Ilaria Guidi
@ilovemingus
Un film sempre in bilico tra immaginazione e realtà, una storia di amicizia, una storia di amore paterno, una storia d’amore e basta. Ecco cos’è La giovinezza. Come affermano i protagonisti del film «Noi ci raccontiamo solo le cose belle».
Due storie distinte quelle dei due protagonisti – a cui viene dato il giusto spazio all’interno della narrazione – come ben diversi sono i due, ma con un continuo intrecciarsi, un continuo indagare nell’intimità dell’uno e dell’altro senza mai scoprirla fino in fondo.
Da un lato Fred (Michael Caine), compositore e direttore d’orchestra in pensione, un vecchio apparentemente burbero e rassegnato dalla sorte che lo attende, che con la vecchiaia riesce finalmente a far emergere la sua sensibilità nascosta. Dall’altro Mick (Harvey Keitel), nei panni di un regista in attività e che riesce ancora a vedere la bellezza della vita. A giudicare dalle apparenze, per tutto il tempo ci aspetteremmo che debba essere Fred a fare la fine che invece farà Mick — ma questo potrete capirlo solo dopo aver visto il film.
La giovinezza li circonda, e in qualche modo da loro speranza e coraggio: a fianco di Fred stanno la giovane figlia Lina (Rachel Weisz) che inaspettatamente confida al padre anche i più intimi segreti, e il giovane attore Jimmy (Paul Dano), che lo vede un po’ come un modello di artista cui ispirarsi. Mick ha invece al suo fianco la giovane troupe di sceneggiatori con i quali scrive il suo film “testamento”.
Le loro storie sono ripercorse attraverso una serie di immagini mozzafiato e, come spesso accade nei film di Sorrentino, le inquadrature impeccabili – che a tratti ricordano le perfette geometrie kubrickiane – conferiscono solennità alla narrazione, come se la immergessero in un’atmosfera di sogno, alla quale contribuiscono anche alcune ambientazioni, come piazza San Marco completamente ricoperta d’acqua. Il tutto confonde le idee, e non è sempre facile capire quando ci troviamo nella mente dei personaggi, o nei loro occhi. Gran parte del merito in questo caso va al direttore della fotografia Luca Bigazzi, che aveva già dato prova della sua bravura al fianco di Paolo Sorrentino ne La grande bellezza – di cui la fotografia era uno dei pochi elementi da premiare.
Atmosfere oniriche caratterizzavano già anche La grande bellezza, in effetti, ma da una Roma in decadimento rappresentata attraverso una serie di immagini apparentemente sconnesse si passa alla rappresentazione di un piccolo paradiso terreste: il centro benessere svizzero in cui i due amici passano insieme la loro ultima vacanza, incontrando personaggi di ogni sorta, e dove si svolge una vera e propria storia, una storia che fa piangere ed emozionare.