Del: 26 Giugno 2015 Di: Stefano Colombo Commenti: 0

Stefano Colombo
@Granzebrew

Ieri mattina un commando di miliziani IS è riuscito a infiltrarsi nella città, massacrando più di 150 civili. E’ stata l’ora più lunga per Kobane dalla sua liberazione, il 27 gennaio di quest’anno. Secondo alcuni, ieri Kobane era addirittura caduta in mano alle forze dello Stato Islamico.

Mentre veniva versato sangue innocente, per i curdi di Milano sarebbe dovuta essere una giornata di festa — e in parte, forse, è riuscita ad esserlo. Una delegazione da Kobane ha visitato il capoluogo lombardo, per far conoscere la drammatica storia della propria città e cercare aiuti e sostegno per la lunga e difficile ricostruzione.

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La delegazione ha incontrato il sindaco Pisapia nel primo pomeriggio e alle 16:30 è stata indetta una conferenza stampa di fronte a Palazzo Marino. Purtroppo è finita per somigliare di più a un bollettino di guerra, visto che si è finiti per discutere quasi solo degli avvenimenti della mattinata. A parlare è stato soprattutto Anwar Muslem, vicesindaco della città curda. «Le forze di YPG e YPJ sono intervenute a respingere l’attacco a sorpresa dell’ISIS che ora è presente solo intorno all’ospedale di Medici Senza Frontiere», dice Muslem. Da lui, apprendiamo che i miliziani dello Stato Islamico sono entrati in città spacciandosi per proifughi e vestendosi con divise dell’Esercito Siriano Libero, per poi scatenare l’inferno sui civili inermi, stanandoli dalle abitazioni in cui dormivano.

Gli abbiamo chiesto come procede la ricostruzione di Kobane e se l’attacco dello Stato Islamico avrà conseguenze negative sui lavori. «I nostri viaggi in Europa e tutto il mondo sono basati su questo: ricostruire insieme Kobane. Abbiamo cominciato a ripulire la città dalle macerie ed è stato un lavoro pesante: siamo un’amministrazione appena nata e non ci sono abbastanza soldi. 1600 edifici sono stati distrutti, 1200 sono inabitabili. Abbiamo dovuto disinfestare la città — c’erano 850 cadaveri di miliziani dell’ISIS e 8000 altri cadaveri per le vie. La nostra chiamata internazionale è: dateci una mano a ricostruire Kobane».

Muslem non si sbilancia sul ruolo della Turchia, da molti accusata di aver favorito il passaggio della spedizione punitiva dal suo territorio — «Sono qui e il mio partito sta ancora indagando sull’accaduto, non posso dire nulla». Ma molte fonti curde oggi insistono sulla connivenza di Ankara.

“La nostra chiamata internazionale è: dateci una mano a ricostruire Kobane.”

La delegazione curda ha l’aria di essere stanca e molto provata. Le notizie dalla loro città, del resto, non sono incoraggianti — il giornalista locale Mostafa Ali ha affermato che «ogni famiglia di Kobane ha avuto una vittima nell’attacco».

Ma la giornata non è ancora finita: dopo la visita a Palazzo Marino, la delegazione è attesa per una cena allo spazio autogestito Leoncavallo.

Al Leoncavallo vengono raccolti fondi e organizzato un altro incontro per il pubblico, con la partecipazione di Muslem e soprattutto di Nesrin Abdallah, comandante del corpo femminile militare YPJ. L’evento è presieduto dal Consigliere comunale di SEL Luca Gibillini — come del resto quello del pomeriggio, essendo uno di coloro che hanno organizzato la trasferta della delegazione, e vede la presenza di Paolo Limonta, uno storico difensore della causa democratica curda.

Il comandante è una donna sorridente dall’età difficilmente intuibile. Che si commuove quando, prima di iniziare, vengono ricordate le vittime civili e i soldati caduti durante la resistenza. Abdallah comincia ringraziando i compagni organizzatori della serata e racconta la storia di un oppositore  curdo il quale alla fine del secolo scorso fu portato in piazza da un gruppo di “fascisti” che, per dargli una lezione, gli tagliarono le braccia. Ma che, ciononostante, non si piegò al nemico. «Il nostro popolo ha deciso di resistere contro tutti coloro che portano il buio. Oltre a questa lotta, la nostra è una lotta delle donne. Oggi nella Rojavale donne si arruolano, amministrano, gestiscono il territorio e le loro vite».

Nasrin Abdallah conferma quella che sembrava una leggenda: i guerriglieri dell’ISIS hanno paura ad affrontare le YPJ perché li terrorizza la possibilità di essere uccisi da una donna. «Ho sentito con le mie orecchie un militante ISIS raccontare questo episodio: un miliziano stava parlando al telefono con il suo comandante e gli ha comunicato che il tal combattente era morto. A quel punto il comandante gli ha chiesto chi l’avesse ucciso. E lui aveva paura a riferierglielo! Alla fine glielo dovette dire: “Una donna”. E il comandante: “Allora non portate nemmeno via il corpo, lasciatelo lì”»

Oggi, le milizie di YPG e YPJ stanno ancora combattendo per liberare Kobane: sembra che i miliziani siano definitivamente accerchiati ma le vittime civili superino le 250.
Alle undici e un quarto l’incontro è già finito. I membri della delegazione sono esausti, ma si fermano per stringere la mano a chi gliela porge, compresi i numerosi curdi milanesi venuti ad ascoltare i loro compagni. E c’è ancora tempo per un saluto di vittoria:

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Stefano Colombo
Studente, non giornalista, milanese arioso.

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