di tortura e magari vietarla.
Il 10 dicembre 1998, in occasione della giornata delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, Ersilia Salvato presenta un terzo disegno di legge. Questa volta le firme sono 70 ed eterogenee, raccogliendo i nomi dei rappresentanti delle più diverse forze politiche ma anche quelle di coloro che da anni si battono per questa causa come Luigi Manconi e Giovanni Russo Spena. La proposta governativa viene presentata nell’agosto 2000 e vi sono tutti i presupposti perché la macchina legislativa si metta finalmente in moto. Per un po’ quindi si fa baccano, dentro e fuori il parlamento si elogia e si critica, e le opinioni, le interviste, e i giudizi degli immancabili esperti non si contano più. Tuttavia, mentre il pubblico popolare applaude e fischia, nulla accade davvero, il disegno di legge viene rimandato e torna piano la polvere, cala di nuovo il sipario, l’allegra carovana della politica cambia luci, testo e voci, e pochi si arrischiano a ricordare lo spettacolo precedente.
Nel 2001 sale al governo Silvio Berlusconi e con lui nuove proposte di legge per l’ammissione del reato di tortura, controfirmate da Cesare Salvi, Tana De Zulueta e Gaetano Pecorella. Intanto nella notte tra il 21 e il 22 luglio si consuma la mattanza del G8 genovese: vengono torturate 93 persone ma nella legislazione italiana la tortura ancora non esiste — non esiste il reato e ogni azione rimane dunque impunità: arrivano le mezze condanne o addirittura le mezze promozioni. Finalmente nel 2004 iniziano placide e serene le discussioni dei nuovi progetti; sotto esame vi è in particolare il riconoscimento dell’inflizione di sofferenza psicologica come tortura che pone dubbi e allunga i tempi. Prima che si giunga ad una definizione soddisfacente, però, Carolina Lussana – Lega Nord – presenta e riesce a far approvare un emendamento che prevede che il reato di tortura sia considerabile tale solo nel caso in cui la tortura stessa venga inflitta più di una volta. L’assurdità dell’emendamento è tale – e il fatto che sia stato approvato ancor di più – che l’intero progetto di legge non può che venir abilmente defenestrato e con lui la sua memoria, almeno per un paio d’anni.
Nel 2006 il governo Prodi sembra finalmente volersi imporre: il reato di tortura s’ha da fare e in soli 7 mesi si fa, o quasi. Montecitorio rilascia un testo che introduce il reato di tortura: trascorrono altri 7 mesi e la Commissione Giustizia presieduta da Cesare Salvi rivede il progetto precedente rilasciando un nuovo testo la cui discussione è prevista in aula per il 2008. Nel medesimo anno, però, il governo si scioglie, si va al voto e viene nominato un nuovo governo guidato ancora una volta da Silvio Berlusconi. Da questo momento disegni di legge più o meno convincenti vengono ritualmente proposti e affossati — déjà vu annuali che saziano l’opinione pubblica e riempiono qualche titolo in prima pagina, per il resto quella brutta parola che è “tortura” ritorna solo per parlare di luoghi barbari e distanti, nel tempo e nello spazio, il più lontano possibile.
Il 7 aprile 2015 – sono ormai 87 i disegni di legge presentati dal 1989 – il tempo scade e la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo si esprime su ciò per cui l’Italia non ha ancora parole giudiziarie, condannando l’Italia stessa per tortura a causa degli atti compiuti dalle forze dell’ordine durante l’irruzione nella scuola Diaz nell’estate del 2001.
Il procedimento presso la corte di Strasburgo era stato avviato da Arnaldo Cestaro – 62 anni all’epoca dei fatti – che si trovava all’interno della scuola genovese durante l’irruzione delle forze dell’ordine e a seguito delle violenze inflitte dagli agenti riportò diverse fratture. La corte di Strasburgo ha denunciato all’unanimità la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che riguarda il divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti. Nella sentenza la Corte ha inoltre sottolineato come l’assenza di una legislazione adeguata abbia pesato fortemente sulla violazione della Convenzione ed è quindi richiesta la rapida acquisizione di strumenti utili per sanzionare adeguatamente i responsabili di atti di tortura. Detto fatto: con l’accecante e fastidiosa luce mediatica puntata sul governo italiano, in poche ore la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge discusso il 23 marzo apportando qualche modifica e rinviandolo al Senato dove tenterà un’approvazione definitiva.
Il testo approvato propone 7 articoli che definiscono la tortura tale quando un individuo procura volontariamente acute sofferenze fisiche o psichiche a una persona a lui affidata, o sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, tramite violenza, minaccia, o in violazione degli obblighi di protezione, cura, assistenza, a causa dell’appartenenza etnica della vittima, del suo orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose per ottenere informazioni o dichiarazioni o per infliggere una punizione o per vincere una resistenza.
Il reato è inserito tra i reati comuni e sanzionato con reclusione dai 4 ai 10 anni, che diventano da 5 a 12 con l’aggravante riguardate la messa in atto del reato da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio. Il decesso provocato da tortura è punibile con la reclusione a 30 anni, mentre per il decesso procurato volontariamente tramite tortura è previsto l’ergastolo. È punibile anche l’istigazione del pubblico ufficiale (da parte di un secondo pubblico ufficiale) a commettere reato di tortura, con una pena che prevede la reclusione dai 6 mesi ai 3 anni, anche in assenza della messa in pratica effettiva dell’atto. Vengono raddoppiati i termini di prescrizione e, in ultimo, sono vietate espulsioni, respingimenti ed estradizioni ogni qualvolta sussistano motivi fondati per supporre che i soggetti in questione possano subire tortura nei Paesi di provenienza.
A poche ore dall’approvazione del testo di legge, nonostante l’apparente esaustività del progetto, sono innegabili diversi punti critici.
Il primo – sottolineato dallo stesso primo firmatario, Luigi Manconi e da associazioni come Amnesty International, da anni in prima linea per l’identificazione del delitto – è l’eliminazione del riferimento allo stato di privazione della libertà e alle condizioni di minorata difesa, che inducono la sottoscrizione del delitto tra i reati comuni, imputabili a qualsiasi cittadino e non solo – in questo caso – a pubblici ufficiali e titolari di pubblico servizio, come propone la Convenzione ONU del 1984. Inoltre, l’aggravante proposta nel caso siano pubblici ufficiali a compiere reato di tortura diviene effettiva unicamente nel caso in cui la sofferenza inflitta alla vittima sia “ulteriore” rispetto alle misure privative, o limitative dei diritti, previste dalla legge. Dettagli che potrebbero farsi cavilli in tribunale.
Secondariamente, l’aggiunta delle cause secondo le quali viene messa in atto la tortura stessa – nello specifico caratteristiche appartenenti alla vittima come l’etnia, l’orientamento sessuale, politico, religioso, l’estorsione di informazioni, l’applicare una punizione o il vincere una resistenza – esclude la possibilità di ricorrere a tale reato nel caso in cui la tortura venga inflitta per altre cause o senza causa alcuna.
Se da una parte il raggio del reato viene ampliato, eliminando la figura del pubblico ufficiale come unica imputabile e facendo sì che l’assenza di privazione della libertà e di possibilità di fuga non influiscano sull’identificazione della tortura effettiva, dall’altra pare quasi che si cerchino e si vogliano dare ragioni per spiegare, specificare, circoscrivere gesti che per loro natura non possono che essere giustificabili.
Tali sono le violenze commesse nel 2001 alla scuola Diaz di Genova e poi a Bolzaneto, ma anche nel 2000 presso il carcere di San Sebastiano a Sassari, nel 2003 nel carcere minorile di Bari – 9 agenti scagionati per prescrizione – nel 2004 nel carcere di Asti – con la “squadretta” dei 5 agenti rimasti impuniti – di nuovo nel 2005 quando Federico Aldrovandi venne torturato fino alla morte in una strada di Ferrara, come lui nel 2009 Stefano Cucchi che morì durante la custodia cautelare presso il l’ospedale Pertini di Roma, e come loro nel 2008 anche Giuseppe Uva perse la vita a Varese presso l’ospedale di Circolo dopo aver trascorso la notte in Caserma.
Nessuna di queste violenze e nessuno di questi omicidi ha trovato giustizia, né la troverà nel reato di tortura in quanto non retroattivo. Su questi nomi, su queste atrocità, su queste vite pesano i 31 anni vuoti trascorsi dalla firma della Convenzione delle Nazioni Unite, 31 anni che l’Italia non potrà risarcire.
Oggi la fiducia di autorità, associazioni e cittadini è in quest’ultimo disegno di legge, non perché perfetto, ma perché assolutamente necessario affinché la tortura – priva fino ad oggi di una sua fattispecie penale – si possa finalmente riconoscere, processare e condannare anche in Italia.